SUPERARE GLI ARGINI E VIAGGIARE OLTRE I CONFINI
C’è una filosofia davvero originale, anzi uno sguardo originale che sovrintende alla nascita della nuova rivista rlibro, edita dal Touring Club, con un titolo – Mappe – in cui confluisce una varietà di significati, declinati ciascuno secondo un proprio grado di interpretazione della realtà: coscienza di sé e degli altri, identità, consapevolezza di vivere antropologicamente un determinato spazio e tempo, memoria individuale e collettiva. «Anche l’immaginazione ha una sua cartografia» dichiara Ottavio Di Brizzi nell’editoriale di apertura e, se queste sono le coordinate a cui si ispira il periodico, esiste più di una ragione per individuare i segni di un’operazione necessaria a cercare/trovare, specchiandosi dentro, i significati di un’epoca in cui la virtualità non supplisce a ciò che manca, non intercetta fino in fondo le aspettative di chi non intende fermarsi ai linguaggi di una quotidianità logora e ripetitiva.
Affermare che dentro un atlante si possano registrare perfino le cose più volubili, rendendo visibile quel che appartiene alle regole dell’invisibilità, significa manifestare un’idea di mondo che abbisogna di macchine alate per essere attraversato e queste macchine alate altro non sono se non ipotesi, riflessioni, utopie, testimonianze da usare alla stregua di bussola o di altri strumenti per esplorazioni e sempre come – si legge ancora nell’articolo introduttivo – «esercizio di un pensiero liminare più che laterale». Liminarità e lateralità sono termini contigui, ma annunciano prospettive differenti. Il senso del limite e/o la fiducia nel limite fanno di ogni questione un’occasione di civiltà e questo dato accredita la scelta dell’argomento con cui monograficamente la rivista debutta: il tema del confine. «Quel prodigio d’intelligenza e libertà che è il linguaggio umano» scrive Andrea Marcolongo «insegna che ogni confine può essere inteso come una frontiera insormontabile o come un uscio socchiuso verso l’orizzonte».
Torniamo alla logica delle dicotomie: frontiera o uscio, come già prima lato e limine, sottintendono un punto di vista, una chiave di volta. Se è vero che la realtà è molteplice e può contenere una stratificata varietà di letture, è altrettanto vero che il segreto sta in chi osserva, quasi sia implicito il sospetto che il luogo dove abita l’umanità si modifichi non tanto in relazione al tempo che passa, quanto al bisogno di riscrivere continuamente ciò che appare sotto gli occhi di tutti. La Storia non è che un infinito processo di reinvenzione, di riscrittura appunto, e gli attori che la popolano sono anch’essi di volta in volta figli dei nuovi linguaggi. Solo così possiamo comprendere come mai «quell’Erodoto che Cicerone riscattò laureandolo pater historiae» racconta Pietro Del Soldà, Plutarco lo aveva etichettato «philobarbaros, amico dei barbari, traditore della patria». Come dire: basta varcare i confini e le sorti degli uomini cambiano.