EOLIE I N CATAMARANO
Le carezze del vento, il rollio delle onde, le albe e i tramonti, le baie e le spiagge segrete. E una poesia di isole e scogli inaccessibili via terra. In questo diario di bordo, il fascino e l'emozione della vacanza alle Eolie in catamarano
Il primo tuffo non si scorda mai. Il diario di bordo di una vacanza affascinante nelle acque del Mediterraneo, fra isole, scogli, spiagge, calette
Le operazioni prima della partenza durano poco, compiute senza sbavature da chi, con il mare, ha una confidenza di lunga data. Poi lo skipper invita a togliere le scarpe e a salire a bordo, scioglie l’ultima cima che tiene il catamarano legato alla riva e si salpa. All’orizzonte le sagome scure e nitide delle Eolie appaiono vicine, eppure misteriose, per la loro storia antica e per la natura estrema di vulcani non del tutto sopiti: un arcipelago piccolo, per superficie (114,7 chilometri quadrati), ma immenso per forme e suggestioni, tra isolotti, faraglioni, secche e scogli bizzarri, al di là delle isole vere e proprie, nelle cui insenature gli uomini cercano approdo da secoli. “Questa zona è riparata come poche, nel Mediterraneo”, assicura lo skipper, Luca Pedevilla. “Il nostro è un approdo sicuro: se, a sud, la Sicilia blocca lo scirocco, anche il maestrale arriva qui attenuato, smorzato dalla presenza della Sardegna”.
Il suono del legno di teak sotto i piedi; il moto del- le onde che, piano piano, si sintonizza con i movimenti del corpo; il vento che elettrizza; i tramonti infuocati sul mare… la barca a vela è il modo migliore per esplorare un arcipelago e il catamarano il mezzo più piacevole. Non solo perché è largo (quasi otto metri) e stabile, rolla e beccheggia poco e ha arredi e optional (come il tender, il piccolo gommone per raggiungere riva) comodi per una vacanza in mare, ma anche per l’autonomia che assicura. A tre ore dalla partenza, lo skipper può tranquillamente dare fonda, ovvero gettare l’ancora al largo, a Gelso, la prima baia di Vulcano. “Siamo indipendenti: i pannelli solari e un sistema di depurazione dell’acqua salata da 200 litri all’ora ci consentono di dormire in rada, lontano dai porti”, spiega. Non c’è emozione maggiore, per chi ama il mare, che svegliarsi, dopo una notte cullati dalle onde, e aprire l’oblò della cabina davanti alla roccia di Vulcano, la prima meta, rosa nella luce dell’alba. A colazione sopravvivono tracce di impazienza - quel che
Ci si sveglia, dopo una notte cullati dalle onde, ammirando la sagoma di vulcano nella luce rosa dell’alba
resta della vita cittadina appena lasciata alle spalle - ma finiscono in mare con le briciole dei biscotti: la baia di Acquacalda, tra le più a ridosso dell’arcipelago, è vicina ed è famosa per i fanghi termali.
vulcano: sabbia lavica e acqua cobalto
Già al porto l’odore di zolfo, indizio inconfutabile dell’attività vulcanica, accoglie il turista. L’ultima eruzione risale a fine Ottocento (ma durò due anni); oggi il cratere continua a dare prova del suo carisma con fumarole, getti di vapore in cresta e sott’acqua.“Tutto è giallo intorno a me, sotto i miei piedi e sopra di me, di un giallo accecante, di un giallo pazzesco”, scriveva Guy de Maupassant in La vie errante, colpito dalla natura selvaggia e violentemente terrosa dell’isola di Vulcano. Era il 1885, ma il paesaggio marziano è lo stesso, tra sabbia lavica, ginestre e vigneti. Vulcano ospita alcune tra le insenature più memorabili delle Eolie - faraglioni appuntiti e acqua cobalto - nella zona delle piscine di Venere e della grotta del cavallo. “Il vantaggio di un arcipelago così piccolo è che le isole non distano che due o tre ore di navigazione al massimo l’una dall’altra”, spiega lo skipper. Così, la notte successiva si è a Lipari, alla fonda sotto il monastero a picco sul mare. Sulla strada che da Marina Corta porta alla cittadella ci si imbatte nell’atelier Alice Attonita dell’artista Loredana Salzano, nata all’ombra del Vesuvio e liparota per scelta, che dipinge con la polvere del vulcano. “Sono imprigionata qui da un qualche incantesimo di Circe”, dice, scherzando, per offrire a chi passa una guida molto concreta per capire l’isola: “Lipari è contrastata come le rocce di cui è fatta, leggera come la pietra pomice e ricca come l’ossidiana, prezioso vetro vulcanico difficile da lavorare”, continua. Ed è per l’ossidiana, usata per tagliare, che qui fecero rotta i primi colonizzatori: siciliani, greci, romani e saraceni, normanni e aragonesi, che spesso naufragavano, presi in scacco da
A Panarea non c’è illuminazione pubblica. la sera si chiacchiera
al chiaro di luna seduti sui busioli, i muretti con le piastrelle azzurre
secche, scogli e baie solo all’apparenza accoglienti.
