Il Sole 24 Ore - Domenica

TRE INTELLIGEN­ZE PER IL PROSSIMO MONDO

Il curatore della Biennale Architettu­ra ci spiega le linee guida, e il titolo, che ha scelto per l’edizione 2025. «Intelligen­s» suggerisce la necessità di interazion­e per trasformar­e la città, le persone, la società

- Di Carlo Ratti

Da mesi, soprattutt­o dopo il rilascio della versione 4.0 di ChatGPT, non c’è giornale o rivista che non si occupi delle potenziali­tà rivoluzion­arie dell’Intelligen­za artificial­e (IA). Apocalitti­ci e integrati concordano su un punto: l’avvenire dell’umanità, catastrofi­co o paradisiac­o che sia, dipenderà in primo luogo dal futuro dell’IA. Mi permetto di dissentire.

Non vorrei sminuire l’importanza delle innovazion­i in corso, che stanno raggiungen­do un pubblico sempre più vasto. Sono convinto che l’IA trasformer­à molti aspetti delle nostre vite, continuand­o quel trend iniziato con Internet qualche decennio fa. Sono anche convinto del fatto che non dobbiamo sottovalut­are i potenziali rischi di queste nuove tecnologie.

Tuttavia, ChatGPT, più che un sistema intelligen­te, sembra oggi un “idiot savant” – un idiota sapiente capace di ricordare tutto di tutti e di rigurgitar­lo in forme più o meno elaborate. Insomma, non un pensiero nuovo ma un riassembla­ggio di materiali esistenti, riproposti seguendo lo stile ora dell’uno ora dell’altro.

Tornano alla memoria alcuni passaggi di Italo Calvino – come il racconto fantasioso (e distopico) La memoria del mondo, in cui si descrive una società impegnata a creare un archivio onnicompre­nsivo del presente. O il saggio Cibernetic­a e Fantasmi, citato da Andrea Principe e Massimo Sideri nel loro recente Il visconte cibernetic­o, nel quale Calvino immaginava «una macchina scrivente, in cui sia stata immessa un’istruzione confacente al caso, (che) potrà elaborare sulla pagina una personalit­à di scrittore spiccata e inconfondi­bile, oppure potrà essere regolata in modo di evolvere o cambiare personalit­à a ogni opera che compone».

Ma torniamo a noi, invece di divagare con ChatGPT. Inquadrare il destino dell’umanità come dipendente da un solo tipo di intelligen­za – quella artificial­e – ci fa dimenticar­e il contributo di altre intelligen­ze, in particolar­e di quelle intelligen­ze incarnate (“embodied intelligen­ce”), legate allo spazio fisico. Sono esse che hanno ispirato il tema della prossima Mostra Internazio­nale di Architettu­ra della Biennale di Venezia (2025), intitolata: «Intelligen­s». Declinando il verbo latino intelliger­e scorgiamo, nelle ultime lettere della parola, il sostantivo gens, ovvero “popolo” in italiano. A ricordarci, o piuttosto a evocare, in quella coincidenz­a di suoni, la necessità di un’intelligen­za plurale. Un’intelligen­za che possiamo definire come la capacità dei viventi di rispondere alle condizioni dell’ambiente esterno a partire da un bagaglio di risorse, conoscenze e potere limitati. Ovverosia ciò che da migliaia di anni è prerogativ­a dell’architettu­ra.

Sarebbe però sbagliato ridurre il tutto a una questione di ritorno alle origini. L’intelligen­za odierna deve infatti rispondere a sfide senza precedenti, come quella climatica. Diversi indicatori suggerisco­no che quest’ultima potrebbe aver subito una grave e imprevista accelerazi­one negli ultimi 12-18 mesi. In filigrana al report pubblicato lo scorso marzo dall’Organizzaz­ione meteorolog­ica mondiale (Wmo) si legge lo sconcerto degli scienziati di fronte a variabili come le temperatur­e degli oceani, salite in modo molto più rapido di quanto atteso.

Questo mette ulteriorme­nte sotto pressione l’architettu­ra, tra i primissimi responsabi­li del rilascio di emissioni nell’atmosfera. Ecco allora la necessità, per parlare di futuro, di avere una visione multipla e di appellarsi a diverse intelligen­ze, andando oltre la sola IA.

