CAMPANIA | IL CIBO È CULTURA
La dieta mediterranea è uno stile di vita e un tripudio dei sensi. Da scoprire là dove è nata, in Cilento, in un itinerario che unisce soste golose, paesaggi grandiosi e tesori archeologici
Piaceri divini. Nel Cilento, dove è nata la dieta mediterranea
Dicono i cilentani, giocando sul titolo del celebre romanzo di Carlo Levi, che “Cristo si è fermato a Eboli perché non c’era la necessità che venisse dalle nostre parti”. Tanto per sottolineare come questa terra sia benedetta, anche senza intervento divino. Perché è uno scrigno prezioso di arte e di grande natura. Tutelata, quest’ultima, dall’istituzione del Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni: 1.800 chilometri quadrati di colline che diventano montagne e sfiorano i 2.000 metri (monte Cervati, 1.899 m.). Ci sono boschi, canyon, fiumi e villaggi che sconfinano oltre i perimetri della Lucania, oltre a un centinaio di chilometri di coste, spiagge e insenature a sud di Salerno, bagnate da un mare premiato da decine di Bandiere blu e diverse Cinque vele Legambiente. E, poi, patrimoni tutelati dall’Unesco, come lo stesso parco, la Certosa di Padula, nel Vallo di Diano, il più esteso chiostro del mondo (12mila metri quadrati, 84 colonne e intarsi lignei del Cinquecento), e la dieta mediterranea. Ormai nota in tutto il mondo, ha avuto qui la sua codificazione grazie agli studi del fisiologo americano Ancel
Keys. Un regime alimentare che è anche un piacere dei sensi, da scoprire qui dove è nato, in un viaggio che non conosce stagioni e unisce soste golose e paesaggi grandiosi, profumo di macchia e di mare e meraviglie storiche e artistiche.
OMAGGIO AL TERRITORIO
Il Cilento ha più presìdi Slow Food dell’intera Lombardia. Due mesi fa, il Parco nazionale ha assegnato il suo marchio alle prime 60 imprese impegnate nella produzione agroalimentare, nella ricettività e nella ristorazione, con l’obiettivo di trasformare la dieta mediterranea in uno stile di vita riconoscibile. Una decisione che è molto più di un segno distintivo: è la celebrazione delle tradizioni e dell’operosità delle comunità locali, grazie alle quali questo territorio può diventare la meta di itinerari inediti ed emozionanti.
Paestum è l’ingresso di prestigio al Cilento. L’antica città della Magna Grecia mostra ancora intatte le mura di cinta (ben cinque chilometri), gli splendidi affreschi della Tomba del tuffatore (al Museo archeologico nazionale) e i maestosi tre templi dedicati a Hera, Atena e Nettuno nel verde della piana del Sele. Qui ha la sua attività Giuseppe Pagano, per trent’anni imprenditore alberghiero, oggi proprietario dell’azienda San Salvatore 1988. I suoi vini raccontano l’eccezionalità del territorio tra le spiagge dorate di PaestumCapaccio e le colline di Giungano: l’unica zona in Campania a non avere reminiscenze vulcaniche, ma rocce chiare di calcarenite, come quelle del monte Calpazio, alle spalle dei filari da cui nascono i vini Fiano e Greco. Da degustare, insieme ai prodotti caseari e alle conserve San Salvatore 1988, ai Tre Olivi, a Paestum, ristorante gourmand e spazio consacrato all’oliva autoctona del Ci-
lento, la pisciottana. La cucina dello chef Matteo Sangiovanni è un omaggio al territorio, come il menu dedicato alla mozzarella di bufala e alla carne di bufalo. A poche centinaia di metri dal parco archeologico, al caseificio Barlotti, si allevano bufale per produrre mozzarelle, ricotte, yogurt, gelato (tutto a latte crudo) e una linea cosmetica, la Biancamore, sempre a base di latte di bufala. Nell’edificio di inizio Novecento si pranza con i ravioli di ricotta e pomodorino giallo o con le verdure dell’orto sinergico (senza uso di fertilizzanti).
FAGIOLO BIANCO E FICHI MONDI
Il caseificio fa parte di Brodo, una rete di otto produttori con l’obiettivo di lavorare nel rispetto della biodiversità. Come Michele Ferrante, agricoltore di Controne, che coltiva il pregiato fagiolo bianco locale (altamente digeribile), cicerchie e i dolci peperoni Corno di capra. La sua tenuta è un eden graziato da terreni fertili e dalle falde acquifere degli Alburni, i monti che separano il Vallo di Diano dalla valle del fiume Calore. “La nostra grande ricchezza è l’acqua che sgorga da quelle che noi chiamiamo le Dolomiti del sud, ricche di cavità carsiche e anfratti sotterranei ancora inesplorati”, spiega Ferrante. Il fiume forma cinque gole: la quarta si percorre in canoa, altre sono meta di canyoning e di trekking naturalistici lungo le rive. Tutti i tragitti iniziano dal borgo medievale di Felitto, che conserva ancora otto delle 13 torri e tratti delle mura millenarie che cingevano il paese; sono suggestive anche le grotte di Castelcivita, ricche di stalattiti e stalagmiti e visitabili per un paio di chilometri, e la grotta dell’Angelo, o dell’arcangelo Michele: una cappella rupestre usata nell’XI secolo come rifugio dai monaci benedettini.
