QUELLO SGUARDO CHE PUò SALVARE IL MONDO
Platone fece dire a Socrate: «se allora un occhio vuol vedere sé stesso, bisogna che fissi un occhio, e quella parte di questo in cui si trova la sua virtù visiva; e non è questa la vista? Ora, caro Alcibiade, anche l’anima, se vuole conoscere sé stessa, dovrà fissare un’anima, e soprattutto quel tratto di questa in cui si trova la virtù dell’anima, la sapienza» (Alcibiade primo, 132e-133b).
Lo sguardo introspettivo conduce fino alla più recondita potenzialità del sé, a quell’arte del vedersi praticata esponenzialmente da Paul Valéry e ripresa con un originale portamento letterario da Calvino (Palomar). Ma se «non posso guardare senza che ciò mi riguardi» (J.-L. Nancy), posso allora orientare lo sguardo alla salvezza: «una delle verità fondamentali del cristianesimo, oggi misconosciuta da tutti, è che lo sguardo è ciò che salva» (S. Weil). Con questa frase Roberto Revello introduce uno sguardo che unisce l’apertura all’altro alla ricerca di Dio, facendo leva anche sulla funzione trascendente e contemplativa della scienza, in particolare della matematica. È lo sguardo di Simone Weil, Pavel Aleksandrovič Florenskij ed Henry Corbin, accomunato dall’idea che «le nostre forme di conoscenza sono modi di guardare al mondo e dipendono fondamentalmente da una scelta etica». Florenskij e Weil testimoniano la loro vocazione religiosa con una potente motivazione etica e una profonda riflessione matematica. Revello ce le squaderna ricordando l’ammirazione di entrambi per Georg Cantor, il teorico degli insiemi e dei numeri transfiniti. Il filosofo e storico della matematica Imre Toth ha dimostrato come la concezione platonica dell’irrazionalità aritmetica assume il suo valore matematico proprio con Cantor, che coglie l’indissolubile legame tra matematica e filosofia, che in già Platone aveva aperto a uno spazio trascendente. L’epifania del sapere matematico è anche l’affermazione difficile della libertà del soggetto, che permette di dar forma, da matematici e da teologi, all’infinito.
Per altri versi lo sguardo sofianico di Corbin (studiato da Revello anche in Ciò che appare nello specchio. Docetismo e metafisica dell’immagine in H. Corbin, 2022) procede in una direzione parallela, è rivolto al mondo immaginale dell’Oriente «geosofico», ridisegna «una geografia, una mappa tanto spaziale, quanto temporale, che restituisce un mondo altro e sempre rinnovato». Corbin segue le tracce di un platonismo legato alla cultura religiosa ortodossa affine a quello di Florenskij, facendo propria un’istanza angelologica di matrice zoroastriana. Nella scala di Giobbe «misura di uomo che è anche misura d’angelo; in queste parole si esprime la relazione ontologica dei due mondi» (S. Bulgakov). L’angelologia può servire a comprendere la realtà delle relazioni e dei messaggi tra uomini e mondo, come ha dimostrato Michel Serres, nel suo passaggio dai cinque Hermes (1969-80) a La légende des Anges (1993). Interrogandosi sul problema dell’identità e della differenza nella manifestazione della divinità, Corbin ha indicato come «le tre grandi religioni monoteiste si presentano con mille volti e attraversate da comuni correnti sotzioni, terranee». Lo sguardo di Corbin all’Islam iranico è un «orientamento esistenziale», che appare tuttavia a Revello troppo separato dalla storia rispetto a quello di Weil e Florenskij, «così nel mondo fino al sacrificio della vita».
Lo sguardo infinito di Florenskij, ormai riconosciuto come un gigante del pensiero teologico, filosofico e matematico (si ricordi la collana a lui dedicata che Silvano Tagliagambe cura per Mimesis dal 2021). Grande interprete del platonismo, Florenskij riattualizza la tradizione pitagorico-platonica ritrovando nel numero, espresso nella formula platonica «uno e molti», una «cosa viva, organica» e riportando tale visione matematica in un’originale prospettiva teologica che permette di riconoscere l’infinito nel finito.
Ma è allo «sguardo straniero» di Weil che Revello dedica il capitolo più lungo, soffermandosi sui suoi primi scritti filosofici, con un focus sulla concezione del divino, anche nel confronto con i due suoi maestri Alain (Émile Chartier) e Jules Lagneau. In Weil si uniscono la dimensione etica e ontologica della re-ligio, del legame profondo che unisce gli uomini e li lega al mondo,
WEIL, FLORENSKIJ E CORBIN ACCOMUNATI DA UNA TENSIONE CHE SUPERA LA DIMENSIONE DEL SACRO
e la tensione radicale alla trascendenza. Già nel 1934 Weil denunciava la tendenza moderna alla dismisura: «viviamo in un mondo dove nulla è a misura dell’uomo; c’è una sproporzione mostruosa tra il corpo dell’uomo, lo spirito dell’uomo e le cose che costituiscono attualmente gli elementi della vita umana; tutto è squilibrio» (Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale). E in piena guerra mondiale invitava gli europei a guardare all’Oriente e alle radici della religione: «se, con lo sguardo orientato verso l’avvenire, tenteremo di rientrare in comunicazione con il nostro passato millenario; se in questo sforzo cercheremo uno stimolo nell’amicizia reale, basata sul rispetto, con tutto ciò che in Oriente ha ancora radici, forse potremo preservare da un annientamento pressoché totale il passato e insieme la vocazione spirituale del genere umano» (La questione coloniale e il destino del popolo francese, 1943)
Revello sostiene, in conclusione, che «l’insegnamento di Simone Weil, in cui si tenta di armonizzare immaginazione e veglia senza illusioni, resta a riguardo un efficace monito e antidoto». La radicalità di uno sguardo che salva è la funzione esistenziale più autentica di un filosofare che non trascuri l’orizzonte del sacro e quello del sapere: «chi ama la filosofia detesta l’indifferenza, il conformismo e un’espressione del pensiero avulsa da scelte esistenziali profonde».
Roberto Revello
Uno sguardo che salva. Weil, Florenskij, Corbin Meltemi, pagg. 168, € 16