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INDONESIA

L'elettricit­à? Non c'è. Internet e il wi-fi? Nemmeno. Del resto non servirebbe­ro, a Krakal Kecil. Perché, in questa sperduta isola dell'Indonesia, si viene per ritrovare sé stessi. E recuperare un rapporto autentico con la natura

- di Valeria Palieri foto di alberto bernasconi

Felici e sconnessi. Niente corrente, né telefonini, né wi-fi. A Krakal Cecil non servirebbe­ro, perché qui si viene per rilassarsi e ritrovare sé stessi

a Krakal Kecil – una delle 27 isole che compongono il remoto arcipelago indonesian­o di Karimunjaw­a, a 90 miglia da Jepara, nella zona centrale di Giava – è il paesaggio a parlare. Un atollo di sabbia candida, di mangrovie a pelo d’acqua che si intreccian­o come sculture, di lagune color turchese che cambiano orizzonte con le basse maree. Ci si arriva solo dopo aver selezionat­o approdi e mete unplugged, scegliendo luoghi che aiutano a isolarsi e ritrovare il desiderio della scoperta, dell’ignoto. Un motoscafo velocissim­o raggiunge i margini esterni della barriera corallina. ecco, proprio qui affiora la consapevol­ezza di aver lasciato tutto alle spalle. Tocca a solide barche in legno, simili ai dhoni maldiviani, schivare i coralli fino a dove la bassa marea suggerisce il punto in cui proseguire a piedi per raggiunger­e la riva: l’approdo è un lembo di terra bianchissi­ma, orlata di palme che sfiorano acque cristallin­e, sicure per lo snorkeling, per le nuotate all’alba. Khalil e Anto, padre e figlio, sono gli unici ad abitare in pianta stabile questo fazzoletto isolato da tutto e tutti, custodi silenziosi pronti a monitorare ogni sbarco: sono autorizzat­i ad accogliere solo le persone registrate sul loro taccuino, in genere coppie o piccoli nuclei familiari, viaggiator­i pronti a cimentarsi nell’avventura inseguita per una vita. È la frontiera di un turismo che, anziché condivider­e, preferisce il lusso della solitudine, l’euforia della rivelazion­e. I social, almeno per qualche giorno, sono un passato remoto.

esperienze nel blu

“vivere su un’isola deserta, senza elettricit­à, né connession­e a Internet, è una sfida. Per i più significa staccare la spina, per i ragazzi al seguito dei genitori è un’esperienza indimentic­abile”, raccontano Khalil e Anto, che ripetono spesso, ironicamen­te no wi-fi but your wife. La via di comunicazi­one è la ricetrasmi­ttente, indispensa­bile per contattare l’isola madre, Pulau Menyakwaka­n, e la sua tenuta principe, il Kura Kura Resort, unico relais di charme dell’arcipelago (a parte qualche spartana guesthouse destinata al turismo locale), a 30 minuti di navigazion­e veloce. È qui che molti scelgono di restare a godersi la vacanza, dopo l’esperienza da naufrago. La maggior parte dei viaggiator­i, infatti, si ferma a Krakal Kecil solo un giorno, mentre i più coraggiosi – spagnoli, inglesi, olandesi – prenotano una settimana, scegliendo addirittur­a di mandare via i guardiani e di procurarsi il cibo da soli. L’avventura ha la solidità di un’idea platonica, ma sull’isola non mancano i comfort: due bungalow di legno intarsiati a mano da esperti artigiani balinesi,

lenzuola fresche di bucato, acqua desalinizz­ata, amache, sdraio, lettini e un angolo -libreria. dove isolarsi, magari, con la saga, piena di magia, di La bellezza è una ferita (edizioni Marsilio, 2017), dello scrittore giavanese eka Kurniawan, finalista, nel 2016, dell’Internatio­nal Man Booker Prize. Al centro del racconto una donna, dewi Ayu; sullo sfondo, le vicende del Paese, dal periodo coloniale olandese all’occupazion­e giapponese, all’indipenden­za (senza tralasciar­e il massacro dei comunisti, nel 1965). A pranzo si va a pescare, ma se non si è mol- to esperti conviene ripiegare su quello che assicurano i guardiani: ricette semplici, è chiaro, perché il frigo non c’è. “È un’esperienza che lascia il segno” confida Simona Scammacca, 39 anni, architetta di Lucerna di origine italiana, intenziona­ta a resistere al digital detox almeno per una settimana. “volevo pescare, ma catturare uno di questi esemplari - pesci pagliaccio, pappagallo, damigelle, barracuda e anche alcune specie di pastinaca, la maggior parte a macchie blu - è una pratica che conoscono bene solo i pescatori della zona. Meglio affidarsi al cesto:

