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C'è quello della scienza, quello della flosofa e il nostro ritmo, sempre meno naturale. Ma, dopo le vacanze, tutti vogliamo rimanere in una dimensione più umana, di qualità. Ci riusciremo o dovremo aspettare il prossimo viaggio?

- di M anuela M iMosa R avasio

Tempo al tempo. Dopo le vacanze, tutti vogliamo rimanere in una dimensione più umana, di qualità

Pochi se ne saranno accorti, ma la notte tra il 30 giugno e 1 luglio scorsi, abbiamo avuto un secondo di tempo in più. Lo ha deciso, come gli compete, l’Internatio­nal Earth Rotation and Reference Systems

Service che ha compensato con il così detto “secondo intercalar­e”, la differenza di 0,9 secondi tra il tempo basato sugli orologi atomici e quello, astronomic­o, basato sull’osservazio­ne della rotazione terrestre. Negli ultimi 33 anni è successo 25 volte. venticinqu­e secondi in più che sono serviti a rendere “armonico” il nostro tempo universale coordinato (UtC), il tempo uffciale del pianeta, con il ritmo della terra. D’altra parte, lo diceva Aristotele, “il tempo è un artifzio

umano così come il bello e il giusto”. Una convenzion­e insomma, che pure governa, e non solo misura, la nostra esistenza. Come insegnano i flosof, che sull’argomento non hanno mai smesso di dissertare, dal greco ricaviamo due differenti modi per indicare il tempo: Chronos, che è poi la divinità che ha il compito di numerare e quantifcar­e gli eventi, e Aìon, l’eterno presente, l’attimo che si ripete, che eraclito descriveva come “un bambino che gioca spostando delle pedine”. In due parole, il tempo della scienza e il tempo della vita. Il tempo meccanico e reversibil­e, per quanto fascinosam­ente relativo, e quello della dimensione psicologic­a che si dispiega tra esperienza, memoria e desiderio.

ora, se neppure Albert Einstein e Henri Bergson, due che al fuire degli istanti si sono ampiamente dedicati, sono riusciti a dipanare il dilemma su quale dei due sentimenti del tempo più si avvicini al “vero”, con una storica seduta, il 6 aprile 1922 presso la société Française de Philosophi­e di Parigi, entrata nella storia, non potremo certo noi venirne a capo. Forse ha ragione

il fsico francese Etienne Klein quando ci ammonisce dicendo che “Pensare il tempo è come arare il mare” e che quindi, più di pensarlo, dovremmo goderlo. Quello che è certo è che, in un determinat­o momento della storia dell’umanità, il tempo, o almeno parte di esso, si è trasformat­o in una sorta di rivendicaz­ione. Non è stato più, come succedeva nelle abitudini contadine, un ritmo cosmico non programmab­ile a cui conformars­i e soggiacere, ma abbiamo dovuto, con perizia e tecniche da signori del tempo, regolarlo, strutturar­lo, contarlo, con la stessa precisione con cui cominciava­mo a sfornare prodotti. Il tempo si è così moltiplica­to (o forse diviso, chissà), originando diversi tempi: del lavoro, della famiglia, della vita, e infne, il tempo li

bero. La “conquista” di quest’ultimo, ben descritta da Alain Corbin in LÕinvenzio­ne del tempo libero (edizioni Laterza) ha segnato uno spartiacqu­e. Qualcuno dice che da allora abbiamo cominciato a divertirci sul serio, ad andare in vacanza, a svagarci, a godere di quell’otium una volta destinato a pochi. Altri, che quello che pensavamo fosse divertimen­to e libertà, era invece solo istigazion­e al consumo, mentre la cultura di massa invadeva spazi e tempi individual­i (edgar morin, Lo spirito del tempo, ed. meltemi).

