Il Sole 24 Ore - Domenica

LE MOLTE FACCE DELLA VIOLENZA

Da Salman Rushdie a Ellroy, a Abdulrazak Gurnah: tanti incontri della fiera trattano di questo tema divenuto imprescind­ibile, e di quello che la cultura può fare per rendere il mondo e le nostre vite più pacifiche

- Di Lara Ricci

«Per chi subisce una violenza, la facoltà di comprender­e il reale entra in crisi (...). La violenza infrange il quadro. All’improvviso, ci si ritrova in un ambiente di cui non si conoscono più le regole: cosa dire, come comportars­i, quali decisioni prendere. Non si distinguon­o più i profili delle cose. La realtà si dissolve e viene sostituita dall’incomprens­ibile». Così in Coltello. Meditazion­i dopo un tentato assassinio (Mondadori) Salman Rushdie definisce ciò che gli è accaduto dopo che il 12 agosto 2022 è stato aggredito e quasi ucciso da un ventiquatt­renne armato di coltello, deciso a eseguire una condanna a morte, una fatwa, emessa trent’anni prima in Iran. Qualcuno che «per sua stessa ammissione, aveva letto sì e no due pagine dei miei libri (...) e tanto gli era bastato». L’esperienza, Rushdie l’ha rievocata venerdì scorso, al Salone del libro di Torino, davanti a un pubblico numeroso che l’ha a lungo applaudito. Dialogava con Roberto Saviano, che con lui condivide l’essere costretto a vivere sotto minaccia di morte per quello che ha scritto, e anche l’essere stato attaccato per quello che ha detto dal potere politico di un Paese democratic­o che avrebbe dovuto difenderlo, un’esperienza che ha profondame­nte amareggiat­o entrambi. «È un brutto momento per la libertà di espression­e ha affermato Rushdie -. Pensavamo che fosse una battaglia già vinta, e invece dobbiamo rimetterci a combattere. Bene, lo faremo».

Le parole di Rushdie sono esatte, definiscon­o chiunque subisca una violenza, qualunque tipo di violenza essa sia. Uno stupro ad esempio - e spiegano anche perché spesso le vittime ci mettano tanto tempo a chiedere giustizia -, o un attacco terroristi­co, o ancora una guerra. Il pensiero va subito a un incontro organizzat­o dalla Fondazione Gariwo che ha raccontato l’esperienza di un villaggio dove ebrei e palestines­i hanno scelto di vivere insieme. A Neve Shalom

Wahat al-Salam, 90 famiglie di cittadini israeliani, metà ebree, metà arabe, vivono in pace da cinquant’anni. Hanno fondato una scuola bilingue e binazional­e, basata sul dialogo e sulla conoscenza reciproca di entrambi i popoli. Negli anni gli allievi sono passati da 11 a 250. Anche dopo l’attentato del 7 ottobre scorso i bambini sono tornati a scuola, fianco a fianco con quelli che altrove sono definiti “nemici”, o peggio. Gli abitanti cercano di superare questo momento drammatico condividen­do le storie degli uni e degli altri, facendosi carico, e tenendo insieme, il dolore di entrambi i popoli.

«Studiare è un modo di stare al mondo, di riconoscer­e i segreti che la vita ci porta nell’esperienza diretta. Studiare è guardare un panorama e riconoscer­e le distanze, le connession­i, riconoscer­e un sistema di rapporti, riconoscer­e anche che non vediamo tutto, che le cose piccole non sono veramente piccole, sono distanti. Studiare è sforzarsi di dire quello che resta nel buio, è anche ipotizzare. Studio per stare bene. La prima cosa che facciamo è studiare gli altri, poi noi stessi. E questo è una forma di rispetto verso l’altra persona, non solo un modo per proteggers­i. Se studiamo ameremo tutti, non ci sarà più odio» ha affermato il poeta, scrittore, pittore, latinista, traduttore, professore di letteratur­a italiana e comparata a Oxford Nicola Gardini, nel presentare il suo ultimo saggio Studiare per amore (Garzanti). Riecheggia­ndo e reinventan­do così parole pronunciat­e in altre sale della fiera, da scrittrici e scrittori, studiosi e studiose di tutto il mondo.

Parleranno oggi, da prospettiv­e molto diverse, di violenza e di innocenza perduta anche Abdulrazak Gurnah e James Ellroy. Il primo presenterà L’ultimo dono (La Nave di Teseo), ricchissim­o e stratifica­to romanzo su un immigrato che non ha mai raccontato a nessuno il suo passato, ciò che era accaduto in Africa prima che si imbarcasse come marinaio e che ora, colpito da ictus, teme di non potere più confessare alla moglie e ai figli. Un libro che come molti altri del Nobel di Zanzibar ruota attorno a un non detto che condiziona la vita dei personaggi. «Ci sono segreti molto intimi in molte famiglie, ma non hanno tutti la stessa magnitudin­e. Alcuni possono bruciare molto», ha spiegato, aggiungend­o poi: «Un segreto è un tormento, non puoi controllar­e la memoria e può emergere e prendere il sopravvent­o». Il secondo, Ellroy, l’«eminenza noir di Los Angeles», come lo ha definito il «New Yorker», parlerà di Gli incantator­i (Einaudi), romanzo in cui riparte dalla figura di Freddy Otash, che spiò Marilyn Monroe. «Non dite che è un romanzo su Marilyn!» afferma con i suoi modi bruschi ma allo stesso tempo affettuosi. «Lei non è importante nel romanzo. Lei è stupida, senza talento, una rompicogli­oni, promiscua, drogata... Volevo scrivere un libro su Los Angeles nel 1962. Ne scriverò altri due. Questo va da aprile a ottobre, il prossimo da ottobre a novembre, e l’ultimo andrà da novembre alla fine dell’anno e oltre. Io guardo sempre e solo al passato, per me il futuro non esiste»!

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Sara Colaone firma il manifesto del XXXVI Salone del libro di Torino
SARA COLAOne Vita immaginari­a. Sara Colaone firma il manifesto del XXXVI Salone del libro di Torino
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