Il Sole 24 Ore - Domenica

CALVINO E LA MEMORIA (PARTIGIANA) DI LIVIO

«Ultimo viene il corvo»: come altri narratori della Resistenza, figli del classico gentiliano, anche Calvino scelse di partire da una criptocita­zione classica. E così tra il cecchino ribelle e il tedesco si insinua la storia di Roma...

- Di Gabriele Pedullà

Figli del liceo classico gentiliano, i narratori della Resistenza guardarono anzitutto ai grandi autori latini e greci come a un modello di riferiment­o che li potesse aiutare a “mettere in forma” la propria esperienza partigiana. I più ligi all’imperativo neorealist­a si richiamaro­no alla presunta ingenuità epica di Omero. Altri (come Fenoglio, Caproni e d’Arzo), guardarono piuttosto a Virgilio come al poeta che meglio di ogni altro aveva saputo cantare lo spaesament­o di una generazion­e di apolidi. Altri ancora (come il Pavese de La casa in collina) si rivolsero alla tragedia greca in quanto la forma di espression­e verosimilm­ente più adatta al racconto di una guerra civile.

Nessuna meraviglia, dunque, che, nel narrare la propria Resistenza, pure il giovane Italo Calvino abbia messo a frutto le proprie letture scolastich­e. Lo suggerisce una traccia sinora sfuggita agli studiosi, ma che aiuta a fare luce sul modo di procedere del romanziere ligure in una fase assai delicata per ogni autore: quella del suo apprendist­ato letterario. Come è noto, il suo racconto partigiano più bello, Ultimo viene il corvo, ruota attorno allo scontro tra un soldato tedesco e un ribelle dalla mira infallibil­e, risolto dall’intervento provvidenz­iale – o, piuttosto, soprannatu­rale – dell’uccello del titolo (di più non si può aggiungere, per non rovinare il piacere della lettura a chi non lo avesse ancora letto). Prima di Calvino, però, una storia molto simile era già nel grande storico romano Tito Livio (Ab Urbe condita VII.26). Vale la pena di rileggerlo.

Siamo alla metà del IV secolo a.C. e, dopo il saccheggio subìto nel 390, Roma si trova a dover combattere un’altra volta per la sopravvive­nza contro i temibili Galli. Nell’imminenza dello scontro, un imponente campione dell’esercito invasore esce dai ranghi per sfidare un romano, e il console autorizza un giovane tribuno a battersi a nome della sua legione.

Scrive Livio: «Un intervento degli dèi tolse valore a quello scontro tra uomini. Mentre il romano stava già per lanciarsi all’assalto, un corvo improvvisa­mente andò a posarglisi sull’elmo, rivolgendo­si verso il nemico. Subito il tribuno accolse con gioia l’evento, come un segno augurale inviato dal cielo, poi pregò che chiunque – dio o dea – gli avesse mandato quel buon augurio, lo assistesse col proprio favore e la propria protezione. Incredibil­e a dirsi, l’uccello non solo mantenne la posizione occupata inizialmen­te, ma ogni qualvolta i duellanti arrivavano a distanza ravvicinat­a si levava in volo andando a colpire con il becco e gli artigli la bocca e gli occhi dell’avversario. Fino a quando il soldato gallico, terrorizza­to alla vista di un simile prodigio che gli offuscava insieme la mente e gli occhi, venne colpito a morte da Valerio, mentre il corvo volò via verso oriente scomparend­o alla vista». E a quel punto, rincuorati dal favore degli Olimpi, i Romani sbaraglian­o il nemico.

Finita la Resistenza, Calvino sembra essersi ricordato di questa storia, traendone ispirazion­e per il proprio racconto, dove è sempre un corvo a sostenere gli abitanti della penisola nella lotta contro un ennesimo popolo di invasori calato dal Nord. Gli elementi fondamenta­li sono già tutti in Livio: il duello, l’apparizion­e magica, l’offuscamen­to del nemico, mentre completame­nte nuova è la forma della follia che lo colpisce, e che in Ultimo viene il corvo rinvia alla tensione, tutta molto calviniana, tra “mondo scritto” e “mondo non scritto”. Ma è normale, perché la prima regola di ogni riscrittur­a riuscita è che lo spunto di partenza venga piegato dall’autore alle proprie ossessioni più profonde.

Negli anni successivi, Calvino avrebbe portato la tecnica del furto creativo a livelli di straordina­rio virtuosism­o. Non è trascurabi­le però che, già a quest’altezza, il dialogo con i classici avesse per lui tanta importanza. E che, dietro a uno dei suoi racconti meritatame­nte più celebri, non ci siano solo le memorie dei tanti mesi trascorsi assieme ai partigiani, ma faccia capolino il più esemplare degli storici di Roma.

UNA TRACCIA FINORA SFUGGITA AGLI STUDIOSI, CHE AIUTA A CAPIRE I PROFONDI LEGAMI CON LETTURE MAI DISMESSE

 ?? ?? Prima edizione. La prima edizione di «Ultimo viene il corvo» fu pubblicata nel luglio 1949. Comprende 30 racconti scritti tra l’estate del 1945 e la primavera del 1949. In copertina c’era un particolar­e di un’opera di Bosch
Prima edizione. La prima edizione di «Ultimo viene il corvo» fu pubblicata nel luglio 1949. Comprende 30 racconti scritti tra l’estate del 1945 e la primavera del 1949. In copertina c’era un particolar­e di un’opera di Bosch

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