RITORNA RACHILDE, «UOMO DI LETTERE»
Due opere, «Monsieur Vénus» e «Perché non sono femminista», ripropongono l’autrice ribelle che portava i pantaloni e che stupì Oscar Wilde con le trame volutamente morbose dei suoi testi, scandalosi e controcorrente
stata davvero quell’enigmatica creatura in abito di lana nera a scrivere Monsieur Vénus?», si chiedeva Oscar Wilde, incuriosito dalla trama volutamente morbosa del libro, che adesso torna nella versione originale, nell’ottima traduzione di Matteo Pinna. Il romanzo, pubblicato per prudenza in Belgio da una debuttante poco più che ventenne, era stato prontamente sequestrato e la sconosciuta era stata condannata a due anni di carcere e a una pesante ammenda. Invano la polizia aveva fatto irruzione nell’appartamento parigino della scrittrice, cercando altre copie, da lei nascoste in casa di un amico.
La storia aveva tutto per vellicare la curiosità del pubblico fin-de-siècle. La protagonista, l’aristocratica Raoule de Vénérande, annoiata dall’alta società e poco attratta dagli uomini virili, viene sedotta dalla docilità e dalla femminea avvenenza di un giovane fioraio, l’efebico Jacques, «un bel maschio di ventun anni, la cui anima, dagli istinti femminili, si è sbagliata di involucro». Presto tra la protagonista mascolina e dominatrice e il remissivo amante si opera un rovesciamento di ruoli e a volte anche di abiti. Però quando Jacques si lascia sedurre da uno spasimante respinto da Raoule, la donna non resiste e lo fa uccidere. Ma il loro amore non è finito: dietro una porta segreta c’è un manichino di cera con i capelli rossi e le ciglia bionde del fioraio. «Gli occhi di smalto hanno uno sguardo adorabile». Di notte Raoule, dopo avere sostato un momento in ammirazione davanti a quella bellezza, bacia la bocca della statua che un meccanismo segreto fa muovere, animando contemporaneamente le cosce.
Quel successo di scandalo aveva reso rapidamente famosa Rachilde (1860-1953). Paul Verlaine si era complimentato con la scopritrice di «un nuovo vizio», persino lo scandaloso Jean Lorrain aveva commentato, stupito: «Lei ha nel cervello un’alcova in cui fa fornicare Saffo e Ganimede». L’ultracattolico Léon Bloy, dopo averla definita un’«ingenua perversa», aveva ammesso: «Lei va istintivamente verso le tenebre, come le piante vanno verso la luce». Persino l’egocentrico Maurice Barrès, stuzzicato da quel miscuglio di decadentismo e di modernità, si era degnato di scrivere una prefazione all’edizione francese.
Oggi si registra un ritorno d’interesse per questa ribelle; anche l’autrice era un personaggio: niente in lei evocava la famiglia borghese di provincia in cui era cresciuta. Infatti, come George Sand molti anni prima di lei, vestiva spesso da uomo, spiegando che gli indumenti maschili erano meno costosi di quelli femminili e consentivano di girare da sole di notte. Una scelta assolutamente vietata da una legge, che però prevedeva alcune eccezioni: la donna che desiderasse o dovesse indossare i calzoni per motivi professionali poteva presentare una richiesta al prefetto di polizia per avere un permesso speciale. Tra le poche che l’avevano chiesto e ottenuto, c’erano la celebre Sarah Bernhardt e l’ancora sconosciuta Marguerite Eymery, il vero nome di Rachilde.
