INDONESIA
L'elettricità? Non c'è. Internet e il wi-fi? Nemmeno. Del resto non servirebbero, a Krakal Kecil. Perché, in questa sperduta isola dell'Indonesia, si viene per ritrovare sé stessi. E recuperare un rapporto autentico con la natura
Felici e sconnessi. Niente corrente, né telefonini, né wi-fi. A Krakal Cecil non servirebbero, perché qui si viene per rilassarsi e ritrovare sé stessi
a Krakal Kecil – una delle 27 isole che compongono il remoto arcipelago indonesiano di Karimunjawa, a 90 miglia da Jepara, nella zona centrale di Giava – è il paesaggio a parlare. Un atollo di sabbia candida, di mangrovie a pelo d’acqua che si intrecciano come sculture, di lagune color turchese che cambiano orizzonte con le basse maree. Ci si arriva solo dopo aver selezionato approdi e mete unplugged, scegliendo luoghi che aiutano a isolarsi e ritrovare il desiderio della scoperta, dell’ignoto. Un motoscafo velocissimo raggiunge i margini esterni della barriera corallina. ecco, proprio qui affiora la consapevolezza di aver lasciato tutto alle spalle. Tocca a solide barche in legno, simili ai dhoni maldiviani, schivare i coralli fino a dove la bassa marea suggerisce il punto in cui proseguire a piedi per raggiungere la riva: l’approdo è un lembo di terra bianchissima, orlata di palme che sfiorano acque cristalline, sicure per lo snorkeling, per le nuotate all’alba. Khalil e Anto, padre e figlio, sono gli unici ad abitare in pianta stabile questo fazzoletto isolato da tutto e tutti, custodi silenziosi pronti a monitorare ogni sbarco: sono autorizzati ad accogliere solo le persone registrate sul loro taccuino, in genere coppie o piccoli nuclei familiari, viaggiatori pronti a cimentarsi nell’avventura inseguita per una vita. È la frontiera di un turismo che, anziché condividere, preferisce il lusso della solitudine, l’euforia della rivelazione. I social, almeno per qualche giorno, sono un passato remoto.
esperienze nel blu
“vivere su un’isola deserta, senza elettricità, né connessione a Internet, è una sfida. Per i più significa staccare la spina, per i ragazzi al seguito dei genitori è un’esperienza indimenticabile”, raccontano Khalil e Anto, che ripetono spesso, ironicamente no wi-fi but your wife. La via di comunicazione è la ricetrasmittente, indispensabile per contattare l’isola madre, Pulau Menyakwakan, e la sua tenuta principe, il Kura Kura Resort, unico relais di charme dell’arcipelago (a parte qualche spartana guesthouse destinata al turismo locale), a 30 minuti di navigazione veloce. È qui che molti scelgono di restare a godersi la vacanza, dopo l’esperienza da naufrago. La maggior parte dei viaggiatori, infatti, si ferma a Krakal Kecil solo un giorno, mentre i più coraggiosi – spagnoli, inglesi, olandesi – prenotano una settimana, scegliendo addirittura di mandare via i guardiani e di procurarsi il cibo da soli. L’avventura ha la solidità di un’idea platonica, ma sull’isola non mancano i comfort: due bungalow di legno intarsiati a mano da esperti artigiani balinesi,
lenzuola fresche di bucato, acqua desalinizzata, amache, sdraio, lettini e un angolo -libreria. dove isolarsi, magari, con la saga, piena di magia, di La bellezza è una ferita (edizioni Marsilio, 2017), dello scrittore giavanese eka Kurniawan, finalista, nel 2016, dell’International Man Booker Prize. Al centro del racconto una donna, dewi Ayu; sullo sfondo, le vicende del Paese, dal periodo coloniale olandese all’occupazione giapponese, all’indipendenza (senza tralasciare il massacro dei comunisti, nel 1965). A pranzo si va a pescare, ma se non si è mol- to esperti conviene ripiegare su quello che assicurano i guardiani: ricette semplici, è chiaro, perché il frigo non c’è. “È un’esperienza che lascia il segno” confida Simona Scammacca, 39 anni, architetta di Lucerna di origine italiana, intenzionata a resistere al digital detox almeno per una settimana. “volevo pescare, ma catturare uno di questi esemplari - pesci pagliaccio, pappagallo, damigelle, barracuda e anche alcune specie di pastinaca, la maggior parte a macchie blu - è una pratica che conoscono bene solo i pescatori della zona. Meglio affidarsi al cesto:
riso, frutta, qualche bibita gasata, tè e biscotti”, fa eco il marito, Mira Stoklasa, imprenditore ceco.
nel cuore dell’arcipelago
Circondato dall’oceano indiano, a 180 chilometri in linea d’aria dall’aeroporto di Semarang, città trafficata di 1,6 milioni di abitanti e snodo nevralgico nel cuore di Giava, l’arcipelago di Karimunjawa (delle 27 isole, solo cinque sono abitate e due offrono strutture turistiche) ha vissuto per anni un isolamento forzato per la carenza di infrastrutture e a causa di collegamenti difficili con la terraferma. Pochissimi i traghetti, spesso fermi a causa dei venti forti che colpiscono l’area; inesistenti i voli da e per Jakarta, la capitale. Così, ancora oggi, persino gli abitanti della vicina costa non ne conoscono la geografia esatta e, spesso, neppure l’esistenza. Una situazione solo apparentemente anacronistica in Indonesia, lo stato-arcipelago più grande e popoloso al mondo (oltre 261milioni di abitanti), dove le isole sono
La stagione migliore? Da aprile a ottobre, per evitare i monsoni. La temperatura
dell’acqua va da 26 a 30 gradi
quasi impossibili da contare con esattezza: circa 17.508, secondo una stima risalente al 1969; oltre 18.300, invece, quelle registrate dall’istituto spaziale e aeronautico locale. più di quattromila sono senza nome. le 27 isole dell’arcipelago di Karimunjawa, dichiarate nel 2011 parco Nazionale Marino, per tutelarne l’ecosistema (che vanta oltre più di 40 specie ornitologiche), rappresentano ancora una sfida per quanti cercano di mapparle con esattezza: la stagione monsonica ne ridefinisce ogni anno la morfologia, ridisegnando le coste, le distanze, i confini.