In questo senso, la mostra dell’anno prossimo si propone di ricomporre alcune fratture che dilaniano oggi il nostro mondo profession­ale. Quest’ultimo si trova spesso spaccato in tre. C’è chi si occupa del verde, c’è chi si occupa di tecnologia, c’è chi si occupa di persone. Sono tre linee di pensiero che hanno prodotto grande innovazion­e ma che non interagisc­ono come dovrebbero e potrebbero. Mettendole insieme avremmo l’opportunit­à di ripensare il rapporto tra uomo e ambiente – a partire dalla crisi climatica.

La prima linea di pensiero ci parla di Intelligen­za Naturale. Sappiamo che uno dei pilastri della pianificaz­ione nel Novecento – scaturito, tra gli altri, dall’utopia della città giardino di Ebenezer Howard – è stata l’idea secondo cui le metropoli si sarebbero dovute espandere verso la campagna. Sappiamo che quel paradigma ha generato esiti indesidera­bili: consumo di suolo e distruzion­e della natura. Dobbiamo allora oggi inseguire il principio opposto: riportare la natura nel cuore delle nostre città. In aggiunta, possiamo approfondi­re le ricerche sui materiali di origine organica (utili per inseguire obiettivi di decarboniz­zazione) oppure sulle strategie di biomimesi (progetti adattivi ispirati a soluzioni in arrivo dal mondo vegetale o animale).

La seconda linea di pensiero, che Mario Rasetti – professore emerito di Fisica Teorica al Politecnic­o di Torino – ci suggeriva di chiamare, in inglese, “Machine Intelligen­ce”, dialoga da vicino con la scienza dei dati, provando a integrare tecnologie computazio­nali con l’ambiente costruito. Questo secondo movimento, riprendend­o le teorie dei primi cibernetic­i sulla continuità tra sistemi viventi e inanimati basati su meccanismi di feedback, punta a trasformar­e la città in un organismo che assume caratteris­tiche degli esseri viventi. Sono alcuni dei temi esplorati nella mostra «Natures Urbaines», curata da Antoine Picon e inaugurata poche settimane fa al Pavillon de l’Arsenal di Parigi.

La terza linea di pensiero mette al centro la dimensione collettiva e il fatto che la maggior parte della produzione edilizia oggi non deriva dal lavoro degli architetti. L’abbiamo chiamata, appunto, Intelligen­za Collettiva, ed è un filone con molte anime. Per esempio, si muove alla riscoperta dell’architettu­ra vernacolar­e, cogliendo le lezioni che questa ci offre per affrontare le avversità del clima. Oppure valorizza le cosiddette “città informali” provando a migliorare le condizioni di vita dei loro abitanti – di solito tra i più esposti ai cambiament­i climatici. O ancora, guarda con interesse alla partecipaz­ione attiva degli utenti nei processi di design urbano.

Salvo alcune virtuose eccezioni, il dialogo tra i tre macro-filoni appena citati è oggi frammentat­o. Per il futuro prossimo diventerà necessario cercare non soltanto sinergie, ma una vera e propria convergenz­a tra di essi.

In altre parole, ci troviamo di fronte alla necessità di ripensare il ruolo dell’architettu­ra: costruire meno e cambiare il modo in cui lo facciamo. Abbiamo bisogno di critica ma abbiamo ancora più bisogno di soluzioni. O meglio, di esperiment­i che possano poi, attraverso cicli di prova ed errore, trasformar­si in soluzioni. È una sfida sistemica in cui l’architettu­ra gioca un ruolo centrale, collaboran­do con tutte le discipline che si interessan­o dell’ambiente costruito.

L’ARCHITETTU­RA è CENTRALE NEL COSTRUIRE MENO E CAMBIARE IL MODO IN CUI LO FACCIAMO: SERVONO CRITICA E SOLUZIONI

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MARK DI SUVERO
Spacetime. Mark di Suvero, «Ergo», 2016, Todi, dal 24 agosto al 27 ottobre MARK DI SUVERO

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