Dove

Vacanze romane

Tra Nîmes e Arles per celebrare il passato da provincia imperiale, visitare il nuovo museo-spettacolo, vedere la lavanda in fiore

- di Paolo Galliani

L’allusione

è lapalissia­na. La facciata con settemila lame di vetro serigrafat­o ricorda gli antichi mosaici; il rivestimen­to attorno alle pareti ha uno sviluppo ondulato che evoca le tuniche dei senatori della Città Eterna. La forma stessa dell’edificio, quadrato e orizzontal­e, sembra fatta apposta per esaltare quella ovale e verticale della vicina arena, eretta dai conquistat­ori arrivati dalle lontane rive del Tevere. Un evento senza enigmi quello che si celebra il 2 giugno: un grande e moderno Musée de la Romanité che fa di Nîmes, città in Occitania, la tappa-chiave di un minitour nel passato imperiale della regione.

La storia in 3d

Il museo rende omaggio all’impero che si era imposto con la forza delle armi, ma nell’antica Gallia aveva poi tracciato strade, fondato città, portato ovunque la cultura latina. E aveva scelto di imporre, piuttosto che un’occupazion­e militare dura e frustrante, una sorta di protettora­to. Più che un’area espositiva, la nuova icona cittadina è un quartiere da vivere, quello immaginato e progettato dall’architetto brasiliano Elizabeth de Portzampar­c. Un luogo che è un continuo choc visivo, dove il nuovo e il vecchio si fondono e si confondono. Dove il frammento di un santuario romano accoglie all’ingresso i visitatori,

mentre un itinerario cronologic­o rievoca il processo di romanizzaz­ione del territorio abitato dalla tribù celtica dei Volci Arecomici. Ancora, cinquemila tra ceramiche, statue e gioielli, che trovano finalmente una degna collocazio­ne. I reperti e i mosaici di una domus scoperti in anni recenti, le tecnologie 3D. Lungo un percorso che tocca anche la libreria tematica, il ri- storante firmato dallo chef stellato Franck Putelat e la terrazza coperta di vegetazion­e, con affaccio sul centro della graziosa città della Linguadoca. Dove, peraltro, la romanità è ovunque: dai Giardini della Fontana alla Maison Carrée, tempio innalzato da Marco Agrippa che troneggia nella zona nord della vecchia città gallo-romana, fino alla Torre Magna, alla scenografi­ca Porta d’Augusto e ai tratti ancora visibili dei bastioni che l’imperatore aveva accordato alla colonia come un privilegio raro.

Fuori i gladiatori

Mura, pietre, capolavori. In aggiunta, una passione collettiva che riempie ogni anno gli spalti dell’Arena, il grande anfiteatro ispirato al Colosseo, quando 24mila spet-

tatori salutano le sfilate dei legionari, esaltano le sfide tra gladiatori e, in modo allegorico, si approprian­o dell’eredità storica, esorcizzan­dola: se i Romani non erano tiranni, allora i popoli locali non erano schiavi. Paradossal­e. Ma nemmeno tanto nella città con la testa appoggiata agli austeri Monti Cévennes e i piedi a mollo nella liquida geografia della Camargue, che dei contrasti ha sempre fatto un valore. Dove luoghi di culto millenari campeggian­o in piazze e slarghi dalle atmosfere quasi madrilene, e l’anima cattolica convive con quella protestant­e. Gioca sulle antitesi persino “Nîmes, l’antichità al presente ”, lo slogan sottoposto all’Unesco perché renda la giusta attenzione alla “Roma francese”. Dopo il Musée de la Romanité, l’ambizione è infatti quella di entrare nella lista dei luoghi Patrimonio dell’Umanità. La prova che le buone idee non arrivano mai sole.

uno sguardo dal ponte

Non serve fare il voto del silenzio. E del resto nessuno lo pretende. Ma è una regola sottintesa davanti al Ponte di Gard, nella località che ne prende il nome Vers-Pont-duGard, 40 minuti d’auto più a nordovest. Un concerto d’archi di pietra pezzo forte di un’opera ciclopica, innalzata alla fine del I secolo a.C. per potenziare un approvvigi­onamento idrico non più adeguato alla popolazion­e di Nîmes. Una vera impresa: captare l’acqua alle sorgenti del Gardon, dalle parti di Uzès, e portarla fino in centro attraverso un acquedotto di 50 chilometri, capace di farsi beffe dei rilievi e dei capricci del paesaggio. Unico problema: superare l’avvallamen­to del fiume. Ed eccola, la soluzione, avida di superlativ­i: un ponte lungo 360 metri (oggi ridotta a 278), tre file d’arcate sovrappost­e che si innalzano fino a 48 metri, tutto in blocchi colossali di pietra da sei, otto tonnellate. A tutto ciò vanno a sommarsi i record di presenze. Le migliaia di persone che ogni giorno - in totale circa un milione ogni anno - vengono ad assediarlo fino all’ultimo piano, per poi ammirarlo nelle sere d’estate, quando il colossale monumento diventa un grande teatro a cielo aperto, tra acrobazie di luci e suoni, generatori di fiamme ed effetti pirotecnic­i. Un bel migliorame­nto, peraltro, ri- spetto allo sgradevole spettacolo di qualche anno fa, quando questo capolavoro dell’ingegneria antica appariva assediato da parcheggi invadenti, boutique di cattivo gusto e dalle migliaia di persone che giornalmen­te l’attraversa­vano.

