QUANDO ALL’ARTISTA SALTA LA MOSCA AL NASO
Al Labirinto della Masone di Fontanellato «Musca depicta» (con relativo catalogo) indaga sulla presenza in quadri e opere dell’insetto. Tra illusioni ottiche, pezzi di bravura ed enigmatica simbologia
Fastidiosa? Senza dubbio. Mortifera? Certo. Enigmatica? Sicuro! La mosca accompagna la vita sulla Terra da duecento milioni di anni, ma il segreto del suo successo non è stato del tutto svelato. Esistono 85.000 diverse specie di ditteri – questo il suo nome scientifico – inclusa la mosca domestica che nei mesi caldi ci tormenta posandosi con inveterata ostinazione sul viso, sulle mani, sulle braccia.
Anche i pittori l’hanno scelta tra tutti gli insetti. Eppure la fama di cui godono appare decisamente negativa. Per Plinio il Vecchio è un animale che si nutre dei cadaveri, sicuro veicolo di malattie, tra cui la terribile peste, per non parlare del suo rapporto con Belzebù, il signore delle mosche, divenuto, nel passaggio dalla Bibbia ebraica a quella cristiana, il principe dei demoni. All’origine dell’interesse per la mosca esplosa nella pittura tra il XV e il XVII secolo ci sarebbe una storia leggendaria narrata dal Vasari nella sua vita di Giotto (1550). Durante il proprio apprendistato presso Cimabue il giovinetto dipinge una mosca sul naso d’una figura cui lavora il maestro; questi, tornato al lavoro, cerca di scacciarla con la mano pensando sia vera. Secondo Daniel Arasse, autore di Il dettaglio (1996), questo apologo contrassegna l’emergere della coscienza artistica “moderna”: la mosca finisce per esaltare le capacità illusionistiche della pittura: il trompe-l’oeil. Nel 1984 in un elegante libro pensato e realizzato da Franco Maria Ricci, Musca depicta, lo storico dell’arte André Chastel ha descritto, tra i primi, l’origine di questo tema in pittura: nascita, trionfo e declino della mosca. Quarant’anni dopo al Labirinto della Masone Sylvia Ferino-Pagden e Elisa Rizzardi organizzano una mostra dedicata alla comparsa del dittero nell’arte.
Sono 67 opere, dalla Vergine dell’Apocalisse con Santi e Angeli (dopo il 1391) di Giovanni del Biondo al video Fly di Yoko Ono (1970-1971), dal teschio di Damien Hirst, tempestato di mosche al posto dei diamanti, sino ai sorprendenti e macabri dipinti d’un pittore nostro contemporaneo, Maurizio Bottoni, autore di Vanitas.
Nelle stanze della collezione di FMR ci sono anche i libri dedicati alle mosche da Ulisse Aldrovandi (15421600) e da Francesco Redi (16261698), principi dei naturalisti e il manoscritto cartaceo dell’opera di Leon Battista Alberti (1442-43), Musca, vero encomio del dittero, opera comica e acutissima. Per Chastel la prima mosca trompe-l’oeil comparirebbe nell’opera di Petrus Christus, discepolo di Jan van Eyck. Nel Ritratto di certosino l’insetto è posto sopra la cornice con la firma dell’artista di dimensioni decisamente sproporzionate rispetto al dipinto medesimo. Per quale ragione? Chastel distingue tra le mosche posate sui dipinti e le mosche nei dipinti negli artisti del XV secolo. Le prime sarebbero quelle che rendono conto dell’abilità del pittore, come nella storia di Giotto, mentre le seconde indicherebbero il significato simbolico del dittero stesso.
Nel celebre autoritratto del Maestro di Francoforte (1496), l’insetto è poggiato come una macchia sulla cuffia della moglie del pittore. Sta a indicare il valore di caducità della esistenza umana, la precarietà d’ogni cosa nel mondo terreno: felicità, ricchezza e salute. Ma anche un’altra mosca è presente nel medesimo dipinto e sta per avvicinarsi al piatto con le ciliegie: un esempio della bravura dell’artista? Senza dubbio ha ragione Arasse quando, analizzando questo quadro, sottolinea l’obiettiva dif