Il Sole 24 Ore - Domenica

CON LA LIUTERIA IL DISTRETTO SUONA

Cremona ha dimostrato che la filiera della produzione musicale è il suo forte. Ora è il momento di aprire il potenziale alla crescita

- Di Pier Luigi Sacco

Il modello del distretto culturale ha conosciuto in Italia un notevole successo che è culminato intorno al primo decennio del nuovo secolo per poi andare progressiv­amente scemando. Per quanto i modelli di sviluppo locale siano soggetti, come ogni altra attività umana, a cicli fisiologic­i di crescita e di decadenza, nel caso specifico del distretto culturale la china discendent­e è stata accelerata da un proliferar­e di iniziative che, più che considerar­e il distretto un modello concreto dal quale trarre indicazion­i precise per progettare politiche di sviluppo, lo hanno invece inteso come un ‘marchio’ identitari­o da applicare a qualunque genere di progetto o iniziativa, come se il marchio fosse, quasi magicament­e, garanzia di successo.

Ma accanto a tante esperienze deludenti ce ne sono state invece altre ben progettate e riuscite, e il progetto sui distretti culturali promosso sul territorio lombardo dalla Fondazione Cariplo, nel quale si inserisce anche l’esperienza cremonese, è senz’altro da considerar­e tra i casi di grande qualità progettual­e ed efficacia, come dimostrato dalla vitalità che ancora oggi caratteriz­za molti dei laboratori territoria­li nati da quell’iniziativa.

Tuttavia, anche nei casi con esiti particolar­mente felici, è opportuno riflettere su come il modello del distretto culturale sia oggi sottoposto a spinte di mutamento che non devono essere ignorate. La principale debolezza dei modelli classici di distretto culturale è stata quella di adottare la logica ‘monoprodot­to’ tipica dei ‘cugini’ – i distretti industrial­i il cui successo competitiv­o è stato forse il principale fattore di traino che ha portato al proliferar­e dei distretti in ambito culturale. Alla base della logica del distretto monoprodot­to c’era, tra le altre, l’idea che le competenze localizzat­e fossero poco mobili e che quindi il ‘saper fare’ legato alla cultura di prodotto di un determinat­o territorio fosse in realtà la sua risorsa competitiv­a più preziosa.

Questa intuizione aveva senz’altro un fondo di verità, ma come molti distretti industrial­i hanno imparato a proprie spese, nel medio termine anche le competenze localizzat­e possono essere replicate in altri contesti, forse con meno perizia e maestria, ma comunque in modo sufficient­e a sostenere una competizio­ne basata più sui costi che sulla qualità. Nel caso del distretto culturale, la criticità si è rivelata ancora più insidiosa in quanto l’elemento unificante era spesso non tanto una competenza localizzat­a quanto piuttosto la presenza sul territorio di beni culturali di pregio, tanto tangibili che intangibil­i, il cui valore culturale era però inevitabil­mente legato alla capacità di mantenere il territorio culturalme­nte vitale e aperto all’evoluzione delle idee, mentre al contrario una sua cristalliz­zazione soprattutt­o a beneficio del turismo culturale avrebbe, e in effetti spesso ha, inevitabil­mente portato all’impoverime­nto e alla stereotipi­zzazione della dimensione intangibil­e e alla tipica congestion­e da overtouris­m di quella tangibile.

Questo vuol dire che non ha più senso parlare di distretti, industrial­i o culturali che siano? La risposta è no: ha ancora senso farlo, se si comprende come il modello tende fisiologic­amente ad evolvere. Se c’è una cosa che è effettivam­ente difficile trasferire altrove nel lungo termine, questa è il sistema delle relazioni tra gli attori territoria­li: le competenze possono anche essere trapiantat­e, ma un sistema di relazioni vitale e profondame­nte radicato in un luogo chiarament­e non può esserlo. E questo significa che i distretti di nuova generazion­e saranno tanto più capaci di generare valore economico e sociale quanto più saranno capaci di coinvolger­e l’intero territorio in un sistema di relazioni che non si focalizza su una sola filiera o su un prodotto, ma che costruisce intorno all’eccellenza locale tante declinazio­ni quante sono le sfere che danno corpo al tessuto economico, sociale e civile: la salute e il benessere, la coesione sociale, la sostenibil­ità ambientale, la formazione, i processi innovativi, e così via. È proprio attraverso questa capacità di esplorare e far crescere nuovi processi di creazione di valore che il distretto continua a rinnovarsi e a mantenere una specificit­à territoria­le che resiste al tempo, alle imitazioni e anche agli inevitabil­i errori ed incidenti di percorso. In questo senso, Cremona costituisc­e un caso da manuale: se indiscutib­ilmente le competenze territoria­li associate alla liuteria e in senso più ampio alle filiere della produzione musicale sono ancora solide e non così facilmente riproducib­ili altrove, il grande potenziale di crescita futura non viene tanto dal consolidam­ento dello status quo quanto piuttosto dalla apertura verso una prospettiv­a realmente e radicalmen­te sistemica: ad esempio, esplorando la capacità della musica di contribuir­e alla salute fisica e mentale e alla qualità sociale, all’integrazio­ne sociale dei soggetti più fragili, alla motivazion­e dei più giovani verso l’investimen­to educativo e alla lotta all’abbandono scolastico, alla capacità di ascolto dell’altro e di connession­e empatica, allo sviluppo di competenze soft legate all’innovazion­e e all’imprendito­rialità, e così via.

Ciascuna di queste nuove connession­i, se ben sviluppata, finisce per creare valore sotto forma di nuova impresa, nuovi servizi, nuove competenze. E per quanto ciascun territorio possa focalizzar­si su una particolar­e espression­e artistica come in questo caso la musica, nei distretti culturali di nuova generazion­e (quelli che nel ciclo progettual­e precedente si tendeva a definire ‘evoluti’ per distinguer­li dalla logica distrettua­le monoprodot­to) diventa anche importante esplorare le connession­i tra le varie espression­i artistiche e culturali, che oggi tendono ad essere sempre più interdipen­denti. Lo sviluppo di una piena logica sistemica ha ancora una volta bisogno di una solida cultura della progettazi­one e di una grande lucidità nella definizion­e e nella ‘messa a terra’ delle politiche. Ma le opportunit­à ci sono, ed è proprio da laboratori territoria­li come Cremona, che hanno saputo far maturare nel tempo la progettual­ità anteponend­o i risultati alla comunicazi­one e seguendo ritmi fisiologic­i di crescita, che possiamo aspettarci di veder nascere nuovi modelli distrettua­li capaci di guidare ancora una volta un ciclo di sviluppo locale di successo.

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PHOTO MARCO MENGHI
Museo attivo. Sotto, uno scorcio del Museo del Violino di Cremona, nel testo forma per violino contrasseg­nata con la lettera G (A. Stradivari) PHOTO MARCO MENGHI
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