E GRAMSCI SI SCAGLIò CONTRO L’ESPERANTO
Un volume ricostruisce gli scritti pubblicati nel 1918 anonimamente su «L’Avanti» Un grande laboratorio intellettuale e politico su problemi e figure sia italiane sia internazionali
Nel 1964 Palmiro Togliatti pubblica su «Paese sera» – recensendo una antologia dei suoi scritti il suo ultimo intervento su Antonio Gramsci, intitolato, e già questo è significativo, «Gramsci, un uomo», nel quale ridefinisce in termini nuovi la figura e il ruolo del suo vecchio compagno inserendolo nella nostra storia nazionale e proiettandolo quindi oltre quella del Partito comunista italiano.«Oggi, scrive, quando ho percorso via via le pagine di questa antologia, attraversata da tanti motivi diversi, che si intrecciano e talora si confondono, ma non si perdono mai, - la persona di Antonio Gramsci mi è parso debba collocarsi essa stessa in una luce più viva, che trascende la vicenda storica del nostro partito». Era il punto di arrivo di una lunga frequentazione sia di Gramsci che della sua opera.
Togliatti aveva ragione nel dire questo, e lo conferma l’edizione nazionale delle opere di Gramsci promossa dal Ministero della cultura, di cui sono già stati pubblicati molti volumi dai quali appare con evidenza la qualità e la profondità di un’opera che oggi si presenta con i tratti di un vero e proprio classico.
In questi giorni è uscito un nuovo volume che comprende gli scritti pubblicati da Gramsci nel 1918 – un massiccio volume a cura di Leonardo Rapone e di Maria Luisa Righi, i quali in una introduzione sobria e rigorosa precisano i caratteri del loro lavoro e i problemi incontrati: sono scritti in larga parte «privi di evidenti segni di riconoscimento, in omaggio a una regola che non era soltanto sua, ma che Serrati aveva voluto per tutti i collaboratori del giornale da lui diretto – si trattava de “L’Avanti” – sostenendo come lo stesso Gramsci ri«maestro» corderà, “che un giornale proletario deve essere anonimo e non deve servire da vetrina a nessuno”».
I curatori del volume hanno dovuto quindi in primo luogo individuare gli scritti attribuibili a Gramsci, di cui – ed è questo il secondo elemento di difficoltà – mancano i manoscritti (Gramsci scriveva gli articoli a mano). Un ulteriore merito di Rapone e della Righi è essere risaliti, quando sia stato possibile, alle bozze di stampa reinserendo in alcuni casi le parti di Gramsci censurate in articoli ammessi alla pubblicazione.
Rispetto alla situazione precedente in questa edizione sono inseriti diciassette articoli che «per la prima volta vengono presentati come opera di Gramsci», oltre a un breve trafiletto tratto dal «Grido del popolo». I curatori però hanno avuto l’accortezza di sottolineare il carattere inevitabilmente soggettivo delle scelte fatte e quindi la loro opinabilità, sia per le inclusioni che per le esclusioni.
Per capire l’importanza del volume vale la pena di riepilogare molto brevemente la storia editoriale degli scritti di Gramsci del 1918. Nel 1950 vennero pubblicate per la prima volta trenta critiche teatrali; altri 77 testi furono aggiunti nel 1958; 84 testi furono pubblicati rispettivamente nel 1958 e 1960. Nel complesso, a quella data, a Gramsci furono attribuiti con buona sicurezza 191 articoli e, tre «con un margine di dubbio». Un momento essenziale della fortuna di questi scritti è costituito dalla pubblicazione di due altri testi: La città futura e Il nostro Marx curati da Sergio Caprioglio, pubblicati nel 1982 e nel 1984. In essi ai testi già pubblicati furono aggiunti altri 87 articoli mai presi in considerazione fino a quel momento. In sintesi, il corpus degli scritti del 1918 a metà degli anni 80 è superiore di tre quarti alle edizioni degli anni 50-60: un grande lavoro. Il volume ora uscito rappresenta un altro notevole incremento nella conoscenza dei testi pubblicati da Gramsci nel 1918, e comprende anche – è un altro merito fondamentale del volume – le Cronache musicali attribuite a Gramsci.
Dalla lettura di questo massiccio volume appare con evidenza la varietà dei temi affrontati da Gramsci: si tratta in ultima analisi di un grande laboratorio intellettuale e politico su problemi e figure fondamentali sia italiane che internazionali (colpisce ad esempio l’attenzione che ha per il presidente americano Wilson) di quel periodo cruciale. Rilevanti, tra le altre, sono le considerazioni su Croce e particolarmente su Gentile: «il filosofo italiano che più in questi ultimi anni abbia prodotto nel campo del pensiero. Il suo sistema della filosofia è lo sviluppo ultimo dell’idealismo germanico che ebbe il suo culmine in Giorgio Hegel, ed è la negazione di ogni trascendentalismo, la identificazione della filosofia con la storia, con l’atto del pensiero in cui si uniscono il vero e il fatto, in una progressione dialettica mai definitiva e perfetta. Il Gentile, che ha scritto un volume sulla filosofia di Carlo Marx, anche pochi giorni fa nel dare un giudizio sulla “Lega delle nazioni” si serviva di concetti esplicitamente marxisti». Giudizio che potrebbe sorprendere solamente quelli che non sanno come Gentile sia stato per molti giovani intellettuali italiani di quel periodo il cui fare riferimento, a differenza dello stesso Croce di cui pure Gramsci apprezza la tesi secondo cui ogni storia è storia contemporanea.
Il volume affronta, si è detto, una ricchissima varietà di temi che non è ovviamente possibile riproporre qui. Vale la pena però di soffermarsi su un punto specifico al quale Gramsci fa riferimento più volte: la questione della lingua e in modo particolare la critica dell’Esperanto. Testi particolarmente rilevanti anche perché, discutendone, Gramsci, ed è da ogni punto di vista una rarità, fa un riferimento di carattere autobiografico accennando alla tesi di laurea che stava preparando «sulla storia del linguaggio», «cercando di applicare anche a queste ricerche i metodi critici del materialismo storico».
«La lingua internazionale è uno sproposito scientificamente – scrive –; le lingue sono organismo molto complessi e sfumati che non possono essere suscitati artificialmente». Il partito dovrebbe quindi combattere «questa fioritura di “buona volontà” utopistica e spropositante, come si combattono le altre utopie». E ancora, dopo aver citato con ampio consenso Ascoli: «L’Esperanto, la lingua unica, non è altro che un’ubbia, una illusione di mentalità cosmopolitiche, umanitarie, democratiche, non ancora rese fertili, non ancora smagate dal criticismo storico». Insomma – e questo è il centro della critica di Gramsci: «non c’è nella storia, nella vita sociale, niente di fisso, di irrigidito, di definitivo e non ci sarà mai ...».
LA VARIETà DEI TEMI è RICCHISSIMA MA SU UN PUNTO TORNA PIù VOLTE: LA QUESTIONE DELLA LINGUA
Antonio Gramsci
Scritti (1910-1926), 3, 1918 Istituto della Enciclopedia Italiana, pagg. 1040, € 70