CALVINO E LA MEMORIA (PARTIGIANA) DI LIVIO
«Ultimo viene il corvo»: come altri narratori della Resistenza, figli del classico gentiliano, anche Calvino scelse di partire da una criptocitazione classica. E così tra il cecchino ribelle e il tedesco si insinua la storia di Roma...
Figli del liceo classico gentiliano, i narratori della Resistenza guardarono anzitutto ai grandi autori latini e greci come a un modello di riferimento che li potesse aiutare a “mettere in forma” la propria esperienza partigiana. I più ligi all’imperativo neorealista si richiamarono alla presunta ingenuità epica di Omero. Altri (come Fenoglio, Caproni e d’Arzo), guardarono piuttosto a Virgilio come al poeta che meglio di ogni altro aveva saputo cantare lo spaesamento di una generazione di apolidi. Altri ancora (come il Pavese de La casa in collina) si rivolsero alla tragedia greca in quanto la forma di espressione verosimilmente più adatta al racconto di una guerra civile.
Nessuna meraviglia, dunque, che, nel narrare la propria Resistenza, pure il giovane Italo Calvino abbia messo a frutto le proprie letture scolastiche. Lo suggerisce una traccia sinora sfuggita agli studiosi, ma che aiuta a fare luce sul modo di procedere del romanziere ligure in una fase assai delicata per ogni autore: quella del suo apprendistato letterario. Come è noto, il suo racconto partigiano più bello, Ultimo viene il corvo, ruota attorno allo scontro tra un soldato tedesco e un ribelle dalla mira infallibile, risolto dall’intervento provvidenziale – o, piuttosto, soprannaturale – dell’uccello del titolo (di più non si può aggiungere, per non rovinare il piacere della lettura a chi non lo avesse ancora letto). Prima di Calvino, però, una storia molto simile era già nel grande storico romano Tito Livio (Ab Urbe condita VII.26). Vale la pena di rileggerlo.
Siamo alla metà del IV secolo a.C. e, dopo il saccheggio subìto nel 390, Roma si trova a dover combattere un’altra volta per la sopravvivenza contro i temibili Galli. Nell’imminenza dello scontro, un imponente campione dell’esercito invasore esce dai ranghi per sfidare un romano, e il console autorizza un giovane tribuno a battersi a nome della sua legione.
Scrive Livio: «Un intervento degli dèi tolse valore a quello scontro tra uomini. Mentre il romano stava già per lanciarsi all’assalto, un corvo improvvisamente andò a posarglisi sull’elmo, rivolgendosi verso il nemico. Subito il tribuno accolse con gioia l’evento, come un segno augurale inviato dal cielo, poi pregò che chiunque – dio o dea – gli avesse mandato quel buon augurio, lo assistesse col proprio favore e la propria protezione. Incredibile a dirsi, l’uccello non solo mantenne la posizione occupata inizialmente, ma ogni qualvolta i duellanti arrivavano a distanza ravvicinata si levava in volo andando a colpire con il becco e gli artigli la bocca e gli occhi dell’avversario. Fino a quando il soldato gallico, terrorizzato alla vista di un simile prodigio che gli offuscava insieme la mente e gli occhi, venne colpito a morte da Valerio, mentre il corvo volò via verso oriente scomparendo alla vista». E a quel punto, rincuorati dal favore degli Olimpi, i Romani sbaragliano il nemico.
Finita la Resistenza, Calvino sembra essersi ricordato di questa storia, traendone ispirazione per il proprio racconto, dove è sempre un corvo a sostenere gli abitanti della penisola nella lotta contro un ennesimo popolo di invasori calato dal Nord. Gli elementi fondamentali sono già tutti in Livio: il duello, l’apparizione magica, l’offuscamento del nemico, mentre completamente nuova è la forma della follia che lo colpisce, e che in Ultimo viene il corvo rinvia alla tensione, tutta molto calviniana, tra “mondo scritto” e “mondo non scritto”. Ma è normale, perché la prima regola di ogni riscrittura riuscita è che lo spunto di partenza venga piegato dall’autore alle proprie ossessioni più profonde.
Negli anni successivi, Calvino avrebbe portato la tecnica del furto creativo a livelli di straordinario virtuosismo. Non è trascurabile però che, già a quest’altezza, il dialogo con i classici avesse per lui tanta importanza. E che, dietro a uno dei suoi racconti meritatamente più celebri, non ci siano solo le memorie dei tanti mesi trascorsi assieme ai partigiani, ma faccia capolino il più esemplare degli storici di Roma.
UNA TRACCIA FINORA SFUGGITA AGLI STUDIOSI, CHE AIUTA A CAPIRE I PROFONDI LEGAMI CON LETTURE MAI DISMESSE