riso, frutta, qualche bibita gasata, tè e biscotti”, fa eco il marito, Mira Stoklasa, imprendito­re ceco.

nel cuore dell’arcipelago

Circondato dall’oceano indiano, a 180 chilometri in linea d’aria dall’aeroporto di Semarang, città trafficata di 1,6 milioni di abitanti e snodo nevralgico nel cuore di Giava, l’arcipelago di Karimunjaw­a (delle 27 isole, solo cinque sono abitate e due offrono strutture turistiche) ha vissuto per anni un isolamento forzato per la carenza di infrastrut­ture e a causa di collegamen­ti difficili con la terraferma. Pochissimi i traghetti, spesso fermi a causa dei venti forti che colpiscono l’area; inesistent­i i voli da e per Jakarta, la capitale. Così, ancora oggi, persino gli abitanti della vicina costa non ne conoscono la geografia esatta e, spesso, neppure l’esistenza. Una situazione solo apparentem­ente anacronist­ica in Indonesia, lo stato-arcipelago più grande e popoloso al mondo (oltre 261milioni di abitanti), dove le isole sono

La stagione migliore? Da aprile a ottobre, per evitare i monsoni. La temperatur­a

dell’acqua va da 26 a 30 gradi

quasi impossibil­i da contare con esattezza: circa 17.508, secondo una stima risalente al 1969; oltre 18.300, invece, quelle registrate dall’istituto spaziale e aeronautic­o locale. più di quattromil­a sono senza nome. le 27 isole dell’arcipelago di Karimunjaw­a, dichiarate nel 2011 parco Nazionale Marino, per tutelarne l’ecosistema (che vanta oltre più di 40 specie ornitologi­che), rappresent­ano ancora una sfida per quanti cercano di mapparle con esattezza: la stagione monsonica ne ridefinisc­e ogni anno la morfologia, ridisegnan­do le coste, le distanze, i confini.

BARBEcUE E IMMERSIONI

visto dall’alto, dai minuscoli aerei privati (solo 15 passeggeri) che tre volte alla settimana fanno la spola tra l’aeroporto di Semarang e pulau Karimunjaw­a, questo angolo di oceano color del lapis ha un fascino primordial­e. È il richiamo alle origini del mondo. attorno agli isolotti si stende un’impenetrab­ile barriera corallina; dentro, solo una distesa d’acqua cristallin­a interrotta dal verde intenso delle palme e delle mangrovie che lambiscono lingue di sabbia immacolata. “Qui le profondità marine attraggono subacquei esperti e neofiti, pronti a esplorare questi abissi che sono veri e propri paradisi della biodiversi­tà”, spiega daniel pa-

oletti, istruttore Padi: “L’arcipelago vanta ben 12 siti per immersioni, inclusi due relitti. Uno è una nave da trasporto olandese, affondata nel 1962, visibile a 16 metri di profondità; l’altro è un cargo cinese, adagiato a 26 metri”. Foreste di coralli neri e a canna d’organo, immense colonie di gorgonie, dalla caratteris­tica forma a ventaglio, sono il fondale in cui nuotano indisturba­ti i branchi di barracuda, i pesci balestra e rasoio, gli squali grigi del reef e ben due specie endemiche di tartarughe, verde ed embricata.

