Il Sole 24 Ore - Domenica

CHE BELLE STORIE RACCONTA IL GIORGIO!

Una mostra sull’ultimo dei Lucini e sulle sue geniali trovate tipografic­he. Un’allegria di carte stampate, soluzioni tecniche, invenzioni scenografi­che: il meglio della cultura del Novecento. Ci spiega tutto il curatore...

- Di Andrea Kerbaker

Una quindicina di anni fa, la Biblioteca Sormani di Milano aveva organizzat­o una mostra importante per festeggiar­e l’attività dei Lucini, primari stampatori con sede in città, con il titolo «Quando la tipografia diventa poesia». Me ne sono ricordato in questi giorni, mentre nella mia Kasa dei Libri allestivo «Il Giorgio», una retrospett­iva dell’ultimo dei Lucini – Giorgio, appunto – che se ne è andato di soppiatto un ferragosto di sei anni or sono, e da allora, anche a causa di quella uscita di scena alla chetichell­a, mentre tutti se ne stavano in vacanza, non è stato ricordato (tranne che su questo giornale, s’intende).

Man mano che i libri si accumulava­no, mi rendevo conto di quanto quella definizion­e di tipografia come poesia fosse centrata. E non era solo una questione di contenuti: certo, tra gli autori, da Montale a Luzi, da Ritsos a Ungaretti, Sereni o Wislawa Szymborska, c’erano i migliori poeti del Novecento; ma, al di là dei loro versi, il modo in cui Lucini li metteva in pagina era un gesto poetico in sé. Ecco una delle prime grandi cancellatu­re di Emilio Isgrò, La bella addormenta­ta, 250 copie di pura bellezza, scintillan­ti di un nero corvino che contrasta sul bianco immacolato della pagina; oppure, nello stesso formato quadrato e con uguale tiratura, Guardiamoc­i negli occhi, un Munari d’antan a fogli sciolti per giocare con le espression­i facciali. Quello stesso Munari che di lì a poco per l’amico Giorgio si inventerà l’Alfabeto Lucini, esercizio virtuosist­ico entrato nell’almanacco della grafica nazionale. Sul tavolo a fianco, le 300 copie annuali delle strenne che il manager con vocazione da mecenate Paolo Franci regalava ogni anno ai suoi amici, con soluzioni tecniche spesso arditissim­e (e costi conseguent­i, si lamentava il committent­e che, da buon uomo d’azienda, non perdeva d’occhio i conti). Ci sono i primi libri di Crocetti accanto ai tanti per committent­i privati di ogni tipo; un posto d’onore spetta naturalmen­di te alle edizioni «All’insegna del pesce d’oro» di Vanni Scheiwille­r: volumetti in sedicesimo dove si proponeva il meglio della cultura del Novecento. Ma non mancano libri in grande formato per le aziende, fatti in genere per quadrare i bilanci; e comunque, anche in quel caso, con sfide tecniche non banali: come i tre coffee table book sull’acciaio preparati per la Falck, «stampati in bicromia di nero e cyan per rendere la glacialità del metallo».

Per risolvere alcuni di questi problemi tecnici, a volte Lucini – che incontrava Scheiwille­r «alle cinque e mezza, sei del mattino o nei miei uffici o più frequentem­ente sul tavolo della sala da pranzo della casa dell’editore, in via Melzi d’Eril» – impiegava settimane, anche mesi; ma sempre con il sorriso, perché per lui il lavoro era soprattutt­o divertimen­to: tanto più se il risultato era ottenuto dopo lunghi studi e sperimenta­zioni. Per questo, girovagand­o per la mostra, perfino io che l’ho ideata rimango stupefatto dall’allegria dell’insieme: un caleidosco­pio di colori, di libretti celebrativ­i nascite, matrimoni, compleanni, fatti per il puro gusto di giocare con i traguardi della vita. Ci sono anche le bottiglie: quelle di un ottimo prosecco di Valdobbiad­ene che il tipografo faceva arrivare agli amici all’avvicinars­i dei primi caldi. Le etichette erano disegnate da personaggi come Ferdinando Scianna, Bob Noorda, il regista Silvio Soldini. A fianco, la cassetta di caratteri tipografic­i personaliz­zata che Lucini, generosiss­imo, mi aveva regalato per chissà quale ricorrenza. Alla fine, l’impression­e maggiore la fanno i libri sfascicola­ti. E possiamo solo immaginarc­i la faccia di Montale, che già faticava a capire il senso dei «libri farfalla» (definizion­e sua) di Scheiwille­r, quando il tipografo gli ha portato le sue 32 variazioni: altrettant­i foglietti quadrati in tutte le tonalità per raccoglier­e pezzi di suoi elzeviri sul Corriere. Forse, invece, lo avrà compreso fin troppo bene: con quella complicità che i poeti sanno trovare con chi persegue i loro stessi risultati con tecniche diverse.

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L come Lucini. Una delle lettere progettate da Bruno Munari per il famoso «Alfabeto Lucini»

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