La fama, la scritta «Rachilde, uomo di lettere» sul suo biglietto da visita e il topo ammaestrato che si portava dietro le avevano aperto il mondo letterario della capitale. Dopo lunghe resistenze aveva ceduto e aveva sposato, vestita da ciclista, il riservato e tenace Alfred Vallette che l’aveva corteggiata per vari anni, malgrado i suoi incessanti tentativi di scoraggiarlo. Quando l’aveva incontrato per la prima volta lei era con la sua amante del momento, «una superba puttana», la poliedrica Gisèle d’Estoc, ex-amante di Maupassant. Senza lasciarsi scoraggiare dalle eccentricità della moglie, Vallette aveva fondato con lei una rivista, il «Mercure de France», destinata ad ospitare a lungo la letteratura più avanzata dell’epoca, da Gide ad Apollinaire. Lei recensiva i romanzi degli esordienti, o meglio li faceva leggere dalle sue amiche, per poi imbastisi re le sue recensioni sui loro riassunti. Ma era stata Rachilde a rivelare che l’autore della fortunata serie di Claudine non era il loro amico Willy, ma la sua giovane moglie, Colette. Però non era riuscita a guardare oltre alla reputazione mondana di Proust, che aveva trovato soporifero. A tutti preferiva il suo stravagante amico, Alfred Jarry, il creatore di Ubu re, che un giorno, stanco di vederla leggere un quotidiano in sua presenza, aveva sparato un colpo di pistola nel giornale.
Rachilde era generosa: quando Verlaine, devastato dall’alcolismo, era stato sfrattato dal suo rifugio, l’aveva ospitato nel suo appartamento, non senza essersene precauzionalmente assentata. Aveva confortato l’esilio di Wilde e, come spiega Petra Dierkes-Thrun, aveva vegliato sulla sua gloria, allora insidiata dalla condanna per omosessualità. Presto il suo salotto, o meglio i suoi Martedì, erano affollati di personalità artistiche: da Jules Renard a Marcel Schwob, da Oscar Wilde a Aubrey Beardsley.
Chi non la amava trovava inquietante lo spettacolo dei topi bianchi che passeggiavano sulle ginocchia della scrittrice tutta vestita di viola, «borsetta viola, calze viola, cappellino viola, scarpe viola, guanti viola». Il pittore Gino Severini, allora ai suoi inizi, aveva notato la vivacità inestinguibile con cui Rachilde, «donna capricciosissima e difficile», dominava la conversazione.
Sempre pronta ad attaccare le mode, aveva pubblicato nel 1928 un pamphlet, «Perché non sono femminista», in cui deplorava l’ignoranza delle donne e la loro passività rispetto agli uomini e alla moda. Nello stesso libro però spiegava di essere stata spesso delusa dalle sue simili e di avere sempre rimpianto di non essere un uomo. «Non essendo, ahimé! né della razza delle femmine, le uniche creature davvero indispensabili alla vita normale, né della razza delle cortigiane, ugualmente necessarie all’esistenza di una società… mi accontento di rimanere un reporter, cioè di restare neutra prendendo appunti senza schierarmi».
Intanto continuavano a uscire i suoi scandalosi romanzi, salutati da incessanti successi, dalla Marchesa de Sade all’ Ora sessuale. In Francia è stato appena ripubblicato da Folio Gallimard uno dei suoi primi libri, Madame Adonis, in cui una castellana, che si presenta di volta in volta come donna e come uomo, seduce entrambi i membri di una coppia di giovani sposi in viaggio di nozze.
Le sarebbe stato fatale lo scontro con i surrealisti, che criticava per quella che le sembrava la sterilità della loro rivolta contro tutti e tutto. Era così cominciato un tramonto, che avrebbe affrontato senza tentare compromessi con il presente. «Dicono che non ho avuto il posto che meritavo. Ammettiamolo, ma che importa? Ho avuto il posto che mi sono fatta».
Rachilde
Monsieur Vénus. Romanzo materialista a cura di Matteo Pinna
Wom, pagg.184, € 18
Rachilde
Perché non sono femminista a cura di Francesca Sensini Prospero, pagg.96, € 12
ESORDì POCO PIù CHE VENTENNE, IL ROMANZO FU SUBITO SEQUESTRATO E LEI FU CONDANNATA A DUE ANNI DI CARCERE