Dalla vetta del monte Gelbison (monte dell’idolo, in arabo), conosciuto come monte Sacro per la presenza del santuario dedicato alla Vergine Maria (a 1.705 metri), si gode invece uno splendido panorama che spazia da Capri a Maratea. Partivano da qui diversi tratturi per la transumanza che, dalla cima, arrivavano fino al mare di Casalvelino edi Ascea, l’antica Velia del filosofo Parmenide e della sua scuola eleatica. Alla marina della città si trova il Parco archeologico di Elea Velia, dove, passando sotto l’arco della Porta Rosa, si cammina fra resti di mosaici, terme ellenistiche e romane. Un divagazione da non perdere, prima di visitare il caseificio Le Starze di Mario Di Bartolomeo, neanche trent’anni e un passato come pugile professionista a New York, dove “compravo la mozzarella a 50 euro al chilo per sentirmi un po’ a casa”, ricorda. Studi sulla nutrizione e una sana passione per il cibo lo hanno riportato a casa a occuparsi di mucche, capre e pecore. Tutte allo stato brado, sul Gelbison, dove si raccolgono anche le foglie di mirto, qui chiamato mortella, che rilasciano oli essenziali quando vengono usate per avvolgere la mozzarella, fatta con latte vaccino e dalla forma allungata.È una storia di ritorno anche quella di Enza Russo, dell’azienda Funicchito, nel minuscolo paese di Finocchito (neanche cento abitanti), nel comune di Ogliastro Cilento. La sua vocazione sono i fichi bianchi del Cilento dop, una cultivar dal colore giallo chiaro, preparati sia steccati, infilati cioè in due stecche di legno parallele per formare i mustaccioli, sia farciti con mandorle, noci o semi di finocchietto e bucce di agrumi. La vera prelibatezza sono i fichi mondi, cioè senza buccia.
Il Cilento è terra di confine: un po’ Campania, un po’ Basilicata. E l’influenza della sapienza lucana si sente soprattutto nella lavorazione dei salumi. Nell’entroterra, Gioi è il regno della soppressata. Su una collina tra le più alte del parco e protetto dai monti, il borgo si affaccia sulla valle del fiume Alento e sulla costa, verso l’insediamento di Elea Velia. In paese Raffaello Palladino e
Marco Infante gestiscono il Piccolo Salumificio Artigianale, che produce la soppressata di Gioi, presìdio Slow Food, ricavata dalle parti pregiate del suino, caratterizzata da un filetto di lardo posto al centro e dalla forma a pagnotta. “Era il regalo di pregio tra le famiglie del paese”, ricorda Palladino, “perché è stata sempre una carne molto magra. Da noi l’alimentazione conta: gli studi sulla longevità che hanno fatto conoscere i centenari del Cilento nel mondo sono partiti proprio da Gioi”.
Alla base della dieta mediterranea ci sono soprattutto legumi e cereali. Nel cuore del parco, un gruppo di agricoltori sono diventati i custodi di varietà antiche, riscoperte e coltivate attorno al massiccio del Cervati, tra lecci, ontani e faggi d’alto fusto, meta di trekking lunghi fino a sei giorni sull’Alta Via e di itinerari botanici, grazie alle 284 specie di orchidee che vi fioriscono tra aprile e maggio. Le coltivazioni arrivano a 1.200 metri di altezza, all’ombra della fascia submontana dove sono state messe a dimora fino a 80 tipologie di fagioli. Poi ci sono i grani, come il Senatore Cappelli, la Saragolla, la segale Jurmano; e frutti quasi estinti, come la pera lardara. Maurizio Trezza e Pasquale Iacontino sono le sentinelle dei “campi collezione”. Il primo è il mugnaio che trasforma il raccolto in farina, molita a pietra, il secondo in pasta. “Dalle nostre parti si viene per stare in montagna, camminare nella Valle delle Orchidee a Sassano, respirare l’atmosfera medievale di Teggiano e vedere le donne di Monte San Giacomo che ancora lavano i panni nella fontana Silvana”. Il cerchio della dieta si chiude a Vallo della Lucania, sede dell’ente parco, dove i grani antichi diventano pani, torte, biscotti da Storie di Pane, la bottega del panificatore Paolo De Simone, in cui si possono acquistare anche salumi e formaggi locali. La sua seconda creatura De Simone l’ha ideata insieme a due soci: da Zero è una pizzeria-laboratorio che utilizza prodotti a chilometro zero, molti presìdi Slow Food locali, come il cacioricotta di capra, e dove la combinazione dei diversi ingredienti è pensata anche in chiave salutista. “Fa che il cibo sia la tua medicina”, diceva Ippocrate, già molto prima degli studi di Ancel Keys. Una prescrizione che i cilentani seguono, da sempre, alla lettera.
La natura èil primo ingrediente delle eccellenze gastronomiche del Cilento