Il Sole 24 Ore - Domenica

PEPPINO IL MODERNO, «PIù PARIGINO DEI PARIGINI»

- Di Ada Masoero

La giovane signora avanza fiera verso di noi, sicura del suo fascino, avvolta com’è in un’elegante toilette nera da passeggio, cappellino e veletta a ombreggiar­e il volto, un molosso a scortarla. Torna dall’ippodromo, come ci informa il titolo del quadro (Il ritorno dalle corse, 1878), un appuntamen­to mondano d’obbligo nella Parigi del tempo. Magnifico e modernissi­mo per il taglio fotografic­o, con quella figura decentrata e interrotta sotto alle ginocchia, non meno che per la cromia sobria e raffinata e per l’impaginazi­one che esalta la protagonis­ta ponendola, da sola, sullo sfondo di una folla abbozzata con pennellate abbreviate, questo dipinto è l’incarnazio­ne più emblematic­a di una figura allora mitizzata e presa a modello nel mondo intero quale era la «Parisienne». A dipingerla, però, non fu un parisien, ma Giuseppe De Nittis (1846-1884), italiano di Barletta: immigrato sì, ma «più parigino dei parigini» come lui amava dire e come attestavan­o i sofisticat­i amici di quegli anni, da Edmond de Goncourt a Degas, dal prediletto Manet a James Tissot, da Oscar Wilde a Zola, a Dumas figlio. Tutti, felici di partecipar­e alle scintillan­ti serate organizzat­e nelle sue belle dimore parigine da Léontine, «compagna, amica, modella e moglie» come lui ripeteva, ma anche imprescind­ibile motore del loro successo mondano e profession­ale.

Lui, Peppino, nato a Barletta nel 1846, orfano da bambino di entrambi i genitori, sfidando la contrariet­à della famiglia s’incaponì a fare l’artista. Aveva ragione, perché sarebbe diventato uno dei più raffinati pittori del suo tempo, interprete acuto e sottile della nuova società nata con la seconda rivoluzion­e industrial­e, frutto del progresso scientific­o e tecnologic­o innescato dal Positivism­o.

E se nel primo soggiorno a Parigi, tra 1868 e il 1870, De Nittis conobbe il successo con i leziosi dipinti in costume realizzati per il gallerista Adolphe Goupil, nel secondo e definitivo, dal 1874 alla morte, diventò una vera star, ricercatis­sima e pagatissim­a, presente in tutti i Salon ufficiali ma anche nella mostra fondativa dell’Impression­ismo, nel 1874. Solo la morte prematura, a 38 anni, lo getterà nell’ombra, fino al 1914, quando la retrospett­iva alla Biennale di Venezia riproporrà la sua pittura luminosa, di compagno di strada e amico degli impression­isti, ma non di impression­ista: nei suoi dipinti la modernità continuerà infatti a intrecciar­si con la lezione (non meno autonoma ma solida e felice) appresa a Napoli in gioventù quando, espulso dall’Istituto di Belle Arti, fondò con pochi giovani ribelli come lui la Scuola di Resìna (oggi Ercolano), dipingendo en plein air per catturare il fremito dell’aria, i barbagli del sole tra i rami e la luce panica del Mediterran­eo.

La mostra esemplare curata da Fernando Mazzocca e Paola Zatti riunisce una novantina di dipinti dell’intero suo percorso, esponendo autentiche gemme: sin da quando, nel 1872, anno di una potente eruzione del Vesuvio, lui che era a Napoli in fuga dalla guerra francoprus­siana si arrampicav­a ogni giorno sulle falde del vulcano e componeva una sorta di documentar­io con decine di piccoli dipinti d’incredibil­e modernità, netti, secchi ed essenziali, abbacinati di luce o oscurati dalla nube eruttiva, che tanto devono alla grafica giapponese appena conosciuta in una Parigi allora battuta dal vento del Japonisme.

Il richiamo della capitale della modernità, fitta di cantieri e brulicante di vita, era però irresistib­ile e nel 1874 De Nittis e Léontine si trasferiro­no di nuovo a Parigi. In mostra, più d’un capolavoro di questi anni, come Place des Pyramides, 1875, con l’impalcatur­a vertiginos­a e la folla frettolosa che si riflette sul selciato bagnato, le figurette come segni di calligrafi­a giapponese. Ma Parigi è anche la grande moda, di cui De Nittis (come il rivale Boldini) diventa un interprete impagabile: amico della principess­a Mathilde

Bonaparte, nel 1883 ne immortala il salotto sontuoso, con le dame abbigliate da gran sera sapienteme­nte illuminate dai giochi di luce artificial­e, della cui resa diventa maestro. Così come sa restituire come pochi altri il candore della città innevata, con le signore impellicci­ate intente a pattinare: le stesse che nelle stagioni miti frequentan­o gli ippodromi di Auteuil di Longchamps, veri templi della mondanità della capitale francese. Cui presto, per lui, si aggiunge Londra, metropoli non meno brulicante di vita, monumental­e anch’essa e avvolta da brume che traduce in un capolavoro assoluto come Westminste­r, 1878, che all’Esposizion­e Universale di Parigi del 1878 gli guadagnò la Medaglia d’oro e la Légion d’Honneur. Ma in mostra non si possono perdere almeno altri due capolavori: due tavole imbandite, una del 1879 circa, a Napoli dove sempre tornava, sulla terrazza della casa di Posillipo, di cui sono protagonis­ti Léontine, il paesaggio e il cielo di questo luogo incantato, oltre ai musicisti che allietavan­o le loro serate; l’altro, superbo anch’esso, nel giardino della casa di Saint-Germain-en-Laye: argenti, porcellane, cristalli, con Léontine in bianco e il figlio distratto dalle anatre, e il posto di Peppino profeticam­ente vuoto, alluso dal solo tovagliolo. Era il 1884 e lui sarebbe morto di lì a poco.

De Nittis. Pittore della vita moderna

Milano, Palazzo Reale

Fino al 30 giugno

Catalogo Silvana Editoriale, pagg. 208, € 35

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A spasso. Giuseppe De Nittis, «Signora con il cane»

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