KIEFER RIPARTE DALLE MACERIE DELLA STORIA
A Palazzo Strozzi l’artista crea un percorso iniziatico che comincia con l’arcangelo Michele su foglia d’oro per finire nella sala della filosofia
Il ventre nero dell’HangarBicocca a Milano, oggi vuoto ma un tempo brulicante di macchine e di lavoro, gigantesco simbolo della nostra rivoluzione industriale; gli appartamenti sfarzosi dei Dogi di Venezia, pensati per sbalordire regnanti e ambasciatori del mondo intero quando la città era al culmine della sua potenza mercantile e politica; la grandiosità severa e razionale di Palazzo Strozzi a Firenze, prova fra le più alte del pensiero umanistico e dell’architettura rinascimentale: con ognuno di questi luoghi italiani tanto carichi di simboli e di storia Anselm Kiefer ha ingaggiato un corpo a corpo capace di sgomentare chiunque ma non lui, che ci si è confrontato alla pari, senza mai cadere nel gigantismo magni(vani)loquente in cui sprofondano in tanti.
La ragione sta sicuramente nella vastissima cultura di Kiefer ma anche, spiega, perché «il lavoro sui grandi formati è [per me] questione di necessità. Ne ho bisogno perché investo fisicamente su me stesso e io amo lavorare con il mio corpo». Lo fa anche ora, a 79 anni: è nato infatti nel 1945 in Germania, poco prima che il Terzo Reich crollasse. E, educato nel cattolicesimo (seppure presto in fuga da esso, verso altre forme di spiritualità: quella ebraica e quelle orientali specialmente), non è mai riuscito a sfuggire al senso di colpa per le atrocità del nazismo, di cui si è fatto carico senza riuscire mai a elaborarle. Nella grandiosità del suo lavoro si avverte ovunque, infatti, il seme del dolore che lo accompagna, e ovunque ci s’imbatte nelle «macerie»