L’UOMO CHE INVENTò LA DISCOGRAFIA
Con la curatela di Dino Mignogna, arriva l’autobiografia del primo produttore che ideò le registrazioni commerciali, inventando a suo gusto un repertorio ripetibile, rendendo immortali Caruso, Patti, Chaliapin
Ascoltate una qualunque voce registrata, una delle innumerevoli voci che giunge alle nostre orecchie dalle canzoni, dalle serie tv, dagli assistenti vocali. Chiudete gli occhi: in che modo quella voce sarebbe differente, se la persona a cui appartiene fosse di fronte a voi, nella vostra stanza? Siamo talmente abituati a vivere in un mondo di suoni riprodotti che ci è molto difficile coglierne la natura artificiale, costruita. Ancora più arduo è immaginare un mondo privo di quei suoni, come è stato per milioni di anni. L’ennesimo messaggio vocale di vostro marito che vi interroga sulla spesa è in realtà solo l’ultimo atto (e non certo quello finale) di una storia che dura da appena un secolo e mezzo, da quando l’essere umano ha concepito delle macchine in grado di fissare le onde sonore, di rimuoverle dalla loro fonte per spostarle nel tempo e nello spazio. Anche per questo le vicende alla base della registrazione del suono – un’invenzione ottocentesca, come molte di quelle che plasmano il nostro quotidiano – continuano a esercitare un fascino profondo. È ora disponibile per i lettori italiani un classico del genere: The music goes round, l’autobiografia di Fred W. Gaisberg pubblicata negli Stati Uniti nel 1942, ora meritoriamente ritradotta e curata dal musicologo Dino Mignogna (l’unica edizione italiana risaliva al 1949).Se l’epica del fonografo e del grammofono ha fra i suoi protagonisti soprattutto imprenditori-inventori come Thomas Edison ed Emile Berliner, Gaisberg incarna invece il prototipo di una nuova figura professionale, quella del produttore.
Pianista accompagnatore in alcune delle prime registrazioni commerciali, si ritrova ben presto investito di compiti più complessi in un’industria in rapida espansione. Le sue mansioni vanno dalla selezione dei musicisti alle trattative per i contratti, fino al “missaggio”: in una fase in cui ogni sessione era irripetibile e impossibile da correggere, al “produttore” toccava anche di strattonare il cantante per allontanarlo o avvicinarlo al diaframma del fonografo, assecondando la dinamica dell’esecuzione (se si cantava troppo piano, la voce sarebbe stata sommersa dagli strumenti; un acuto troppo forte, viceversa, avrebbe portato la puntina a saltare).
Dopo aver contribuito a lanciare la musica registrata negli Stati Uniti, all’inizio del secolo Gaisberg viene inviato in Europa per educare il vecchio continente al nuovo business e per registrare i migliori interpreti, che pesca soprattutto nel mondo della lirica (è infatti la voce umana a ottenere il massimo rendimento sui dischi e sui cilindri). Come nota Mignogna, Gaisberg si trova investito di una “responsabilità titanica”: selezionare, sulla base del suo gusto e dei limiti tecnici della neonata tecnologia, i repertori da fissare, commercializzare e dunque tramandare. Fra i nomi resi immortali dalle sue sessioni ci sono quelli di Enrico Caruso (che registra contro la volontà della casa discografica, che reputa eccessiva la richiesta economica del tenore), Adelina Patti, Feodor Chaliapin, Nellie Melba, Alessandro Moreschi (“l’ultimo castrato”, e l’unico mai documentato su disco). A tratti, dai ricordi di Gaisberg emerge la consapevolezza del passaggio epocale: «ripensando al passato – scrive – è difficile raccontare la tensione e il senso di responsabilità che provavo». In altri passaggi vince invece il gusto per l’aneddoto surreale. A Varsavia una vasca piena di acido (usato per fissare le incisioni) si rompe e gocciolando attraverso il pavimento ustiona un ignaro cliente dell’hotel addormentato al piano di sotto. Gaisberg e i suoi rischiano il linciaggio.
A Milano, venuti per ascoltare Caruso nella Germania di Alberto Franchetti, sono cacciati in malo modo dal palco della Scala che hanno occupato corrompendo una maschera, e l’agente italiano della compagnia viene sfidato a duello da un nobile locale per riparare il torto. Gaisberg passa poi in Oriente, dove mercati locali vergini e tradizioni inesplorate promettono guadagni facili. In Giappone si appassiona alla musica delle geishe, ma la voce dei cantanti uomini gli ricorda “il raglio di un asino”. Giunto in Cina nel 1903 annota: «I cinesi urlano a squarciagola quando cantano, possono eseguire solo due canzoni ogni sera, dopo di che arrochiscono”. In India riscontra come “nel giro di pochi anni” non rimanga più “molta musica tradizionale da registrare”, dato che lui stesso ha provveduto a fissare quasi tutto. Un po’ picaro un po’ imprenditore, un po’ etnomusicologo un po’ gentiluomo di fortuna, Gaisberg attraversa nelle sue memorie un mondo a noi lontanissimo, lasciando dietro di sé una scia di suoni registrati che – in buona parte – hanno contribuito renderlo così come oggi lo ascoltiamo.
Fred W. Gaisberg
La musica che gira. Memorie dell’età d’oro discografica Edizione italiana a cura di Dino Mignogna
LIM, pagg.288 , €25