Il Sole 24 Ore - Domenica

VOCI DI PESO NEI CORRIDOI DEL POTERE

Il volume curato da Melis e Natalini esplora un tema a lungo ignorato: quello dei gabinetti ministeria­li, importanti per la macchina governativ­a

- Di Sabino Cassese

«Anche il più assoluto dei monarchi è vincolato a rapporti e informazio­ni e dipende dai suoi consiglier­i». «Laddove si coagula uno spazio di potere, si organizza immediatam­ente e nella stessa misura anche un’anticamera per questo potere. Ogni aumento del potere diretto inspessisc­e e concentra anche l’atmosfera degli influssi indiretti». La «battaglia per il corridoio» vide perdente perfino Bismarck, che al re e imperatore negava il diritto ad ascoltare il rapporto di un ministro, se egli, Bismarck, presidente del Consiglio dei ministri, non era presente. Quindi, «anche un Bismarck dovette naufragare nel vecchio ed eterno problema dell’accesso al vertice». Queste osservazio­ni costituisc­ono il filo intorno al quale si dipana il Dialogo sul potere scritto da Carl Schmitt nel 1954 e pubblicato in italiano da Il Melangolo (Genova, 1990).

Il «corridoio del potere» di cui parla Schmitt è costituito oggi dai gabinetti ministeria­li, istituzion­e fondamenta­le, ma sfuggente nella quale hanno lavorato circa 5mila persone dall’Unità d’Italia e alla quale storici e studiosi di scienze politiche si stanno dedicando. Il tema è stato a lungo ignorato. Uno degli studi pioneristi­ci fu quello di Gaetano d’Auria sulla durata in carica dei capi di gabinetto e dei capi degli uffici legislativ­i, pubblicato nella «Rivista trimestral­e di diritto pubblico» del 1981, seguito da numerosi saggi contenuti nel n. 3 del 2006 della stessa rivista e da quelli pubblicati nel n. 1 del 2007 del «Giornale di diritto amministra­tivo», ma il numero più cospicuo di ricerche si deve all’iniziativa di Guido Melis, che ha già curato, insieme con Giovanna Tosatti, un volume, pubblicato dal Mulino nel 2019, intitolato Il potere opaco. I gabinetti ministeria­li nella storia d’Italia, contenente una raccolta di profili biografici di circa 60 membri degli staff ministeria­li dall’Unità ad oggi, oltre a curare una banca dati e interviste con i “gabinettis­ti”.

Questo volume si apre con un saggio di Fabrizio Di Lascio e di Giulio Francisci, che traccia un profilo comparativ­o di questo fenomeno nuovo e crescente, che ha eterogenei­tà di forme ed è mosso dalla domanda di competenza “partigiana”. Nelle esperienze straniere, i gabinetti gestiscono i rapporti politico-istituzion­ali del ministro, la comunicazi­one, l’elaborazio­ne di politiche pubbliche. La loro presenza ha effetti diversi sull’amministra­zione. Le dimensioni, ridotte nei paesi anglosasso­ni e scandinavi, e in Belgio e Portogallo, sono ampie in Francia e in Italia. Le carriere e le reti dei “gabinettis­ti” sono anch’esse molto diverse da Paese a Paese. Giovanna Tosatti esamina il fenomeno nei governi liberali e fascisti partendo dalla disciplina disposta da Cavour nel 1853, seguendo la disordinat­a crescita dei gabinetti e il dibattito intorno al numero dei componenti, giudicato già subito dopo l’Unità “una folla”. Segue il regolament­o del 1906. Assetto e ruolo dei gabinetti nel periodo fascista non si modificano e continua a lamentarsi l’eccesso di personale e del relativo costo. Anche la disciplina del 1924 rimane disapplica­ta. Mentre l’apparato alle dirette dipendenze del duce è molto complesso, nel ventennio fascista si può segnalare un solo capo di gabinetto politico.

Melis ripercorre il periodo della prima Repubblica, quando si registra «una svolta di grande rilievo» perché i gabinetti diventano il «perno centrale» del sistema di governo a causa della sfiducia nelle amministra­zioni (non epurate dopo la caduta del fascismo), della loro debolezza e della fiducia nei grandi corpi, Consiglio di Stato, Corte dei conti e Avvocatura dello Stato. Quattro ministeri riescono a difendersi (Affari esteri, Interno, Difesa, Giustizia), mentre vengono nominati nei gabinetti di altri dicasteri consiglier­i di Stato, prefetti, magistrati. Si costituisc­ono coppie fisse ministro-capo di gabinetto. Si afferma la supremazia dei gabinetti sull’amministra­zione.

Alessandro Natalini osserva che nella cosiddetta seconda Repubblica i numerosi tentativi, fatti nel 1999, nel 2001, nel 2006 e nel 2012, di disciplina­re la materia non hanno successo. Non vi è un’inversione di rotta, salvo un aumento dei consiglier­i parlamenta­ri utilizzati per i gabinetti ministeria­li. L’ultimo saggio, di Giulio Francisci, riguarda i titolari delle cariche di vertice rimasti per più lungo tempo. Francisci nota che il 70% proviene dal Centro - Sud, che si tratta di quasi tutti uomini, con preparazio­ne giuridica, con forte intercambi­abilità tra capo di gabinetto e capo ufficio legislativ­o, grande versatilit­à e scarsa politicizz­azione. Le conclusion­i d’insieme possono così riassumers­i: i gabinetti, da meri uffici interni ai dicasteri, si espandono progressiv­amente, diventano autonomi, utilizzano sempre più personale esterno provenient­e dai grandi corpi, assumono passo dopo passo la guida effettiva dell’amministra­zione (del cui declino sono effetto e causa nello stesso tempo) e contribuis­cono a creare una rete orizzontal­e tra le amministra­zioni.

Per terminare, due osservazio­ni. La prima è che la vicenda dei gabinetti conferma il giudizio sulla storia delle amministra­zioni: si svolge nel segno della continuità. La seconda è che la presenza di tanto sviluppati uffici di staff renderebbe inutili i vari sistemi delle spoglie, se dietro a questi non vi fosse l’antica prassi clientelar­e delle classi politiche, di destra e di sinistra.

GLI ESPONENTI AL VERTICE SONO PER IL 70% DEL CENTRO-SUD, QUASI TUTTI UOMINI, CON PREPARAZIO­NE GIURIDICA

Guido Melis,

Alessandro Natalini (a cura di) Governare dietro le quinte il Mulino, pagg. 202, € 20

 ?? ??
 ?? FRANCO MATTICCHIO ?? Matticchia­te
FRANCO MATTICCHIO Matticchia­te

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy