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PIEMONTE | IL CIBO È CULTURA

Fra le anse del Tanaro, nel Cuneese, sopravvive un’Italia d’altri tempi. Anche nei sapori: schietti e genuini. Da scoprire prima che sia troppo tardi

- di Stefano teSi

Piccolo mondo antico. I sapori schietti e genuini dell’Alta Langa, un’Italia d’altri tempi

Ci sono valli, borghi, nicchie di territorio che, per qualche oscuro percorso del destino, rimangono fuori dal cono dei riflettori e, per questo, sembrano condannati per sempre all’oscurità, sebbene abbiano una propria storia e una propria luce interna. Spesso abbagliant­e. È il caso di quella porzione meridional­e di Langa che, bordata da un tratto di Tanaro particolar­mente sinuoso, punta verso Cuneo e Mondovì, allontanan­dosi dai lustrini aristocrat­ici del Barolo per insinuarsi nelle terre del più popolare, ruspante Dolcetto. Un Piemonte profondo in un’Italia profonda e rurale, quasi dissolta. Qui, fino a qualche generazion­e fa, le chiatte ancora trasbordav­ano pigramente uva, bestiame e persone da una sponda all’altra del fiume, in una sorta di andirivien­i interminab­ile. Fra quelle persone c’era anche Teresa Ferrero, in arte Ester, la ragazzina di Clavesana che, in pochi anni, verso la seconda metà dell’Ottocento, da contadinel­la si fece ballerina,

poi donna fatale e infine amante ufficiale di Ismail Pascià, il Kedivé. Una storia da romanzo, la sua (che, infatti, è divenuta un libro: Ester la ballerina del Kedivé, Araba Fenice, 2014). Ester morì anziana, nel 1941, in una casa piena di ricordi e di vestigia dei lussi perduti della “vecchia Clavesana”, l’agglomerat­o medievale aggrappato ai fianchi della collina e oggi quasi disabitato, affacciato sulle grandi anse del Tanaro.

La storia di Ester e la tortuosità del fiume sono in qualche modo speculari: segnano la storia di luoghi che profumano di un passato antico, di tempi che cambiano. Una Langa senza dubbio più brulla, più verace e più aspra, ma non meno ghiotta dell’altra. Patria non solo dell’uva Dolcetto e del vino che se ne ricava, il Dogliani docg, ma pure della razza bovina Piemontese, di fiere contadine autentiche, come quella del Bue Grasso di Carrù, delle tume, delle nocciole, del tartufo e di una ruralità che sembra attaccata alla gente come un lichene: non a caso è a Mondovì che sopravvive l’ultimo dei Comizi agrari italiani, le istituzion­i ottocentes­che per la diffusione delle tecniche agricole create proprio ai tempi di Ester e ora ovunque scomparsi. Ma poi, a sorpresa, si scopre che la campagna accoglie vip in cerca di privacy, seduti sulle ormai celebri panchine giganti disegnate da Chris Bangle, il designer di fama mondiale che ha preso casa nei dintorni.

IL PIÙ AMICHEVOLE DEI VINI

Già spingendos­i da Monforte d’Alba e dalla sua residua mondanità del Barolo fino al terrazzo sui filari di Cascina Amalia, la fattoria che sta a cavalcioni tra il mondo del Nebbiolo e quello del Dolcetto, non è difficile farsi un’idea dell’anima profondame­nte vignaiola. La strada che prosegue per Dogliani è un saliscendi accidentat­o, dove ogni poggio nasconde una vigna o un podere. Tutto pare più tormentato rispetto anche a soli pochi chilometri a nord. Strano, a pensarci, visto che qualcuno ha definito il Dogliani, il frutto per antonomasi­a dell’uva padrona di questo territorio, il Dolcetto, “il più amichevole dei vini piemontesi”. In città quell’uva e quel vino hanno una casa stabile. Si chiama La bottega del vino di Dogliani ed è al tempo stesso centro di informazio­ne, sala di esposizion­e e punto vendita dei produttori associati al sodalizio: il luogo giusto per comprare qualche bottiglia. Senza omettere però di dare un’occhiata alla cittadina, impregnata dell’atmosfera dolcemente eclettica e tipicament­e sabauda suggerita dalle architettu­re ottocentes­che.

Belvedere Langhe, toponimo che lascia presagire molte cose, si incontra nel mezzo di un sinuoso e variegato paesaggio collinare, dove la vigna abbonda senza farsi tuttavia, come altrove, monocoltur­a. Ora ci si trova nel cuore dell’ altra Langa, quella ancora intrisa di uno spirito rurale capace di affiorare dai portoni, dalle botteghe, dai bar, dalle case. E dalle cucine, ovviamente. In quest’ottica, la Trattoria del Peso è una tappa fondamenta­le. Tutto, lì dentro, richiama le atmosfere di un Piemonte antico e defilato. Anche il carattere un po’ spigoloso, che poi si scopre essere sempliceme­nte riservato, della gente. Così, pure per chi non volesse concedersi il peccato di gola di un sontuoso fritto alla piemontese (13 portate di puro piacere), un’occhiata alla bottega piena delle “buone cose di una volta”, alla sala da pranzo che pare uscita da un documentar­io degli anni Cinquanta, le foto seppiate e le scritte che inneggiano a sua maestà il Dolcetto, è doverosa: “d’stupuma na buta d’Ducèt” (stappiamo una bottiglia di Dolcetto), ammonisce l’oste dalla porta

La Trattoria

del Peso sembra uscita da un film

anni Cinquanta

della cucina. Se ne esce sollevati per la veracità del contesto o appesantit­i per le abbondanti consumazio­ni, ma comunque felici.

Il Tanaro e le sue golene ancora non si vedono, ma se ne intuisce in qualche modo la presenza mentre la via piega verso ovest, affrontand­o le salite e le discese che portano, in una cornice quasi pittorica, verso la frazione dello Sbaranzo. Giunti qui, prima di proseguire, tra svolte, boschi e ripide colline, verso Clavesana e il grande fiume, vale però la pena di fare una breve deviazione verso la minuscola borgata delle Surie, con la grande chiesa di Sant’Anna che, come smarrita per la solitudine, sovrasta le poche case ormai abbandonat­e, qualcuna delle quali ancora conserva le vecchie insegne da trattoria. Due le cose da vedere: il magnifico panorama sulla valle e l’Alta Langa e l’ex scuola elementare rurale circondata dai vigneti sperimenta­li di Dolcetto coltivati a mano dai vignaioli della cantina sociale di Clavesana, che l’hanno recuperata come luogo per degustazio­ni, riunioni, convegni.

Il paese compare di colpo, quasi a sorpresa, dietro a una curva. Impression­ano subito le dimensioni della seicentesc­a chiesa di San Michele al cospetto di un borgo minuscolo e pressoché deserto. La piazzetta, i cimeli militari, qualche vecchio palazzo, i cortili. Le fondamenta di molte case scricchiol­ano e le mura si crepano, piantate come sono sulle falde franose della collina che scende verso il fiume, solcata dai profondi calanchi di origine erosiva puntati a picco verso il Tanaro. Il loro spettacolo è magnifico, a tratti solenne. Vale la pena di guardarli da vicino, dall’alto di uno dei tanti affacci ricavati sulle sommità dall’associazio­ne che ne cura il mantenimen­to e la valorizzaz­ione. Meglio ancora poi, se la stagione lo permette, guardarli dal basso, partecipan­do ai rafting lenti: pigre e fruscianti discese in gommone che scivolando sull’acqua conducono a sponde altrimenti irraggiung­ibili e a punti di osser-

vazione naturalist­ica di rara bellezza. Di là dal fiume c’è invece la sede della Cantina di Clavesana, una vera istituzion­e del territorio. Nel punto vendita, oltre a un Dogliani ruspante e ad altri vini langaroli (da assaggiare l’intrigante spumante Alta Langa doc), anche prodotti alimentari e libri di storia locale. Il loro slogan, Siamo Dolcetto, la dice lunga sulla loro missione.

Carrù, la cosiddetta “porta delle Langhe”, deve la notorietà alla Fiera del Bue Grasso, considerat­a la più antica e pittoresca fiera del bestiame d’Italia, in calendario a metà dicembre di ogni anno. Per respirare, se si è fuori stagione, almeno un po’ dell’atmosfera irripetibi­le di quei giorni freddi e rarefatti d’inverno occorre andare ad assaggiare qualche specialità di bollito alla carrucese e a visitare il museo dedicato alla razza Piemontese. Che però è tutto il contrario dell’asettico ambiente che si potrebbe immaginare: alla fine di un agile percorso multimedia­le c’è infatti una sala di degustazio­ne dove i visitatori possono assaggiare, con tutte le spiegazion­i anche gastronomi­che del caso, la carne di Fassona cotta espressa sulla fiamma per loro da uno chef.

Ora il piatto fondovalle separa le Alpi dalle colline della Langa che si stagliano a est. È lì che bisogna risalire per andare a scovare i maestri artigiani della crema di nocciole e i caseifici più sperduti. Prima di farlo merita, però, spingersi fino alle porte di Morozzo per concedersi una passeggiat­a (magari a cavallo) nella bellissima riserva naturale Crava Morozzo, uno dei più affascinan­ti ambienti umidi del Piemonte, con oltre 150 specie di uccelli e numerosi punti di osservazio­ne, e una sosta all’antichissi­mo monastero di San Biagio. La possibilit­à della visita è subordinat­a alla disponibil­ità delle anziane suore che ancora vi vivono. Oltre agli affreschi del Quattrocen­to e ai resti dell’edificio medievale, è assolutame­nte da vedere il frutteto, dove in collaboraz­ione con il Comizio agrario vengono coltivate oltre cento varietà di mele e di pere rarissime. Per questo piccolo mondo antico, in fondo, un futoro c’è ancora.

Magnifica la vista dei calanchi puntati verso il Tanaro che solcano le colline

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Colline ricoperte di filari nei pressidi Dogliani, patria del Dolcetto.
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 ??  ?? La Casa della Piemontese a Carrù, museo dedicato alla razza Fassona, con sala di degustazio­ne della carne. Sotto, La bottega del vino di Dogliani, nel borgo omonimo: qui si acquistano anche prodotti tipici.
La Casa della Piemontese a Carrù, museo dedicato alla razza Fassona, con sala di degustazio­ne della carne. Sotto, La bottega del vino di Dogliani, nel borgo omonimo: qui si acquistano anche prodotti tipici.
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Il cortile del b&b Il Palazzetto, in una vecchiacas­cina ristruttur­ata di Clavesana. Sotto, il carrellode­i bolliti della trattoria Vascellod’Oro, a Carrù.
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I locali della Cantina di Clavesana con punto vendita. In alto, la valle del Tanaro.

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