IL FISCHIO DEL VAPORE SUONA PER GIOVANNA MARINI
La Marianne senza bandiera della nostra musica popolare abbandona questo mondo, senza far rumore, ma offrendoci la possibilità di farne per lei, quando saremo pronti. Giovanna Marini, etnomusicologa, compositrice e cantante, fondatrice della Scuola di musica popolare più luminosa d’Italia (a Testaccio) e folklorista accademica e militante se n’è andata a ottantasette anni, lasciando un patrimonio di opere teatrali, musicali (soprattutto ballate e cantate) e letterarie che compongono un’unica, immensa (e ora da tutelare) narrazione del nostro folklore musicale e di un pezzo importante della nostra cultura popolare. L’ho conosciuta e sentita cantare diverse volte, ogni volta incontrando una voce diversa, nuova, vitale.
Lei ha condiviso, senza mai essere divisiva, il palco con autori notissimi come Dario Fo, Ascanio Celestini e Marco Paolini, ma anche (soprattutto) con testimoni della cultura popolare come i Pastori di Orgosolo e il Duo di Piadena, Michele Straniero e Caterina Bueno. E poi Francesco De Gregori, con cui nel 2002 registrò Il fischio del vapore, album folk strepitoso (altrove avrebbe vinto più di un Grammy) che comprendeva alcune sue storiche ballate, oggi poco frequentate, come I Treni per Reggio Calabria e Lamento per la morte di Pasolini. «La mia speranza – disse allora De Gregori a chi scrive – è che un disco così possa essere ascoltato da un ragazzo di 20 anni». Da parte sua, Giovanna ribadiva come «Francesco, in questo disco, ha cantato meglio di una mondina». Mi confessò poi, con inusuale civetteria, che in Francia era ben più nota dello stesso De Gregori (ho avuto modo di averne conferma in più occasioni).
Nel ’90 su iniziativa di Jack Lang, allora potentissimo Ministro della Cultura di Mitterand, il Théâtre de la Bastille le mise a disposizione una produzione dedicata, la Cantate profane à quatre voix. Nel diario di viaggio Italia quanto sei lunga (2004) racconta lo straniamento dei suoi studenti di Paris VIII, al cospetto di fenomeni ancestrali del nostro Paese come la Madonna dell’Arco vesuviana che fa miracoli al contrario, icona proto-femminista con occhio pesto. A lei i devoti chiedevano risarcimento dalle offese subite. Mondi marginali, eppure vivissimi. Nel 2001 rappresentò a Losanna il più celebre saggio storico del Novecento, Il Secolo Breve di Eric Hobsbawm. Perché Giovanna Marini è stata figlia – e prolifica madre – del secolo delle ideologie, ma anche delle sue grandi innovazioni sociali e culturali. Ha abbracciato entrambi, mai al seguito dei pifferi – e tantomeno dei diktat – del dogmatismo e del fanatismo che ha attraversato e segnato i lunghi decenni del suo viaggio artistico e civile (sessant’anni esatti). Sempre – al contrario – mettendo in scena da una parte gli ultimi, dall’altra gli eterocliti, i grandi innovatori non-dominanti della sua teogonia laica. Eroi che abbiamo abbandonato al loro destino, condannando il nostro.