BARBEcUE E IMMERSIONI
visto dall’alto, dai minuscoli aerei privati (solo 15 passeggeri) che tre volte alla settimana fanno la spola tra l’aeroporto di Semarang e pulau Karimunjawa, questo angolo di oceano color del lapis ha un fascino primordiale. È il richiamo alle origini del mondo. attorno agli isolotti si stende un’impenetrabile barriera corallina; dentro, solo una distesa d’acqua cristallina interrotta dal verde intenso delle palme e delle mangrovie che lambiscono lingue di sabbia immacolata. “Qui le profondità marine attraggono subacquei esperti e neofiti, pronti a esplorare questi abissi che sono veri e propri paradisi della biodiversità”, spiega daniel pa-
oletti, istruttore Padi: “L’arcipelago vanta ben 12 siti per immersioni, inclusi due relitti. Uno è una nave da trasporto olandese, affondata nel 1962, visibile a 16 metri di profondità; l’altro è un cargo cinese, adagiato a 26 metri”. Foreste di coralli neri e a canna d’organo, immense colonie di gorgonie, dalla caratteristica forma a ventaglio, sono il fondale in cui nuotano indisturbati i branchi di barracuda, i pesci balestra e rasoio, gli squali grigi del reef e ben due specie endemiche di tartarughe, verde ed embricata.
Con un’escursione di un giorno ci si può immergere o fare snorkeling al largo dell’incontaminata Cemara Besar, oppure optare per la combinazione barbecue e immersione presso la lunga spiaggia di Pantai Tanjung Gelam, la più famosa dell’isola principale (Pulau Karimunjawa). Qui, nel weekend, si riversano anche i giovani locali, per concedersi un bagno o una delle proverbiali e tipiche grigliate, preparate, oggi come ieri, con legno di cocco essiccato e foglie di banano. Sono una ventina in tutto le bancarelle che servono, direttamente sulla sabbia, aragoste appena pescate e red snapper (pesci dalla carne simile al dentice) accompagnati da porzioni abbondanti di bakwan, deliziose frittelle di verdure, acqua e farina.
Prima che il tramonto colori l’orizzonte di rosa, rosso, viola, arancio e poi blu, i marinai delle imbarcazioni turistiche fanno cenno ai viaggiatori di affrettarsi: il luogo migliore per godersi il crepuscolo è dai lettini della Sunset Lounge, il baretto fronte mare, incorniciato da mangrovie, del Kura Kura Resort. Ci si ritrova tutti assieme, magari sorseggiando un buon bicchiere di vino italiano (piuttosto costoso, a dire il vero), per non rinunciare al piacere, anche dall’altra parte del mondo, del classico rito dell’aperitivo. dopo la cena, servita sotto un cielo stellato che distoglie continuamente lo sguardo, l’isola-resort di Menyawakan diven-
ta un’oasi di silenzio e luci soffuse. Passeggiando tra i 22 ettari di foresta vergine si ha l’impressione di trovarsi a nudo nella natura più selvaggia: metà dell’atollo infatti mostra un aspetto volutamente selvatico, quasi inesplorato, celando alla perfezione lo scrupoloso lavoro di abili giardinieri. L’altra metà dell’isola, quella che ospita 19 ville di oltre 300 metri quadri, con piscina privata e cottage vista oceano, sfoggia aiuole che sono decorazioni scultoree a forma di tartarughe e sentieri ordinatissimi. La natura, comunque, è padrona. Al Kura Kura Resort possono soggiornare poco più di una settantina di clienti alla volta, per preservarne l’aspetto tranquillo di un’isola remota. Così, spesso, prima di incrociare un altro viaggiatore adagiato su un lettino, magari intento a leggere un libro, o a bordo di una delle piccole barche in legno che attraversano la laguna e raggiungono il pontile a sfioro sulla barriera corallina, trascorrono anche ore.
SorpreSe in terraferma
Lasciando la caotica e rumorosa Semarang, si prosegue verso l’entroterra, dove l’inconfondibile sagoma conica del Gunung Merapi (“montagna di fuoco”), un vulcano attivo, con ben 68 eruzioni dal 1548, fa da sfondo alle piantagioni di caffè. Improvvisamente le atmosfere si fanno rarefatte: ovunque silenzio, pace. Qui sorge il MesaStila Resort Spa, ex stazione ferroviaria adibita, durante il colonialismo olandese – dal 1602 all’inizio della Seconda guerra mondiale – al trasporto del pregiato kopi, il caffè, trasformata oggi in un’oasi di relax, con ville impreziosite da opere d’arte e mobili d’epoca. Una tappa che ridà energia, in posizione strategica per raggiungere i luoghi-simbolo della zona: il tempio di Borobudur (35 chilometri), Yogyakarta (65 chilometri) e il complesso di Prambanan (17 chilometri da Yogyakarta). Non prima però di aver acquistato il pregiato miele biologico di caffè sulle bancarelle dei contadini che lavorano nelle