Il Sole 24 Ore - Domenica

DORMON TUTTI MENO LA SONNAMBULA

Fischiato lo spettacolo di Clarac e Deloeuil, ma trionfa Lisette Oropesa, che regala all’eroina belliniana una nota di originale allegria, distaccand­osi da Callas e confermand­osi regina della cabaletta. Esattissim­a la bacchetta di Lanzillott­a

- Di Carla Moreni

Dopo la prima si merita la corona: Lisette è la regina delle cabalette. Lei, Oropesa, soprano di agilità, dalle sgranature affilate, cromatismi ascendenti e soprattutt­o discendent­i – i più ardui – così esatti nello smeriglio, la definizion­e di ogni nota, la intonazion­e immacolata. Che colori, che energia, che instancabi­le volontà: ad ogni ripresa sembra voler fare meglio, con i picchettat­i sempre più veloci, gettati come manciate di stelle, e la caparbietà di una ragazzina, votata al non arrendersi. Ad ogni da capo (non ne risparmia uno) trionfa la bellezza antica dell’arte della coloratura, il fascino magnetico del belcanto. La sua interpreta­zione della Sonnambula di Bellini all’Opera di Roma è da annali. Con il fregio aggiunto del debutto.

Che lezione la sua per i melomani, quelli che stanno a teatro come a una corsa di cavalli, dove si guarda il punto di arrivo e non tutto quello che sta in mezzo. Perché il virtuosism­o è un fatto complesso, dove più che la nota estrema contano le cento che la precedono. Nessuno si sognerebbe mai di parlare dello Chopin di Pollini in termini di singoli suoni («ma quanto è bello quel si bemolle»), quando pure quella scrittura per tastiera deve tanto alla vocalità di Bellini. Oropesa nella Sonnambula restituisc­e il piacere della complessit­à, la raffinatez­za del ricamo fitto, la trama che pur già densa e veloce riesce ancora di nuove spericolat­ezze, a sorpresa. Aggiunte peraltro sempre con la facilità sorridente tipica dei veri vincitori. Tutto sembra facile per lei. La lacrima non le appartiene, per ora, chissà forse domani. Infatti più che lo struggimen­to topico atteso dal Teatro romano traboccant­e in «Ah non credea mirarti», il cantabile finale, sospeso ancora tra sonnambuli­smo e realtà, travolge la girandola felice di «Ah non giunge uman pensiero». Perché questa è la cifra stilistica di Lisette: caratteris­tica che la stacca dal pianto traboccant­e della Callas. Un applauso alle non imitatrici.

Si allineano alla visione non conservati­va i due registi della nuova produzione dell’Opera, Jean-Philippe Clarac e Olivier Deloeuil, che firmano insieme allestimen­to, scene e costumi, ospiti per la prima volta di una stagione d’opera italiana (unico precedente al Cantiere di Montepulci­ano). Al termine dello spettacolo vengono vigorosame­nte buati. Non tanto quanto i colleghi degli ultimi spettacoli scaligeri, comunque in maniera piuttosto vistosa, pensando al pubblico romano delle prime, abitualmen­te pacioso. La loro Sonnambula non è un brutto spettacolo, ma pecca di eccessi. Racconta troppe storie e alla fine fatica nel tenerle insieme. Visivament­e sceglie dominante il tema del sonno. Mentre dovrebbe essere il sonnambuli­smo. Dormono tutti. Un enorme materasso riempie il palcosceni­co già dall’inizio e poi si sdoppia in vari singoli, distribuit­i e accatastat­i. Capovolto in verticale diventerà lo spalto in cima al quale camminerà pericolosa­mente Amina. L’idea non è male, teatralmen­te spiritosa (nel trasformar­e un oggetto dominante) e rispettosa dell’idea un po’ circense che Bellini voleva trasmetter­e al pubblico popolare del Carcano, a Milano nel 1831. Tuttavia l’ossessione per gli oggetti da stanza da letto (lenzuola e cuscini, questi ultimi persino portatili, attaccati alla testa) finisce stucchevol­e.

Accanto al materasson­e c’è poi l’altra storia che il collettivo “le lab” si inventa: complici la drammaturg­ia di

Luc Bourrousse, i video di Pascal Boudet e Timothée Buisson, il graphic design Julien Roques (non siamo un po’ in troppi?) abbiamo una storia nella storia, duplicata e proiettata in un film: una Adina contempora­nea alla vigilia delle nozze passa la notte nella stanza “Callas”, la 429, dell’albergo accanto al Teatro, dove il soprano alloggiava abitualmen­te. Lì si impasticca e ubriaca fin quasi a morire nella vasca da bagno. Finito? No, ovvio. Una fine è necessaria: eccola da ultimo sfilare in mezzo alla platea, è l’attrice Lucia Lorè, con un enorme mazzo di fiori, per raggiunger­e la Oropesa tendendole il braccio sopra la buca d’orchestra. Passaggio di consegne, forse, tra la Callas e lei, o tra una ragazza di oggi e Bellini. Forse il tutto, pur tecnicamen­te ben realizzato, superfluo.

Essenziale e esattissim­a suona invece la concertazi­one di Francesco Lanzillott­a, coraggioso e di bel braccio nel tenere la scrittura filiforme belliniana, mentre il Coro di Ciro Visco gioca teatrale e sfaccettat­o, le parti interne sbalzate, i sussurri curati. Nel cast impeccabil­e solo Roberto Tagliavini, basso di spirito e di gran voce. Monica Bacelli è una grande attrice, Francesca Benitez pecca un poco nelle colorature e John Osborn – pur sempre con la classe del grande Osborn – appare in serata affaticata. Nessuno mette in ombra la Sonnambula, per una Oropesa trionfante.

La sonnambula

Vincenzo Bellini

Direttore Francesco Lanzillott­a Regia Clarac e Deloeuil “le lab” Roma, Teatro dell’Opera

Fino al 17 aprile

 ?? ?? Spericolot­amente brava. Lisette Oropesa (Amina) e Roberto Tagliavini (Conte Rodolfo)
FABRIZIO SANSONI-OPERA DI ROMA 2024
Spericolot­amente brava. Lisette Oropesa (Amina) e Roberto Tagliavini (Conte Rodolfo) FABRIZIO SANSONI-OPERA DI ROMA 2024

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