La più buona del mondo.
L’arte della Margherita è bene Unesco: come scoprirla, dal pomodoro alla pizzeria
Quando si parla di pizza, non si scherza: l'arte dei maestri napoletani è tutelata dall'Unesco. Dalla mozzarella ai pomodori, ecco dove nascono gli ingredienti perfetti. E gli indirizzi veraci per assaggiare un prodotto doc
Non si è ancora spenta la polemica sulla Margherita che Carlo Cracco ha proposto nel suo ristorante in Galleria, a Milano, capace di spaccare i gourmand tra tradizionalisti indignati e amanti del nuovo. Eppure, basterebbe stare attenti alle parole. La “pizza craccata” (come l’ha chiamata lo scrittore partenopeo Angelo Forgione) è buona, ma lo chef non l’ha mai presentata come una parente, neanche lontana, della napoletana. Del resto non si scherza con un’icona tutelata da un ente, l’Avpn(Associazione Verace Pizza Napoletana, pizzanapoletana.org), e da un disciplinare che regola impasto, ingredienti, cottura e aspetto. Senza dimenticare che, lo scorso dicembre, l’Unesco ha dichiarato l’arte del pizzaiolo napoletano Patrimonio immateriale dell’Umanità, rafforzandone l’identità e rilanciando il turismo della pizza Doc. A Napoli e non solo. Per capire davvero questo piatto bisogna partire dalle basi, la mozzarella e il pomodoro dell’entroterra campano. E dalle varianti. Ci sono la Margherita e il portafoglio, la fritta e quella a battilocchio, la pizza dei nuovi maestri fornai che aprono in provincia e quella al taglio, nei vicoli della città celebrata dai Manetti Bros nel film Ammore e Malavita, David di Donatello 2018. A mezz’ora da Caserta, nel piccolo gioiello di architetture, vicoli e portali che è il paese di Caiazzo, gli appassionati più esigenti vanno in pellegrinaggio da Pepe in Grani. In un palazzetto del Settecento, Franco Pepe impasta a mano, tutti i giorni, acqua, farina e lievito in madie di legno,
inanellando premi e riconoscimenti internazionali. Ci sono la pizza a libretto (1,50 €) e la sbagliata, che ribalta la margherita: in forno vanno solo l’impasto e la mozzarella di bufala, poi conditi con riduzione di pomodoro e di basilico. La novità è Authentica, sala privata dove Pepe ha voluto la pizzeria più piccola al mondo: un forno, un banco di lavoro, un tavolo per otto e lui sempre presente. “volevo tornare all’origine, alla semplicità, alla pizza come racconto di un popolo e del territorio”. Il suo caseificio di fiducia è ad Alvignano, a nordovest di Napoli, in contrada olivella. Si chiama Il Casolare e, con un metodo artigianale, fa dal 1968 una mozzarella di altissima qualità dal latte di allevamenti selezionati. Poco distante, all’agriturismo Le Campestre, manuel Lombardi produce invece il Conciato romano, piccole tome fatte a mano, con il latte delle pecore allevate in azienda, affinate in anfore di terracotta e insaporite con peperoncino, timo selvatico, olio e aceto da uve Casavecchia. Una rarità tutelata da Slow Food. Pepe la mette sulla pinsa conciata, con lardo e confettura di fichi bianchi, ma sono molti i pizzaioli di Napoli a usarlo, a partire dal celebre Gino Sorbillo. A Caserta, a pochi passi dalla Reggia vanvitelliana, I Masanielli punta sulla leggerezza dell’impasto, la qualità delle materie prime e la pizza Assoluto di Bufala, con quattro varianti di formaggio: affumicato, primosale, in fiocchi di ricotta e caciobufala. Che sia San marzano, Napoli, Corbarino o Piennolo del vesuvio, l’indirizzo da ricordare per un altro ingrediente chiave, il pomodoro, è Casa Marrazzo, nell’Agro nocerino-sarnese, tra Napoli e Salerno, terra del San marzano dop. I fratelli Teresa e Gerardo marrazzo, come il padre e il nonno, coltivano, selezionano e trasformano i pomodori campani, scelti poi dai migliori pizzaioli. Il Corbarino, tipicità locale dalla forma a lampadina e dallo spiccato sapore agrodolce, cresce lì vicino, a Corbara. L’azienda I Sapori di Corbara lo propone al naturale, in acqua e sale, passato, candito e in confettura. Buono sulla pizza, favoloso sugli spaghetti. A portafoglio, gourmet, battilocchio (con ricotta e ciccioli di maiale): a Napoli la pizza è un viaggio nel viaggio. Per orientarsi c’è Il battesimo della pizza dell’Avpn, un vero laboratorio didattico. Per gustarla a rota e carrett (grande, con cornicione poco pronunciato e sottile) si va DaMichele, che, dal 1870, prevede solo due varianti, margherita e marinara. Nel popolare quartiere della Sanità, Concettina ai 3 Santi propone
invece interpretazioni estrose, una margherita da manuale e la pizza sospesa: già pagata per i più bisognosi. Fuori dal quadrilatero del centro storico, altre due tappe di culto: La Notizia, di enzo Coccia, e 50 Kalò, di Ciro Salvo. enzo Coccia è il pioniere delle materia prima di qualità in pizzeria. Quando, a dicembre, il ministro ai Beni culturali dario Franceschini ha festeggiato il riconoscimento Unesco nel Real Sito di Capodimonte, c’era lui a maneggiare la pala nel “forno della Regina” - dove nel 1889, dice la leggenda, fu cotta in onore di margherita di Savoia la madre di tutte le pizze -, creando anche, per l’occasione, la Capodimonte: San marzano dop, bufala, salsiccia di bufala sbriciolata, pepe, rosmarino e extravergine d’oliva. Costa 9 euro: uno viene devoluto all’Associazione Amici di Capodimonte per il restauro di opere dei depositi del museo. Ciro Salvo, con il suo locale a pochi passi dal mare di Mergellina, è il maestro dell’impasto. La sua pizza ad alta idratazione è leggera e digeribile e ogni ingrediente è scelto con precisione maniacale. L’extravergine va a fine cottura per non alterare profumi e valori nutrizionali. Il pomodoro è bio. I latticini vengono da piccoli artigiani locali. Il sapore? Un monumento alla bontà.