Nel ricco Museo archeologico regionale eoliano, in cima a un promontorio, si ammirano un’infinità di ceramiche e relitti recuperati sui fondali marini, oltre a un’ampia collezione, dai reperti preistorici alle maschere teatrali di terracotta, testimonianza di epoche di conquiste, saccheggi, ripopolamenti, contatti tra genti lontane. proprio la rocca, dove case, templi, monasteri, prigioni e castelli coesistono e cedono l’uno all’altro, è uno dei punti più magici dell’isola. Merito del Bothros di Eolo, fossa votiva dedicata al dio del vento (che dà il nome all’arcipelago), con la bocca chiusa da un coperchio di pietra lavica sormontato da un leoncino. Si narra che, a rendere la rocca così carica di energie, sia proprio la presenza del Bothros. Molti altri racconti animano le leggende dei liparoti, come quella della majar, a cui l’antropologa Marilena Maffei Macrina ha dedicato il libro La danza delle streghe. Culti e credenze dell’arcipelago eoliano (armando editore, 2008). Sono le maghe delle eolie, eredi delle ninfe e delle melusine, figure leggendarie del Medioevo, che nelle grotte o sulle spiagge di queste isole celebravano i loro sabba. la sera, mentre i pescatori ricuciono le reti al porticciolo, è un piacere cenare sotto il pergolato di agrumi del ristorante E pulera ( pulera è la colonna del portico delle case isolane) ascoltando Angelino Paino, il titolare, raccontare le leggende eoliane di una montagna “viva sotto i piedi”, dei suoi trekking sui sentieri contadini e dei boati della natura. Mentre parla, paino serve, su tavoli di maiolica, cuscus di Tumminìa, antica varietà di grano duro; totani ripieni di pangrattato e uvetta nera di Corinto; sgombro marinato con miele di ape nera (presìdio SlowFood) e nipitedda, la profumatissima mentuccia.
Pranzi in barca e calici di malvasia
dopouna notte cullati dal rollio del catamarano, la mattina trascorre alla cava di pomice abbandonata, su una lingua di sabbia bianca riparata dai venti anche quando batte il maestrale. il pranzo è in barca, con spaghetti di zucchine al pesto di pistacchi e un dolce a base di datteri, fichi e frut-
ta secca: li prepara a regola d’arte Giuseppe Coluccelli, il cuoco di bordo, appassionato di mare almeno quanto lo è di cucina vegetariana. “Ma ho genitori pugliesi, quindi la mia cucina è fatta necessariamente di sapori intensi”, precisa. i mercati eoliani offrono pane e prodotti tipici - dai capperi ai pomodori secchi, alle verdure profumatissime - per i suoi ospiti e per stuzzicare a dovere il suo talento.
