UNA SCINTILLANTE MUTEVOLEZZA
Jean Cocteau in una bella mostra alla Collezione Peggy Guggenheim (che con lui inaugurò la sua galleria) conferma tutta la sua modernità nella poliedricità del suo genio sempre in moto
Tra i molti che lo ritrassero in fotografia, fu Philippe Halsman quello cui riuscì di rappresentare la molteplicità di Jean Cocteau (1889-1963), il suo immenso talento esondante in mille rivoli. La sessione ebbe luogo a New York nel 1949. Parecchi furono gli scatti memorabili (uno cita L’aquila a due teste e scinde il volto di Cocteau in due metà, con gli occhi chiusi ovvero aperti), ma la foto celeberrima è una: grazie a un montaggio ingegnoso, Cocteau appare dotato di sei braccia con le quali scrive, disegna, ritaglia, solleva un libro, posa come retore, fuma l’ennesima sigaretta. Tutto sapeva fare, tutto gli riusciva facile e immediato e rinasceva per vivere in una metamorfosi continua: scrittore, poeta, cineasta, artista grafico, costumista, scenografo, non erano con lui qualificazioni di una creatività ricchissima e dispersiva; erano invece stati provvisori di un flusso mai esaurito, scintillante della propria mutevolezza. In quell’agire stava la grandezza dell’artista, assai più che nei singoli esiti.
La fotografia di Halsman accoglie il visitatore all’ingresso della magnifica mostra che la Collezione Peggy Guggenheim ha allestito a Venezia. Ma è un’altra l’immagine simbolo di questa esposizione: una foto un po’ sfuocata nella quale Cocteau siede nel giardino di casa Guggenheim, palazzo Venier dei Leoni, e indossa i caratteristici occhiali a farfalla della mecenate. Ecco la sua autoironia, il gioco, la rappresentazione in maschera; ma anche la capacità (forse la coazione) di trasformarsi nell’interlocutore e di assumerne i codici per stabilire un contatto. Con le figure decisive della sua crescita artistica, Anna de Noailles, Proust, Djaghilev, Picasso, Stravinskij, Cocteau fu uno Zelig impareggiabile e inesausto.
Il rapporto tra la Guggenheim e Cocteau è ricordato da Peggy nelle sue memorie. Proprio a lui, presentatole da Duchamp, venne dedicata la mostra inaugurale di “Guggenheim Jeune”, la galleria londinese aperta nel 1938. L’artista contribuì con trenta tavole per le scene degli Chevaliers de la Table Ronde e con uno straordinario disegno a inchiostro realizzato su un lenzuolo, La Peur donnant ailes au Courage, un intreccio di misteriosi personaggi allegorici su un altrettanto misterioso paesaggio insieme montano e marino. Bloccato alla frontiera britannica perché i doganieri eccepirono sui ciuffi di peli pubici, che sbuffavano dalle figure come fumo da un incensiere, il capolavoro finì appeso nella camera da letto della stessa Peggy Guggenheim. Da sola, la tela vale la mostra veneziana: in essa c’è tutto il mondo di Cocteau, la serpentina luminosa del suo tratto grafico, l’enigma delle parole che solcano il corpo, l’eros, la sospensione incantata nel sogno. Quest’ultimo, l’onirica sorgente delle forme, è ciò cui l’immaginario dell’artista si abbevera, sia nei disegni (alcuni dei quali hanno l’aura del fantastico grazie all’assunzione di oppio, suo perenne incubo e rifugio), sia nel cinema (dove lo specchio, ossessione dell’artista, è ingresso in un mondo più reale del reale), sia nella creazione di oggetti cui si dedicò nell’ultimo periodo della sua esistenza: in mostra a Venezia ve ne sono due meravigliosi, una luna soffiata dalla vetreria di Egidio Costantini a Murano e la spada di accademico di Francia, disegnata da Cocteau e realizzata da Cartier. L’atmosfera simbolico-surrealistica è innegabile: forse Jean fu il più surrealista degli esclusi dal clan di André Breton, che lo detestava.
Nell’anatema di Breton v’era una dichiarata dimensione di omofobia. Nessuno ebbe mai dubbi sull’omosessualità di Cocteau, che nell’anonimo Livre blanc si dichiarò per quel che era. È pur vero che la dimensione omosessuale, con tutta la sua importanza, è un criterio troppo parziale per dar ragione di un uomo così complesso. La mostra veneziana insiste sull’estetica queer di cui
Cocteau è esponente (non sempre volontario); non solo vi abbondano i disegni pornografici omoerotici, ma didascalie e saggi in catalogo tendono a interpretare ogni cosa da tale angolazione: intenzione per certo legittima e tuttavia limitante e, sia lecito, ideologicamente un po’ vecchia. Dell’universo Cocteau si sarebbero potuti considerare tanti altri aspetti (un esempio: la religiosità dell’artista, dalla tormentata conversione e dal sodalizio con Maritain fino ai tardi affreschi per edifici sacri in Costa Azzurra): nessuna prospettiva ne risolve il trasformismo prodigioso, il coraggio di un eccesso di estro polimorfo, infine l’indipendenza e la libertà del carattere.
Quella di Cocteau, rispecchiata nella presente esposizione, è una libertà assoluta: fu libero da ogni tassonomia, dai generi e persino dall’opus, dalla riconversione dell’artista nello sbocco della propria arte. All’idea dell’opus magnum Cocteau fu riluttante, se non in modo programmatico, nella concretezza del proprio operare. La sua grandezza è nella testimonianza di uomo, nell’orgoglio degli errori e delle contraddizioni, nell’affermazione di vitalità: e nella luce brillante e nitida che investe ogni àmbito della sua azione. Se fu apolide déraciné perché inidoneo alle classificazioni, Cocteau seppe però, paradossalmente, farsi legislatore delle tante correnti artistiche incontrate: grazie al genio, latino e francese, della chiarezza: nella parola e nell’immagine creata.
Proprio per questo, Cocteau ritrova oggi, dopo i decenni di ombra seguiti alla sua morte, una formidabile modernità. La mostra a
Venezia si chiude con un video girato nel 1962 per il Ministero della Cultura francese (reperibile pure su YouTube) nel quale l’artista si rivolge ai giovani dell’anno Duemila. Una sorta di memoriale d’oltretomba, un monologo delirante e geniale nel quale si afferma il valore della fantasia e della sua fecondità oltre ogni intolleranza e contro la “robotizzazione” dell’individuo. Per strano che possa sembrare, questo video è perfettamente adatto a interpretare il nostro tempo. Vi si compiono i voti che Cocteau affidò alla propria lapide tombale a Milly-la-Forêt, dov’è incisa la più generosa delle epigrafi: “Je reste avec vous”.
IN UN FILMATO DEGLI ANNI 60, L’ARTISTA SI RIVOLGE AI GIOVANI DEL DUEMILA. UNA SORTA DI GENIALE MEMORIALE D’OLTRETOMBA
Jean Cocteau.
La rivincita del giocoliere Collezione Peggy Guggenheim,Venezia, Fino al 16 settembre, Catalogo Marsilio, pagg. 176, € 40