SUL FILO DEL RICORDO DI UN PADRE TRAUMATIZZATO
Con il romanzo Bagage (I Moosbrugger, Keller editore) nel 2020 Monika Helfer aveva già affrontato con schietto successo di pubblico il tema della propria famiglia, risalendo ai suoi antenati per parte di madre e delineando i contorni di destini drammatici sullo fondo di un’Austria rurale e alpina, sconvolta dallo scoppio della prima guerra mondiale.
Ora con Vati (Josef, traduzione di Scilla Forti, Keller Editore) Helfer torna al tema della famiglia, e questa volta principalmente alla figura del proprio padre, il “papà” del titolo in tedesco.
Come anche in Bagage, quella che Helfer realizza nel suo nuovo romanzo è una sorta di ricostruzione, ma solo per sprazzi, per lampi, tutta affidata alla propria memoria e a quella di alcuni famigliari, cosicché il racconto è naturalmente lacunoso, balza in avanti e all’indietro nel tempo, si allarga in dettagli che emergono dal ricordo e ne tralascia altri, proprio come accade quando si riportano alla mente fatti e eventi rimasti appesi ai rami della propria genealogia, grazie a un sapore o un odore o un colore, o un suono particolari che si sono impressi indelebilmente o magari solo per accenni e echi.
L’ambientazione è ancora un volta alpina, focalizzata in prima battuta su una casa-vacanze per reduci di guerra, posta a 1.200 metri di altezza in un paesaggio che nulla sa del trambusto delle città in ricostruzione dopo il secondo conflitto mondiale, e dove la natura determina i ritmi della famiglia con quattro figli. Il padre, Josef, gestisce la casa-vacanze. Lui stesso porta sul proprio corpo i segni dell’appocalittico tentativo nazista di conquistare l’Unione Sovietica. Mezza gamba gli è congelata e gli è stata amputata, lasciandolo invalido. Il trauma della guerra, di cui non parla e che ha «imprigionato nell’anima» ma che sta sempre lì a «scuotere le sbarre», Josef sembra riuscire a tenerlo a bada soprattutto dedicandosi da un lato a una divorante passione per la lettura, che placa nella fornita biblioteca di casa e dall’altro all’educazione dei figli e all’accoglienza di disgraziati come lui, che salgono alla casa-vacanze grazie al sostegno economico di una fondazione tedesca.
Nel grande rifugio che si anima soprattutto nei mesi di bel tempo, si accendono microstorie, brani di dialoghi, barlumi di esistenza. E sullo sfondo dell’odore di resina che entra in casa dal bosco e si mescola a quello di libri aggrediti dalla muffa («ancora oggi un soffio di vento dal paradiso») prende forma un delicato rapporto padre-figlia, fatto di gesti teneri ma di poche parole, che segnerà tutta l’evoluzione dell’autrice, via via fino alla scelta di scrivere e di vivere nel mondo della letteratura con al fianco Michael Köhlmeier, uno dei più affermati autori austriaci: insieme hanno firmato diverse pubblicazioni e una sceneggiatura.
Helfer si addentra in quel coro di voci con la sensibilità di una Monika bambina, che osserva il mondo degli adulti con uno sguardo franco e ignaro delle asperità della vita, desiderosa com’è di comprendere e di imparare a districarsi nei rapporti umani. Ad aiutarla, la sorella Gretel, con cui ha un rapporto simbiotico e con cui condivide le piccole e grandi avventure di un’infanzia felice fra i monti.
Poi la scure del destino recide la vita della madre e tutto cambia. Monika ha undici anni. Il vuoto è immenso. La mamma «non sapeva cucinare ma senza di lei non c’è dignità», riassume l’io bambino dell’autrice.
Prima di riprendersi e rifarsi una vita, il padre si perde a lungo nel dolore, cosicché i figli vengono suddivisi qua e là nel parentado. Monika viene trasferita in città da una zia, ma lo spazio in casa è angusto, la povertà quasi riduce la vita a sopravvivenza e si va avanti perché si deve.
Il fulcro della narrazione diventa Bregenz, il capoluogo del Vorarlberg, all’estremo ovest dell’Austria e il racconto si anima di nuovi aneddoti, di minuscoli eventi quotidiani che lasciano scorgere una famiglia spuria, con personaggi a tratti bizzarri e a volte tragicomici, sullo sfondo di tentativi variamente riusciti di ascesa sociale. Helfer fa vivere quella piccola folla con grande partecipazione e tuttavia senza sentimentalismo, ricorrendo anzi sovente a un’ironia soffusa, mentre il fragile filo del ricordo si snoda evocando plasticamente persone e fatti che permangono intensi nel lettore.
Monika Helfer
Josef
Traduzione dal tedesco di Scilla Forti
Keller, pagg. 240, € 18