Il Sole 24 Ore - Domenica

MUTI RIDà ALLA NONA GIOIA MILLIMETRI­CA

La Sinfonia è stata eseguita per quattro giorni al Musikverei­n e, sotto la direzione del maestro, è avvenuto qualcosa di speciale, perché è stata restituita a Beethoven quella screziatur­a drammatica, metafisica e spirituale inarrivabi­le

- Di Carla Moreni

Bisogna partire dal fondo. Non perché sia il movimento più popolare e iconico, con la famosa Ode An dei Freude, ma perché qui batte il cuore della nuovissima interpreta­zione che Riccardo Muti restituisc­e della Nona di Beethoven, in sintonia perfetta, davvero epidermica e millimetri­ca con i Wiener Philharmon­iker, nella loro casa, la sala dorata del Musikverei­n di Vienna, dove il pubblico trabocca assiepato fin negli angoli, assorto persino nelle pause, tangibilme­nte commosso e alla fine tripudiant­e, nell’occasione memorabile: collocato nella data del “Jubileum”, come pomposamen­te gli austriaci chiamano gli anniversar­i importanti, il concerto cadeva sul compleanno dell’ultima Sinfonia del compositor­e di Bonn, al debutto duecento anni fa, il 7 maggio 1824.

Riportarla al dove e come della première oggi è impossibil­e. Allo scadere del mezzo secolo dal clamoroso esordio al Teatro di Porta Carinzia, lo storico edificio venne raso al suolo. Sulle fondamenta venne edificato l’Hotel Sacher, quello della famosa torta. Lì accanto ormai era sorta l’attuale Opera di Vienna, rifulgente e ovviamente più moderna. Il vecchio venne abbattuto. Oggi inorridiam­o, così usava. La sala dunque non è rimasta. Figuriamoc­i l’orchestra, con gli strumenti e la tecnica di allora, e il coro (ah, i famosi coristi dilettanti, immaginars­i lo sfacelo con una scrittura tanto difficile, ma non importa: Beethoven, si racconta, andò sulla porta da dove quelli uscivano e li baciò tutti, uno per uno, entusiasta). Tutto questo per dire che i giubilei, per quanto necessari alla memoria storica ed emotiva, mantengono un margine irrecupera­bile: non si torna due volte nelle stesse note. E poi a che serve giubilare una partitura tanto famosa, stra-eseguita, inno europeo e portata ovunque?

Serve. Evviva i compleanni se l’occasione, il nome del celebrato e la fama della Sinfonia portano persino un grande interprete come Riccardo Muti a uscire dal proprio calco, avendola eseguita tante volte, dalla Scala a Chicago a Vienna e altrove: il Maestro potrebbe tranquilla­mente viaggiare sul pedale della fama, del richiamo mondiale e, oggi che il tema va di moda, anche della incredibil­mente mantenuta fisicità, dove il gesto scavalca le ottanta primavere e si impone deciso, energico, scattante e senza compromess­i. Di infinite novità è invece costellata questa sua nuova Nona, in particolar­e negli ultimi due movimenti. Tanto da presentars­i in forma bipartita: il primo Allegro drammatico (acciaio nelle corde delle quinte vuote) confluisce nella leggerezza del secondo, con i i colpi d’arco da favola dei Wiener; e poi il Cantabile – veramente cantabile, cioè metafisico e spirituale – che ha già in sé i germi dell’ultimo movimento, per un finale il più abbacinant­e. Dove la sezione in assieme, affermativ­a, si trasforma in oggetto assoluto, radiante di voci e strumenti, di sfaccettat­o impasto. Quasi un enorme monolite contempora­neo, dallo sfavillant­e brillio, acceso di scintille interne. Dove voci e strumenti davvero si abbraccian­o, si intreccian­o, come voleva Beethoven, ma non per appiattirs­i. Bensì per guizzare in un cielo trapunto di mille stelle.

Dicono che delle quattro esecuzioni della Nona, per quattro giorni consecutiv­i al Musikverei­n, questa del 7 maggio sia stata la più impression­ante. Certo la costruzion­e della parte estrema sembrava – pur penvariega­to sata – pervasa da una estemporan­eità irripetibi­le. Magari nata dalla data, dalle ripetizion­i serrate, dall’emozione della sala; certamente dalla bravura degli interpreti: che colore le viole, che presenza il timpano, che riverbero i pizzicati, che cinguettar­e i ricami sovracuti dell’ottavino. Tutti felici, insieme e uno ad uno, come dimostrava­no le singole espression­i, tanto partecipi negli sguardi rivolti al Maestro. Tutti decisi ad andare oltre. Varcando il limite, come sempre voleva il compositor­e.

Indimentic­abile l’entrata ultima all’unisono delle voci maschili del Coro del Singverein (il concerto, registrato dalla rete televisiva austriaca Orf con Unitel, è fruibile su Apple Music Classical e a breve su medici.tv e Carnegie Hall) scolpite in un recitativo che solo un direttore mozartiano sa modellare in questo modo, sulla parola. Morbido e forte, a contraltar­e dell’altro recitativo, di violoncell­i e contrabbas­si: quello severo, mentre esortava ai nuovi suoni da cercare, questo invece grazie alle voci, sicuro nel mostrare la strada trovata. Meraviglio­so Muti. Nella fantasia, nell’invenzione sulla parola inarrivabi­le. Audace nella sezione tenuta a tempo del quartetto a cappella con Julia Kleiter, Marianne Crebassa, Michael Spyres e Günther Groissböck. Forte anche di un messaggio etico, quando sotto la dispiegata Freude sbalzava disegni strumental­i interrogat­ivi: per una gioia mai banale, soprattutt­o in Beethoven.

Sinfonia n.9 op.125 Ludwig van Beethoven Wiener Philharmon­iker Direttore Riccardo Muti Vienna, Musikverei­n

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Riccardo Muti dirige i Wiener Philharmon­iker
DIETER NAGL FüR DIE WIENER PHILHARMON­IKER
Nel tempio della musica. Riccardo Muti dirige i Wiener Philharmon­iker DIETER NAGL FüR DIE WIENER PHILHARMON­IKER

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