GIROLAMINI, UNA VISIONE UNIVERSALE
Qualche anno fa, su questo giornale, Stefano Salis annunciò («Ai Girolamini, in nome del libro», 31 dicembre 2018), con felice commozione, il fervido avanzare di un lungo lavoro di restauro del complesso dei Girolamini (chiesa, chiostri, pinacoteca, biblioteca), fortemente voluto, sin dal 2013, dall’allora Ministro dei Beni culturali, Massimo Bray. Da un mese la Chiesa, fondata dai Filippini, è riaperta al pubblico e grazie alla sollecitudine e alla passione dell’attuale direttrice del complesso, Antonella Cucciniello, presto lo sarà anche la Biblioteca, con il prezioso Fondo Valletta per il quale si prodigò Giambattista Vico. Tra le elette rarità si segnala, a fondamento di ogni altro universale, lo splendido codice in pergamena della Commedia, della metà del XIV secolo, arricchito da 146 miniature e fregi, primo testimone del poema nell’Italia meridionale che attesta, parallelamente al Boccaccio, nel XXVI del Paradiso, l’autorizzazione di Adamo a Dante a rinominare il creato nell’eterno: «Dante, la voglia tua discerno meglio». Non solo Beatrice lo apostrofa, ma il primo padre consacra Dante, a dar nome ai redenti.
I Girolamini sono un complesso architettonico, artistico, librario e anche musicale (vi passò, tra i fondatori, Giovenale Ancina, autore del Tempio armonico, 1599; si vedano le pagine illuminanti di Anne Piéjus, Musique, censure et création : G. G. Ancina et le Tempio armonico, Olschki 2017) tra i più importanti in Europa, e certo il più ricco dell’Italia meridionale. Ma aggiungerei: rappresentano la sintesi umanistica e illuminata della civiltà italiana moderna. Qualche cenno soltanto: dal punto di vista architettonico la chiesa venne eretta alla fine del XVI secolo su progetto del fiorentino Giovanni Antonio Dosio in forme di ispirazione brunelleschiana, prendendo a modello la chiesa di San Giovanni dei Fiorentini di Roma, mentre dopo la morte del Dosio la stessa fu continuata da Dionisio Nencioni di Bartolomeo, anch’egli di Firenze, fino al completamento nel 1619; insomma l’umanesimo fiorentino, migrato a Roma (come la famiglia di Filippo Neri) e installato, per una sintesi alta, a Napoli. Le pareti stesse sono ornate da capolavori del Pomarancio e di Federico Zuccari, di Guido Reni, Pietro da Cortona, Luca Giordano.
Si è accolti, del resto, dall’affresco di Luca Giordano, sulla controfacciata, raffigurante la Cacciata dei mercanti dal tempio del 1684; l’elogio della povertà non poteva essere più esplicito e bilanciato – d’altra parte – dalla straordinaria attenzione ai libri che fanno dei Girolamini la seconda biblioteca pubblica più antica d’Italia. Occorre, proprio in questa prospettiva storica, approfondire il significato simbolico della Cappella di San Carlo Borromeo: essa ci presenta delle tele emblematiche: San Carlo Borromeo bacia le mani a San Filippo Neri (fine XVII secolo, Luca Giordano); San Carlo Borromeo e San Filippo Neri in preghiera (Luca Giordano); San Filippo Neri incontra San Carlo Borromeo sul cantiere di Santa Maria della Vallicella in Roma (Luca Giordano); Madonna con Bambino (Luca Giordano).
Di San Carlo Borromeo in visita alla Sindone di Torino ci sono decine di quadri, tra la Lombardia e il Piemonte; ma di questo incontro tra i due grandi riformatori (essi si incontrarono effettivamente nel 1575, lungo il percorso devozionale – voluto da Filippo Neri – delle Sette Chiese, descritto da Mariano Armellini nel suo repertorio storico Le chiese di Roma, 1891), le testimonianze essenziali sono a Napoli, in quella cappella di San Carlo, alle quali si aggiunge il quadro di Domenico Mondo nella chiesa di Sant’Aspreno ai Crociferi, trafugato e ora ritrovato – come molti dei preziosi volumi della Biblioteca dei Gerolamini – dal Nucleo Tutela dei Carabinieri.
Che cosa significa questa tenace volontà di saldare le due memorie? San Carlo (Arona, 1538-Milano, 1584) era più giovane di quasi una generazione di san Filippo Neri (Firenze, 1515-Roma, 1595); le due figure ebbero un diverso destino nella tradizione storiografica italiana: l’uno celebrato, sino alla tradizione più recente, come il “campione della Riforma cattolica” (o, per altri, della Controriforma); l’altro evocato per la sua subventio pauperum, per la sua carità, per la sua capacità di alleare devozioni e
UN COMPLESSO LA CUI SINTESI SI FA BANDIERA DI ESSENZIALITà E CULTURA, POPOLO E ARTE
cultura popolare. A Napoli, nell’intuizione oratoriana, essi son chiamati a incontrarsi, in quel fervore operoso di gioiosa sapienza del quotidiano e di visione universale di una tradizione mai spenta, che Giambattista Vico (Napoli, 16681744), fedele ai Girolamini, rinnoverà per fondare la coscienza storica dei tempi moderni. Non a caso, in quel secolo XVIII, la sintesi sarà espressa a Napoli da Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787), del quale cantiamo ancora ad ogni Natale – eco delle “canzoncine spirituali” dei Filippini – Tu scendi dalle stelle.
Basterebbero questi esempi a fare dei Girolamini un esperimento europeo di alleanza di sobria essenzialità e cultura, di visione universale di popolo e di arte, che tanto contò nella testimonianza cattolica del Novecento, da don Lorenzo Milani a David Maria Turoldo, da Bernanos a Bresson. Non è un caso che questo mirabile progetto non abbia avuto – in un’Italia sempre divisa tra chierici e laici, stenterelli gli uni e gli altri – degni araldi: del resto i migliori interpreti di san Filippo Neri son stati i francesi Louis Ponnelle e Louis Bordet, Saint Philippe Neri et la société romaine de son temps: (15151595), Parigi 1929.
Attendono una destinazione le luminose celle dei padri oratoriani che circondano il mirabile chiostro degli Aranci: è vivamente da auspicare che – con investimenti pubblici e privati – esse divengano il fulcro di una rinata civiltà dello spirito che in questa Napoli ha trovato una sintesi non più di patrie (Firenze, Roma, Napoli riunite), ma di cosmo, davvero un “tempio armonico” di tutte le speranze dell’umanità.