IL GESÙ DI GROSJEAN SOLO FRA LA TERRA E UN DIO SFUGGENTE
Èun testo affascinante e singolare questa prosa lirica che Jean Grosjean dedica ai quaranta giorni che separano la resurrezione di Gesù dalla sua Ascensione. Il Gesù risorto di Grosjean è ben diverso dal figlio di Dio che celebra la vittoria sulla morte, che trova finalmente la risposta definitiva ai suoi dubbi, la prova che Dio non lo ha abbandonato. Si muove all’inizio in una zona di confine, tra vita e morte, fra carne e spirito. E la sua non è un’esperienza unica: si risveglia tra i morti, nel cuore della notte, e altri si risvegliano con lui, ma lui se ne distacca, se ne allontana. Il tempo si dilata («l’istante era enorme»), Gesù è «maravigliosamente malsicuro» per avere avuto l’audacia di rivivere, è timoroso di restare imbrigliato nella banalità del mondo, e soprattutto è solo. Incontra Maria Maddalena, ma ormai è diventata un’estranea; incontra sua madre, le parla ma lei non lo sente. «Gesù era solo fra un Dio dalle tracce sfuggenti e una terra dalle apparenze ingannevoli»; va a cercare, anzi ad assediare suo padre, per venire a capo della sua indifferenza. È il primo ad essere un Messia e sente il peso della solitudine dell’iniziatore, piange «intrappolato nella massa della sua immortalità».
Il punto di vista di Grosjean, la sua scrittura, si fanno interni al Messia, si fanno interpreti della sua incertezza, della sua angoscia, mentre si fermano con uno sguardo ravvicinato e analitico, pieno di amore, sulla natura. Piante, erbe, fiori, ortaggi, uccelli vengono accuratamente rievocati, a volte via via coinvolti nelle passioni umane: «Scese attraverso prati di cardamine. Tutti quei fiori di cardamine da dove gli erano venuti incontro sui loro fragili piedi, con le loro vite arcuate, la loro pallida tinta malva, il loro leggero profumo di bucato, il loro ardente tremito di ragazze, la loro umida delicatezza?».
Il tono si fa radicalmente diverso quando si evocano eventi per così dire canonici, come la discesa la Limbo, e l’incontro con le schiere degli angeli. Nel Limbo Gesù si trova sperduto: «dopo aver sbagliato cento volte porta e corridoio, aveva trovato la via di uscita dai luoghi infernali e aveva lasciato i miliardi di spiriti che vegetavano nei ripostigli dell’universo, classificati per clima, razza, età e funzione», così come guarda con ironia, con un distacco profondo, alla potenza militaresca delle schiere angeliche: «Li fece uscire e schierare in battaglioni… Erano le truppe del Padre suo, custodi e esecutrici delle sue supreme intenzioni… Erano l’entourage di fiducia di un Dio che frenava o scatenava la loro violenza a suo piacimento… Gli stendardi di seta frusciavano dolcemente nell’aria notturna. Gesù scrollò le spalle».
Il recupero del Padre avviene lentamente, preceduto dal difficile incontro con l’amico Lazzaro, l’unico con cui ha in comune l’esperienza della resurrezione, e con il ripetersi della pesca miracolosa. Con Pietro e altri quattro discepoli Gesù cuoce il pesce in riva al mare: è un momento di riconoscimento, di condivisione, e di irrimediabile alterità: «lo riconoscevano, ma aveva un aspetto strano, come se fosse un altro… Quella fu l’ora più bella di tutta la storia umana». Quasi senza rendersene conto Gesù sale sul Monte degli Ulivi, è riconosciuto dall’asino che lo aveva portato nel giorno delle Palme, guarisce i suoi vecchi occhi cisposi e giunto in cima manda un arabo a chiamare i suoi discepoli. È il momento dell’Ascensione: Dio ritorna a lui e i due si incamminano insieme «lungo un vivaio celeste», là dove le piante e i fiori nascono a una nuova vita.
Proprio all’«ora più bella di tutta la storia umana» si intitola la prefazione, partecipe e ammirata, che José Tolentino Mendonça scrive per Il Messia, una prefazione che vuole anche richiamare l’attenzione su un autore poco conosciuto in Italia, un poeta, uno scrittore, traduttore e commentatore di testi biblici e del Corano, che ha lavorato a lungo a Parigi con l’editore Gallimard. Presso l’editore francese Il Messia era uscito nel 1974. Con «tono di narrazione intima e fulgore poetico», scrive Mendonça, Grosjean ci conduce per una riscrittura del testo biblico che richiama la nostra attenzione sul nesso tra lettura e scrittura, sull’impresa bella e impossibile in cui si cimenta il Pierre Menard di Borges, il lettore che riscrive,
IL LIBRO, DALL’EFFETTO DESTABILIZZANTE, è ARRICCHITO DALLA PREFAZIONE DEL CARDINALE JOSé TOLENTINO MENDONçA
parola per parola, il Don Chisciotte. «La lettura, ci ricorda infatti Borges, è, a suo modo, una forma di riscrittura – scrive Mendonça – Riscrittura innanzi tutto di chi legge, che esce trasformato dall’incontro con il testo, ma anche riscrittura di ciò che viene letto, perché via via che ce ne appropriamo… cresce con il suo lettore… D’altro canto la scrittura rimane. Ciò che la riscrittura può e deve fare è lottare con lei corpo a corpo, fissarne la memoria e l’odore su un’altra pelle, lasciarsi interrogare e rinominare come Giacobbe permise all’angelo (cf. Gen. 32,27), accettare il colpo che altera il ritmo e il respiro, anche quando non ce lo aspettavamo». È una rappresentazione fedele ed efficace di quel che avviene leggendo Il Messia, là dove siamo impegnati in un corpo a corpo con quanto ricordiamo della lettura del Nuovo Testamento e dell’insegnamento che ci è stato trasmesso, e siamo insieme affascinati dalla qualità della scrittura e dall’effetto destabilizzante che via via il testo genera in noi. Abbiamo a che fare con uno scrittore davvero singolare, che così viene ricordato dal suo amico Christian Bobin: «Ho conosciuto un uomo che ogni giorno nel suo villaggio stringeva la mano a Ponzio Pilato, cercava fragole selvatiche con Cristo, e ascoltava sua madre morta, dipinta su un quadro, suonare un violino».
Jena Grosjean
Il Messia
Prefazione del cardinale José Tolentino Mendonça; testi in appendice di Christian Bobin Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose, pagg. 88, € 10