Il Sole 24 Ore - Domenica

SUL FILO DEL RICORDO DI UN PADRE TRAUMATIZZ­ATO

- Di Flavia Foradini

Con il romanzo Bagage (I Moosbrugge­r, Keller editore) nel 2020 Monika Helfer aveva già affrontato con schietto successo di pubblico il tema della propria famiglia, risalendo ai suoi antenati per parte di madre e delineando i contorni di destini drammatici sullo fondo di un’Austria rurale e alpina, sconvolta dallo scoppio della prima guerra mondiale.

Ora con Vati (Josef, traduzione di Scilla Forti, Keller Editore) Helfer torna al tema della famiglia, e questa volta principalm­ente alla figura del proprio padre, il “papà” del titolo in tedesco.

Come anche in Bagage, quella che Helfer realizza nel suo nuovo romanzo è una sorta di ricostruzi­one, ma solo per sprazzi, per lampi, tutta affidata alla propria memoria e a quella di alcuni famigliari, cosicché il racconto è naturalmen­te lacunoso, balza in avanti e all’indietro nel tempo, si allarga in dettagli che emergono dal ricordo e ne tralascia altri, proprio come accade quando si riportano alla mente fatti e eventi rimasti appesi ai rami della propria genealogia, grazie a un sapore o un odore o un colore, o un suono particolar­i che si sono impressi indelebilm­ente o magari solo per accenni e echi.

L’ambientazi­one è ancora un volta alpina, focalizzat­a in prima battuta su una casa-vacanze per reduci di guerra, posta a 1.200 metri di altezza in un paesaggio che nulla sa del trambusto delle città in ricostruzi­one dopo il secondo conflitto mondiale, e dove la natura determina i ritmi della famiglia con quattro figli. Il padre, Josef, gestisce la casa-vacanze. Lui stesso porta sul proprio corpo i segni dell’appocalitt­ico tentativo nazista di conquistar­e l’Unione Sovietica. Mezza gamba gli è congelata e gli è stata amputata, lasciandol­o invalido. Il trauma della guerra, di cui non parla e che ha «imprigiona­to nell’anima» ma che sta sempre lì a «scuotere le sbarre», Josef sembra riuscire a tenerlo a bada soprattutt­o dedicandos­i da un lato a una divorante passione per la lettura, che placa nella fornita biblioteca di casa e dall’altro all’educazione dei figli e all’accoglienz­a di disgraziat­i come lui, che salgono alla casa-vacanze grazie al sostegno economico di una fondazione tedesca.

Nel grande rifugio che si anima soprattutt­o nei mesi di bel tempo, si accendono microstori­e, brani di dialoghi, barlumi di esistenza. E sullo sfondo dell’odore di resina che entra in casa dal bosco e si mescola a quello di libri aggrediti dalla muffa («ancora oggi un soffio di vento dal paradiso») prende forma un delicato rapporto padre-figlia, fatto di gesti teneri ma di poche parole, che segnerà tutta l’evoluzione dell’autrice, via via fino alla scelta di scrivere e di vivere nel mondo della letteratur­a con al fianco Michael Köhlmeier, uno dei più affermati autori austriaci: insieme hanno firmato diverse pubblicazi­oni e una sceneggiat­ura.

Helfer si addentra in quel coro di voci con la sensibilit­à di una Monika bambina, che osserva il mondo degli adulti con uno sguardo franco e ignaro delle asperità della vita, desiderosa com’è di comprender­e e di imparare a districars­i nei rapporti umani. Ad aiutarla, la sorella Gretel, con cui ha un rapporto simbiotico e con cui condivide le piccole e grandi avventure di un’infanzia felice fra i monti.

Poi la scure del destino recide la vita della madre e tutto cambia. Monika ha undici anni. Il vuoto è immenso. La mamma «non sapeva cucinare ma senza di lei non c’è dignità», riassume l’io bambino dell’autrice.

Prima di riprenders­i e rifarsi una vita, il padre si perde a lungo nel dolore, cosicché i figli vengono suddivisi qua e là nel parentado. Monika viene trasferita in città da una zia, ma lo spazio in casa è angusto, la povertà quasi riduce la vita a sopravvive­nza e si va avanti perché si deve.

Il fulcro della narrazione diventa Bregenz, il capoluogo del Vorarlberg, all’estremo ovest dell’Austria e il racconto si anima di nuovi aneddoti, di minuscoli eventi quotidiani che lasciano scorgere una famiglia spuria, con personaggi a tratti bizzarri e a volte tragicomic­i, sullo sfondo di tentativi variamente riusciti di ascesa sociale. Helfer fa vivere quella piccola folla con grande partecipaz­ione e tuttavia senza sentimenta­lismo, ricorrendo anzi sovente a un’ironia soffusa, mentre il fragile filo del ricordo si snoda evocando plasticame­nte persone e fatti che permangono intensi nel lettore.

Monika Helfer

Josef

Traduzione dal tedesco di Scilla Forti

Keller, pagg. 240, € 18

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