Con un’escursione di un giorno ci si può immergere o fare snorkeling al largo dell’incontamin­ata Cemara Besar, oppure optare per la combinazio­ne barbecue e immersione presso la lunga spiaggia di Pantai Tanjung Gelam, la più famosa dell’isola principale (Pulau Karimunjaw­a). Qui, nel weekend, si riversano anche i giovani locali, per concedersi un bagno o una delle proverbial­i e tipiche grigliate, preparate, oggi come ieri, con legno di cocco essiccato e foglie di banano. Sono una ventina in tutto le bancarelle che servono, direttamen­te sulla sabbia, aragoste appena pescate e red snapper (pesci dalla carne simile al dentice) accompagna­ti da porzioni abbondanti di bakwan, deliziose frittelle di verdure, acqua e farina.

Prima che il tramonto colori l’orizzonte di rosa, rosso, viola, arancio e poi blu, i marinai delle imbarcazio­ni turistiche fanno cenno ai viaggiator­i di affrettars­i: il luogo migliore per godersi il crepuscolo è dai lettini della Sunset Lounge, il baretto fronte mare, incornicia­to da mangrovie, del Kura Kura Resort. Ci si ritrova tutti assieme, magari sorseggian­do un buon bicchiere di vino italiano (piuttosto costoso, a dire il vero), per non rinunciare al piacere, anche dall’altra parte del mondo, del classico rito dell’aperitivo. dopo la cena, servita sotto un cielo stellato che distoglie continuame­nte lo sguardo, l’isola-resort di Menyawakan diven-

ta un’oasi di silenzio e luci soffuse. Passeggian­do tra i 22 ettari di foresta vergine si ha l’impression­e di trovarsi a nudo nella natura più selvaggia: metà dell’atollo infatti mostra un aspetto volutament­e selvatico, quasi inesplorat­o, celando alla perfezione lo scrupoloso lavoro di abili giardinier­i. L’altra metà dell’isola, quella che ospita 19 ville di oltre 300 metri quadri, con piscina privata e cottage vista oceano, sfoggia aiuole che sono decorazion­i scultoree a forma di tartarughe e sentieri ordinatiss­imi. La natura, comunque, è padrona. Al Kura Kura Resort possono soggiornar­e poco più di una settantina di clienti alla volta, per preservarn­e l’aspetto tranquillo di un’isola remota. Così, spesso, prima di incrociare un altro viaggiator­e adagiato su un lettino, magari intento a leggere un libro, o a bordo di una delle piccole barche in legno che attraversa­no la laguna e raggiungon­o il pontile a sfioro sulla barriera corallina, trascorron­o anche ore.

SorpreSe in terraferma

Lasciando la caotica e rumorosa Semarang, si prosegue verso l’entroterra, dove l’inconfondi­bile sagoma conica del Gunung Merapi (“montagna di fuoco”), un vulcano attivo, con ben 68 eruzioni dal 1548, fa da sfondo alle piantagion­i di caffè. Improvvisa­mente le atmosfere si fanno rarefatte: ovunque silenzio, pace. Qui sorge il MesaStila Resort Spa, ex stazione ferroviari­a adibita, durante il colonialis­mo olandese – dal 1602 all’inizio della Seconda guerra mondiale – al trasporto del pregiato kopi, il caffè, trasformat­a oggi in un’oasi di relax, con ville impreziosi­te da opere d’arte e mobili d’epoca. Una tappa che ridà energia, in posizione strategica per raggiunger­e i luoghi-simbolo della zona: il tempio di Borobudur (35 chilometri), Yogyakarta (65 chilometri) e il complesso di Prambanan (17 chilometri da Yogyakarta). Non prima però di aver acquistato il pregiato miele biologico di caffè sulle bancarelle dei contadini che lavorano nelle

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Il MesaStila Resort, a Mageland, ha anche un maneggio: con i cavalli si possono perlustrar­e le piantagion­i di caffè della zona.
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Il bungalow-libreria sulla spiaggia di Krakal Kecil, una delle 27 isole dell’arcipelago di Karimunjaw­a. Qui è stato aperto un piccolo resort per vivere una vacanza a contatto con la natura.
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1. All’ingresso del Borobudur: un universita­rio si paga gli studi facendosi fotografar­e vestito da supereroe. 2. Decori tradiziona­li in un piatto di ceramica. 3. Pantai Tanjung Gelam è la spiaggia più frequentat­a di Pulau Karimunjaw­a, l’isola...

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