pomeriggio: rotta a Panarea, a due ore di veleggiata. Che si tratti di un’isola tutta discoteche e feste è un’altra leggenda, più metropolitana che eoliana. la vista, al promontorio di Punta Milazzese, con il villaggio dell’età del bronzo a picco sulle acque verde-azzurro di Cala Junco, sembra piuttosto un invito a rallentare il ritmo. almeno fino al tramonto. Con la sera, c’è chi passa da un aperitivo al Bar del porto a una notte sfrenata alla discoteca Raya, all’interno dell’omonimo hotel, che ospita anche un atelier di abiti. e chi, invece, si inerpica, tra case immacolate e cascate di bouganville, lasciandosi conquistare da un profumodi gelsomini e fichi d’india. Giru tuttu u munnu e nun trovo casa mia. Vegnu a Panarìa e trovu tuttu u munnu e casa mia, c’è scritto su un muro. parole che danno ritmo al passo di chi sale, nella notte sempre più nera: “l’energia elettrica è arrivata nel ‘75”, racconta Maria Pia Cappelli, titolare con i fratelli del ristorante Broccia. versa un calice di Insolita, la Malvasia di panarea, e continua: “ricordo quando si guardava la televisione usando la batteria delle auto e il centro era quassù, lontanissimo dal porto, in piazzetta lauricella. Si stava a parlare seduti sui busioli, i muretti con le piastrelle azzurre, al buio: le case bianche riflettevano la luce della luna e delle stelle”.
il trekking al vulcano e la casa di neruda
l’usanza vale anche oggi, visto che l’illuminazione pubblica è tuttora assente, per rispetto alla notte eoliana. Sarà una stellata, infinita e senza luci artificiali a disturbarla, a condurre il catamarano fino a Stromboli. il primo bagno del giorno è nell’acqua tra Basiluzzo e Lisca bianca, due isolotti disabitati con splendidi fondali e fumarole sottomarine. il tardo pomeriggio è in marcia, un tributo al vulcano di Stromboli: il cratere si raggiunge, accompagnati da guide locali, in tempo per il tramonto e lo spettacolo pirotecnico che Iddu (lui, per i locali) offre ogni sera. Ma la sciara del fuoco vista dal catamarano, in rada davanti all’isola, è ancora più memorabile.“È la notte più singolare mai vissuta”, scrisse alexandre dumas, in visita all’arcipelago nel 1835.“i vulcani si susseguono, ma non si somigliano”. lecito, allora, che ognuno cerchi il suo preferito: magari, a quattro ore di navigazione verso ponente, nei due vulcani spenti della verdissima Salina, (per questo la chiamavano Didyme, “gemelli”), dopo una giornata trascorsa al paese di Santa Marina tra degustazioni di cucunci, i frutti dei capperi, e Malvasia, chiese e gallerie d’arte. il bagno al tramonto è alla baia di Pollara: annidata in un cratere spaccato in due da un crollo antico, ha stregato anche il cinema. dalla spiaggia, chiusa da una parete di roccia a strapiombo sul mare, si sale al paese: la casa che fu di pablo Neruda nel film Il postino (1994) va cercata nel verde. e se, in cima al
cratere, la sagoma in ferro battuto di Massimo Troisi in bici è un omaggio all’attore, la poesia della pellicola è ovunque. L’atmosfera è ancora più suggestiva all’alba, quando di turisti non ce ne sono e lo spettacolo della natura estrema del cratere spaccato è riservato a chi può dormire in rada nella baia. Il pranzo è Da Alfredo, sul lungomare di Lingua, a Salina, con il pane cunzato (condito, cioè, con pomodoro, capperi e ricotta salata al forno) e con la granita. Mandorla, more di rovo, anguria e gelsi: i gusti di cui la casa è più orgogliosa vanno provati tutti, accompagnati, come d’obbligo, dalla brioche, calda e fragrante. Lo skipper avverte: “In due ore di navigazione possiamo essere a Filicudi, all’enorme grotta del bue Marino, per un tramonto con vista sulla selvaggia Alicudi”.
Se il mare vuole, il condottiero asseconda ogni desiderio dei suoi ospiti che, comodamente seduti sul divanetto del catamarano, hanno tutto l’agio di studiare il profilo delle isole per imparare a riconoscerne la fisionomia e gli sbuffi bianchi in cima. Ma i vecchi pescatori, al porto, scrutano il cielo: c’è un’aria che sembra di pioggia. “Stanotte non usciamo, festeggeranno le nostre donne”, scherza uno, sornione, agitando un bastone. La battuta la dice lunga sull’anima di queste isole e sul ritmo lento della loro gente. Vento, mare e fuoco. Uno spirito che contagia e che a molti visitatori ha già fatto dire: “E se, su quest’isola, restassimo per sempre?”.