lungola stradablu
Tra Francia eBelgioper assistere allo spettacolo dei campi di lino in fiore
Attimo fuggente. Il fiore si schiude alle prime luci dell’alba, consuma il tempo che gli viene assegnato sfoggiando un elegante colore azzurro, con venature violacee, si spegne nelle prime ore del pomeriggio, quando il sole più alto lo estingue. Ma se ne va senza tristezza, lasciando che altri mille fiori vicini prendano il suo posto, il giorno successivo, e altri ancora in quelli a seguire. Vita breve, vita alla grande. E subliminale: in un campo di lino si finisce per meditare sulla fugacità. L’effetto è visivo, cromatico, mentale. E viene celebrato da fotografi e pittori, che nei primi 15 giorni di giugno piazzano i loro cavalletti nell’entroterra della Francia con affaccio sulla Manica, quando i terreni vengono pigmentati da un colore così raro in natura da sembrare sospetto e il vento fa ondeggiare le piante allineate come le vigne, prima che i ramoscelli strappati e posati su un fianco assumano tonalità dorate e colore miele.
Due, tre settimane, come fanno gli attori e i cabarettisti che negli alberghi sulla costa, tra Calais e Dunkerque, intrattengono i turisti per sparire e ricomparire da tutt’altra parte. Ma lo spettacolo è attesissimo poco prima del solstizio d’estate, quando gli appassionati organizzano i loro “rally blu” in sella a bici in una campagna che ha qualcosa di olandese, non solo per le sagome dei mulini che appaiono qua e là, lungo strade
In una grotta del Caucaso sono state scoperte fibre di lino che risalgono a 36 mila anni fa
rurali punteggiate da cappelle votive e case basse, tra paesi e borghi dai nomi impronunciabili, ma che rivelano il carattere speciale della Francia che fa il piedino ai Paesi Bassi: Hondschoote, Quaëdypre, Oost-Cappel, Killem. Arrivano i mesi della macerazione, quando il lino sfrutta l’alchimia di vento, sole e pioggia, prima di finire accatastato sotto le volte dell’azienda La Linièrie di Bourbourg per la stigliatura, quindi lavorato nelle grandi fabbriche che aderiscono alla Celc, la Confederazione europea del lino e del cotone.
Ed è una lezione di umiltà per gli umani, convinti che la loro esistenza abbia un senso solo per l’illusione di eternità che provoca. Il lino, pianta zen e ascetica che fiorisce e sfiorisce tra la campagna francese e quella belga, consegna il suo messaggio paradossale: la grande bellezza? È l’effimero.
LA SPIAGGIA DEL PRESIDENTE
È pure un sorriso istintivo. Per la parlata della gente? Anche. In effetti, quella s che si trasforma in una scivolosa sc è qualcosa di più di una specialità del curioso patois settentrionale. Ed è poi impossibile dimenticare l’esilarante leggerezza del film Bienvenue chez les Ch’tis ( Giù alNord, 2008), con l’umorista e ipocondriaco Dany Boon nella veste di un dirigente delle poste in Provenza, condannato a lavorare nelle fredde e grigie Fiandre per punizione, dopo un goffo tentativo di truffa ai danni della sua azienda. Salvo poi scoprire che lassù, in quella remota provincia francese maltrattata dai cliché e dalle caricature, il cielo lattiginoso regala deliziosi squarci di luce madreperla e la gente ha un carattere festoso, che non ha nulla di folcloristico, e un senso dell’ospitalità commovente. Benvenuti al nord. E che nord.
Speciale, come quello di Bergues, con le vecchie case in mattone incappucciate da tetti appuntiti e l’esagerato beffroi, la torre campanile impreziosita da un carillon da 50 campane che, ogni giorno, sembra dovere svegliare la sonnolente campagna circostante. Aspro e severo, come quello scelto da Jean-Louis Trintignant e Isabelle Huppert per il film Happy End o da Christopher Nolan per il suo kolossal di guerra Dunkirk (2017). Ma mai snob. Non lo è nemmeno la graziosa località balneare di Le Touquet, dove arrivano spesso anche i coniugi Emmanuel e Brigitte Macron a passare le vacanze, nella bella villa Monejan, ereditata dalla première dame. Pare sia facile notare la coppia presidenziale al Cafè Les Sports, in rue Saint-Jean, o mentre passeggia tra le dune. A domanda, la gente del posto risponde: “Rien à voir!”. Non c’è nulla da vedere. Falso! È solo un modo originale per richiamare l’adagio locale: “Non date mai troppi
pretesti a un curioso”. Nella terra del lino, pianta sobria e gentile, la mondanità è un vezzo a cui nessuno manda mai l’invito.
DA LILLE A ROUBAIX
Strana? Di sicuro! Lo è anche la torre in vetro-metallo di una ventina di metri che campeggia sopra la stazione e che la gente definisce chaussure deski, scarpone da sci, non proprio un complimento. Del resto, l’ironia è un diritto acquisito a Lille, città all’apparenza algida e freddina, in realtà eccentrica e anticonformista, capace di togliere il nero di pece da capannoni e vecchi edifici industriali abbandonati e trasformarli in oggetto dei desideri per i parigini innamorati della capitale del nord, lontano dallaVille Lumière, ma a soli 55 minuti di treno ad alta velocità. Ottima materia prima, è evidente. Come il lino di Fiandra che deborda dagli scaffali del Summer Campo quello recuperato in una vecchia azienda dismessa che Valérie Maniglier lavora a telaio in un atelier di rue de l’Hôpital-Militaire. Metafora urbana. L’arte di usare la città come una buona stoffa: basta saperla valorizzare e diventa prêt-à-porter.
Così l’esplorazione debutta per inerzia: due passi nel Vieux-Lille, quartiere di dimore borghesi oggi richiestissimo, quando appena vent’anni fa era in uno stato pietoso, malfamato e frequentato da sbandati. Una birra in rue Masséna, che tutti chiamano rue de la soif, via della sete, e non c’è nemmeno bisogno di spiegare il perché. E una visita alla vecchia stazione di Saint-Sauveur e alla maglia di strutture industriali in disuso, ma superbamente restaurate e trasformate da Lille3000 in una Eldorado di idee, cultura ed eventi. Punti di vista. E sorprese. Come quelle che campeggiano sulle facciate dei palazzi in stile fiammingo del centro: figure allegoriche, maschere umane dalle sopracciglia larghe, angeli paffuti, ceste di grano. Oquelle che abbondano a una manciata di minuti di tram da Lille, senza nemmeno affrontare il ruvido pavè spezzaschiena che ha fatto la storia del ciclismo. Porta aRoubaix, la città più triste nell’immaginario francese per via della crisi dell’industria tessile, che qui anni fa ha picchiato duro, ma che in tema di trasformismo rivela una capacità invidiabile.
Non c’è niente di più neorealista di uno stabilimento tessile dismesso