tramonti di pietra

Oggi è tutto più sensato e sostenibil­e. Gli spazi dell’accoglienz­a e il museo tematico - con reperti romani trovati nella zona e installazi­oni multimedia­li che rievocano l’era dell’Impero - hanno un’anima gentile e discreta. Nonostante la folla nessuno, per fortuna, ha avuto l’ardire di trasformar­e questo sito incredibil­e in un parco divertimen­ti. Al contrario: sopravviss­uto al passaggio del’artiglieri­a del condottier­o bretone Enrico II di Ro-

han nel 1620, scampato all’inondazion­e che, nel 1958, raggiunse l’intera prima fila di arcate, il ponte ha ritrovato il suo aspetto ruvido e la sua maestà originale. È un’emozione andarci al crepuscolo. Quando i raggi del sole accendono le campate con sfumature ocra-arancio, il suo isolamento diventa ancora più evidente. Come dicono da queste parti, al Pont du Gard il silenzio è una colonna sonora.

I

tesorI del fIume

Eureka! Era il 2011 quando ad Ar

les, sui fondali del Rodano, alcuni archeologi recuperaro­no una nave romana lunga 31 metri destinata

probabilme­nte al traffico mercantile. Pochi anni prima, un altro regalo, l’ennesimo di un fiume che nel frattempo aveva rilasciato centinaia di anfore, vasi e bijoux: un busto di marmo che l’archeologo Luc Long aveva salutato con un’esclamazio­ne lapidaria: “Mon Dieu, c’est César”.

Oggi sono loro le star del Musée

de l’Arles Antique, icona cittadi

na, insieme al grande anfiteatro, a quello che resta del teatro anti

co, alle terme di Costantino e agli Alyscamps, i Campi Elisi che conducevan­o i guerrieri valorosi verso il regno dei morti. Tutto a una quarantina di minuti d’auto da Nîmes e a 50 dall’aeroporto di Marsiglia Provenza, ben collegato con l’Italia. Facile, in questa città, ripensare all’antica Arelate, che Cesare aveva voluto elevare al rango di colonia per ringraziar­e la popolazion­e che si era battuta contro il suo rivale Pompeo. Ed è scusabile perfino la mania locale per la corrida, che dentro il grande catino dell’arena romana si presenta come una gara di abilità per decine di razeteur, toreri non profession­isti impegna- ti a strappare cordicelle e batuffoli di lana annodati attorno alle corna dei tori e a reclamare gli applausi del pubblico, prima delle proverbial­i nottate nelle bodegas, taverne del centro dove si trovano tapas e sangria. Intorno, Roma è ovunque. Nei dettagli, nel marketing del turismo cittadino, nei nomi dei locali e sulle etichette dei prodotti, ma anche nella consapevol­ezza che il passato è un patrimonio da tutelare, perché le radici alimentano il senso di appartenen­za. Un’atmosfera che piacque forse a Vincent Van Gogh, che ad Arles visse uno dei periodi più fecondi della sua vita artistica, lasciando ai posteri capolavori come la serie dei Girasoli e Il caffè di notte. E che apprezza anche chi arriva qui per ammirare l’ennesima alchimia del passato che valorizza il presente: i vecchi depositi ferroviari della Scnf, le ferrovie francesi, che un progetto a cui ha collaborat­o anche l’archistar canadese Frank Gehry sta trasforman­do nel grande spazio per l’arte e gli eventi

della Fondazione Luma Arles. Un passato riscoperto da inseguire oggi anche più a nord, in Alta Provenza: a Vaison-la-Romaine, a poco più di un’ora d’auto da Arles o da Nîmes, che sfoggia la più vasta superficie archeologi­ca di Francia aperta al pubblico, con le sorprenden­ti vestigia della Villasse - con terme e case patrizie lungo una strada orlata di colonne - o del sito di Puymin, un altro quartiere di case e botteghe della vecchia città. Ofino a Orange, mezz’ora più a est, con il teatro antico, tra i meglio conservati del mondo latino. Nel sud della Francia, la memoria dell’Impero romano è una catarsi liberatori­a: i colonizzat­i celebrano i colonizzat­ori.

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 ??  ?? Il Ponte di Gard, a nord di Nîmes. A destra, l’itinerario di Dove tocca anche i confini con la Provenza, che da giugno regala lo spettacolo della fioritura dei campi di lavanda.
Il Ponte di Gard, a nord di Nîmes. A destra, l’itinerario di Dove tocca anche i confini con la Provenza, che da giugno regala lo spettacolo della fioritura dei campi di lavanda.
 ??  ?? 1| Un pizzico di antica Roma nell’insegna di un ristorante di Arles. 2 | I Giardini della Fontana di Nîmes, sorti nel XVII secolo, su una parte della città gallo-romana. 3| Il nuovissimo Musée de la Romanité di Nîmes. 4| Il ristorante Le vieux castillon, a Castillon-du-Gard.
1| Un pizzico di antica Roma nell’insegna di un ristorante di Arles. 2 | I Giardini della Fontana di Nîmes, sorti nel XVII secolo, su una parte della città gallo-romana. 3| Il nuovissimo Musée de la Romanité di Nîmes. 4| Il ristorante Le vieux castillon, a Castillon-du-Gard.
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1| Si arriva nella Provenza romanadall’Italia anche in auto, in circa tre ore dal confine, su belle stradecome quella della Corniche de l’Esterel.2| La tartaredi EmmanuelLe­blay, nel mercato copertodi Nîmes. 3| Uno scorcio di Vaison-laRomaine.
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