È VERO PERCHé «LO DICONO I DATI»: FALSO!
Che cosa c’è di più oggettivo e probante dei dati? Che cosa ci mette al riparo da approcci ideologici e giudizi di parte più di freddi numeri e asettiche statistiche?
Il pericolo (o la tentazione) di cadere in questi interrogativi ogni tanto capita, poi ci si ricorda che i dati “vanno letti” ma la verità è che, osserva Donata Columbro (scrittrice e docente di data journalism al Master di giornalismo della Luiss),prima di interpretarli, si dovrebbe andare all’origine e capire che cosa i dati escludono, in quale contesto si è scelto di selezionarli (non semplicemente di “raccoglierli”). In altre parole, l’autrice dimostra che i dati in sé non dicono nulla: non sono neutri né incontestabili perché sono il frutto della «decisione che deriva dall’interesse nell’oggetto dell’indagine», e che indirizza quella ricerca.
Il titolo di questo agile volumetto va oltre, sottolineando che i dati discriminano: non rappresentano la realtà per quello che è, tacciono su tanti fronti, spesso alimentano forme di potere. Gli esempi sono numerosi, in Italia e all’estero. Si va dalla mancanza di considerazione per il corpo delle donne in ambito medico (diversi test clinici sono condotti solo sull’uomo) e tecnologico, come già denunciato da Caroline Criado Perez nel suo Invisibili (Einaudi 2022), all’assenza, tra i dati del censimento americano, dell’opzione “arabo” nella sezione “razza”, riscontrata nel 2020 dal Premio Pulitzer Mona Chalabi; dalla misurazione statistica basata per il 96% su campioni di persone cosiddette Weird (Western, Educated, Industrialized, Rich, Democratic) negli studi di psicologia, e per l’80% negli studi di Medicina, al calcolo di ricchezza e povertà fatto a livello familiare e non individuale. Quest’ultimo, realizzato così anche in Italia, «nasconde molte disuguaglianze interne, o abusi e violenze» ai danni del/della partner o dei figli, scrive Columbro, ricordando che la “violenza economica” risente moltissimo della mancanza di elementi dettagliati e disaggregati.
A ciò si affianca l’effetto generato dagli algoritmi: a fronte di dati incompleti e parziali, che marginalizzano e discriminano una persona o una comunità, ci sarà una moltiplicazione di quelle lacune prodotte dagli algoritmi e dall’intelligenza artificiale (inclusa quella generativa), con tutti i pregiudizi, le distorsioni e gli stereotipi che ne conseguono. Una catena difficile da spezzare, se non partendo da un elevato grado di consapevolezza, alla quale il lavoro di Columbro ci richiama.
Donata Columbro Quando i dati discriminano. Bias e pregiudizi in grafici, statistiche e algoritmi
Il Margine, pagg. 112, € 10