rimane invariato il fatto che il tempo, o il nostro modo di rapportarc­i a esso, è specchio dei tempi. e mentre noi ci affanniamo a riordinare giorni, settimane e pure stagioni; mentre le riviste annunciano che la domenica è il nuovo sabato (essendo il sabato un rigurgito ansioso del venerdì), ancora non sappiamo decidere se il nostro, di tempo, sia meglio rappresent­ato dagli orologi liquidi di Salvador Dalí ne La persistenz­a della memoria, o dalla dinamica ed effcace simultanei­tà del manifesto futurista. sarà un caso,

ma proprio in questo periodo il quotidiano francese Le Monde, ritenendo il “Tempo” una delle coordinate culturali messe in crisi dal presente, ha chiamato fsici, sociologi e flosof a fare qualche rifessione in merito. Tra Jean viard, etienne Klein, erik orsenna e Carlo Rovelli, ciò che emerge è il sempre più frequente fraintendi­mento tra i concetti di tempo e cambiament­o, quasi che si desse valore a ciò che passa solo in virtù delle azioni che in esso riusciamo a imprimere. I dati, in questo senso, ci verrebbero incontro, poiché secondo le ultime indagini Istat, il cruccio diffuso parrebbe proprio quello della qualità del tempo: “Il tempo libero è sempre più percepito non come tempo residuale, alternativ­o al lavoro, ma tempo per sé, spazio di vita individual­e. Certo, lavoro, vita, famiglia, si sovrappong­ono, ma in realtà, a essere più insoddisfa­tti del proprio tempo sono coloro che ne hanno troppo. Per i giovani neet, per esempio, gestirlo è un problema. Il rischio, se mai, è che tutto diventi un tempo vuoto o svuotato. Un tempo privo di qualità”, dice Isabella Mingo, responsabi­le scientifca del LoisirLab dell’Università La Sapienza di Roma, dove è docente di Statistica Sociale, nonché autrice di numerosi libri sul tema e curatrice del questionar­io dell’indagine in corso Istat “Cittadini e Tempo Libero” i cui dati saranno pubblicati a inizio 2016. Insomma, non è tanto la quantità del tempo disponibil­e a fare la differenza, ma il potere di scegliere come, e quando, goderne. Rispetto al lusso profetizza­to dell’intellettu­ale tedesco Hans Magnus Enzensberg­er nel suo famoso articolo su Der Spiegel del 1996,

forse quell’idea che la libertà di spendere liberament­e la propria vita fosse appannaggi­o dei meno profession­almente impegnati, è stata archiviata. Sottrarsi al bombardame­nto digitale è quasi impossibil­e, l’accesso alle tecnologie non così scontato, e nonostante noi dormiamo in media tre ore in meno dei nostri nonni e le nostre giornate si siano allungate di un dieci per cento, avere tutto questo tempo in più a disposizio­ne rischia di non essere così piacevole. Già negli anni delle salvifche “35 ore”, Daniel Mothé parlava infatti di un vero e proprio incubo ( L’utopia del tempo libero, ed. Bollati Boringhier­i) e, oggi, molte sono le voci che puntano l’indice sulla relazione tra ripartizio­ne del tempo, nuove economie e nuove diseguagli­anze. oggi

che da più parti si viene invitati a progettare le proprie ore non in contrappos­izione le une alle altre, ma fanco a fanco, in un continuum di vita, lavoro, famiglia, cosa che dovrebbe, ancora non si sa come, renderci persino più creativi. diceva il professor Brand (alias Michael Caine) in Interstell­ar, l’ultima rifessione cult dei cinefli sull’immanenza dell’Uomo: “Non ho paura della morte, sono un fsico, ho paura del tempo”. Che, per inciso, per quanto ci si sforzi di dilatare, sceneggiar­e o rendere più sentimenta­le, nel nostro caso rimane non reversibil­e. e così vengono in mente eraclito, Aìon, e il bambino che gioca con le pedine. di quel bambino, concludeva il flosofo greco, è il regno del mondo.

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Londra, il Tamigi e il London eye fotografat­i dal Savoy Hotel.
 ?? © sTephen wilkes ?? Parigi, la cattedrale­di Notre dame e l’Île de la Cité vistedal ponte de la Tournelle.
© sTephen wilkes Parigi, la cattedrale­di Notre dame e l’Île de la Cité vistedal ponte de la Tournelle.
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