DORMON TUTTI MENO LA SONNAMBULA
Fischiato lo spettacolo di Clarac e Deloeuil, ma trionfa Lisette Oropesa, che regala all’eroina belliniana una nota di originale allegria, distaccandosi da Callas e confermandosi regina della cabaletta. Esattissima la bacchetta di Lanzillotta
Dopo la prima si merita la corona: Lisette è la regina delle cabalette. Lei, Oropesa, soprano di agilità, dalle sgranature affilate, cromatismi ascendenti e soprattutto discendenti – i più ardui – così esatti nello smeriglio, la definizione di ogni nota, la intonazione immacolata. Che colori, che energia, che instancabile volontà: ad ogni ripresa sembra voler fare meglio, con i picchettati sempre più veloci, gettati come manciate di stelle, e la caparbietà di una ragazzina, votata al non arrendersi. Ad ogni da capo (non ne risparmia uno) trionfa la bellezza antica dell’arte della coloratura, il fascino magnetico del belcanto. La sua interpretazione della Sonnambula di Bellini all’Opera di Roma è da annali. Con il fregio aggiunto del debutto.
Che lezione la sua per i melomani, quelli che stanno a teatro come a una corsa di cavalli, dove si guarda il punto di arrivo e non tutto quello che sta in mezzo. Perché il virtuosismo è un fatto complesso, dove più che la nota estrema contano le cento che la precedono. Nessuno si sognerebbe mai di parlare dello Chopin di Pollini in termini di singoli suoni («ma quanto è bello quel si bemolle»), quando pure quella scrittura per tastiera deve tanto alla vocalità di Bellini. Oropesa nella Sonnambula restituisce il piacere della complessità, la raffinatezza del ricamo fitto, la trama che pur già densa e veloce riesce ancora di nuove spericolatezze, a sorpresa. Aggiunte peraltro sempre con la facilità sorridente tipica dei veri vincitori. Tutto sembra facile per lei. La lacrima non le appartiene, per ora, chissà forse domani. Infatti più che lo struggimento topico atteso dal Teatro romano traboccante in «Ah non credea mirarti», il cantabile finale, sospeso ancora tra sonnambulismo e realtà, travolge la girandola felice di «Ah non giunge uman pensiero». Perché questa è la cifra stilistica di Lisette: caratteristica che la stacca dal pianto traboccante della Callas. Un applauso alle non imitatrici.
Si allineano alla visione non conservativa i due registi della nuova produzione dell’Opera, Jean-Philippe Clarac e Olivier Deloeuil, che firmano insieme allestimento, scene e costumi, ospiti per la prima volta di una stagione d’opera italiana (unico precedente al Cantiere di Montepulciano). Al termine dello spettacolo vengono vigorosamente buati. Non tanto quanto i colleghi degli ultimi spettacoli scaligeri, comunque in maniera piuttosto vistosa, pensando al pubblico romano delle prime, abitualmente pacioso. La loro Sonnambula non è un brutto spettacolo, ma pecca di eccessi. Racconta troppe storie e alla fine fatica nel tenerle insieme. Visivamente sceglie dominante il tema del sonno. Mentre dovrebbe essere il sonnambulismo. Dormono tutti. Un enorme materasso riempie il palcoscenico già dall’inizio e poi si sdoppia in vari singoli, distribuiti e accatastati. Capovolto in verticale diventerà lo spalto in cima al quale camminerà pericolosamente Amina. L’idea non è male, teatralmente spiritosa (nel trasformare un oggetto dominante) e rispettosa dell’idea un po’ circense che Bellini voleva trasmettere al pubblico popolare del Carcano, a Milano nel 1831. Tuttavia l’ossessione per gli oggetti da stanza da letto (lenzuola e cuscini, questi ultimi persino portatili, attaccati alla testa) finisce stucchevole.
Accanto al materassone c’è poi l’altra storia che il collettivo “le lab” si inventa: complici la drammaturgia di
Luc Bourrousse, i video di Pascal Boudet e Timothée Buisson, il graphic design Julien Roques (non siamo un po’ in troppi?) abbiamo una storia nella storia, duplicata e proiettata in un film: una Adina contemporanea alla vigilia delle nozze passa la notte nella stanza “Callas”, la 429, dell’albergo accanto al Teatro, dove il soprano alloggiava abitualmente. Lì si impasticca e ubriaca fin quasi a morire nella vasca da bagno. Finito? No, ovvio. Una fine è necessaria: eccola da ultimo sfilare in mezzo alla platea, è l’attrice Lucia Lorè, con un enorme mazzo di fiori, per raggiungere la Oropesa tendendole il braccio sopra la buca d’orchestra. Passaggio di consegne, forse, tra la Callas e lei, o tra una ragazza di oggi e Bellini. Forse il tutto, pur tecnicamente ben realizzato, superfluo.
Essenziale e esattissima suona invece la concertazione di Francesco Lanzillotta, coraggioso e di bel braccio nel tenere la scrittura filiforme belliniana, mentre il Coro di Ciro Visco gioca teatrale e sfaccettato, le parti interne sbalzate, i sussurri curati. Nel cast impeccabile solo Roberto Tagliavini, basso di spirito e di gran voce. Monica Bacelli è una grande attrice, Francesca Benitez pecca un poco nelle colorature e John Osborn – pur sempre con la classe del grande Osborn – appare in serata affaticata. Nessuno mette in ombra la Sonnambula, per una Oropesa trionfante.
La sonnambula
Vincenzo Bellini
Direttore Francesco Lanzillotta Regia Clarac e Deloeuil “le lab” Roma, Teatro dell’Opera
Fino al 17 aprile