MISTERIOSA Tangeri
Enigmatica e affascinante. Porta, geografica e simbolica, fra Europa e Africa, Mediterraneo e Atlantico. Come negli anni d’oro del Novecento, è ancora un crocevia per artisti, musicisti in cerca di sonorità raffinate, cultori del bello. Che indugiano in h
“Quando il vento arriva a Tangeri si mette a girare in tondo e non sa più da che parte andarsene”. Sono parole dello scrittore Tahar Ben Jelloun, che vi ha trascorso la sua adolescenza e oggi è tornato a viverci, mentre a Rabat ha compiuto gli studi di filosofia, nel suo Giorno di silenzio a Tangeri (Einaudi, 6,20 €). Proprio il vento è la prima presenza tattile nella quale ci si imbatte entrando nella Città Bianca. Le folate del chergui, che soffia da est, veicolano anche le note delle mille musiche che hanno avuto i natali in questo lembo di terra, non più Europa e non ancora Africa. Nelle vicinanze del museo della Kasbah (19 rue Riad Sultan), con una magnifica raccolta di ceramiche, nei fine settimana basta seguire le proprie orecchie e ci si ritroverà in un minuscolo locale: è la club house dei Figli dello Stretto, un team di maestri musicisti tutti da conoscere e ascoltare.
Musica: tra passato e futuro
Si ritrovano qui per fumare, usando una pipa dotata di un lungo bocchino, il sebsi, e per giocare a parchi, una sorta di dama. Il venerdì e il sabato sera sono però dedicati alla musica. Gli strumenti sono appesi alle pareti: due oud (a corde, simile al liuto), un violino e una darbuka come tamburo. La stanza è pregna del profumo del tabacco e la musica ha la capacità di essere moderna e nel contempo evocatrice di un passato lontano. Una dicotomia che vive ovunque nella città e che si respira nel suq ,in particolare il giovedì e la domenica, quando dalle montagne scendono le contadine per vendere le proprie mercanzie. La loro visione è una gioia per gli occhi, ma anche per gli obiettivi delle fotocamere. Uomini avvolti da lunghe tuniche, contadine
che offrono i loro prodotti sembrano indossare una divisa: una stoffa bianca a righe colorate, la fouta, funge da gonna, mentre il capo è riparato da un enorme cappello di paglia decorato con sgargianti pompon rossi o blu. Un esotismo che ha convinto molti occidentali a passare da queste parti; qualcuno, come lo scrittore statunitense Paul Bowles, autore di Il tè nel deserto, addirittura a viverci. Gli anni della stagione d’oro della città intercorsero tra il 1912, quando le grandi potenze le conferirono uno statuto internazionale, e il 1957, allorché, con l’indipendenza, Tangeri tornò al Marocco. In quel periodo il porto franco attirava uomini d’affari, ma anche mascalzoni. Nacquero 80 banche, fu inaugurata la Borsa, il Times aprì un ufficio di corrispondenza. Sorse la maggiore casa di piacere del Mediterraneo, il Tru Ben Charki, e vennero aperti infiniti bistrot.
Bistrot
e sapori
Oggi al Cafè Tingis (rue Almohades), storico indirizzo sul teatro e
sull’andirivieni di place Petit Socco, l’epicentro, all’inizio del XX secolo, della vita cittadina, si trovano venditori di improbabili Rolex e polverose pelli pitonate che hanno l’aria di risalire ai tempi in cui l’ereditiera Barbara Hutton, tutti i venerdì, faceva preparare un cuscus per gli abitanti della Medina. I profumi sono quelli del tè, delle spezie. Per ritrovare la Tangeri di oggi, vibrante e contemporanea, anche in cucina, si va a El Morocco Club (place du Tabor, elmoroccoclub.ma), disegnato dall’architetto americano Stuart Church, che quando arrivò a Tangeri decise che non se ne sarebbe più andato. È il ristorante di Vincent Coppé, molto apprezzato in città anche per il piano bar. Ci veniva il leader dei Rolling Stones, Mick Jagger, con gli amici; oggi piace agli artisti, come Carla Querejeta Roca, spesso di passaggio a Tangeri: le sue opere, realizzate con materiali di recupero, ssi comprano alla galleria Dar d’Art di Chokri Bentaouit (rue Khalil Metrane 6). A El Morocco Club il dj è onnivoro: le sue scelte spaziano dal jazz al pop marocchino. Nel carnet della sera si trova anche El Dorado (rue Allal Ben Abdellah 21), un classico, non lontano dall’hotel Chellah (hotelchellah.com-tanger. com/it), che il 21 febbraio ha inaugurato il nuovo Chellah sulla Corniche, con musica dal vivo a bordo spiaggia. Ci si lascia conquistare dai profumi delle tajine e dal pesce freschissimo.
Nella
MediNa
Oggi Tangeri vive di container e digitale, ma non ha dimenticato la sua anima vintage. Per sincerarsene basta addentrarsi nel labirinto di vicoli e piccole piazze della medina, costruiti nel tempo, a mano a mano che sorgeva la necessità, totalmente privi di una logica topografica. Ma la magia di questo luogo denso di profumi, sguardi veloci, incontri, è unica. Bisogna lasciarsi condurre dagli odori e dalle parole per destreggiarsi
tra bancarelle e negozi che vendono prodotti artigianali, stoffe, abiti ricamati, oggetti in rame e ottone, pellame, ambra, corallo e tappeti. Più eleganti i negozi delle strade all’europea di Ville Nouvelle, che si estende irregolarmente a sudovest della medina. Un profumato tè alla menta al Cafè Champs Elysèes (6 avenue Mohammed V) restituisce memorie della Tangeri che fu. Intellettuali, studenti e tanti turisti preferiscono l’odore della carta stampata nella Librairie des Colonnes (54, bd Pasteur): ingresso di boiserie e scaffali fitti di cataloghi ed edizioni rare, le cui stanze hanno accolto gli scrittori Truman Capote e Gore Vidal. Per
respirare l’essenza della Tangeri di oggi bisogna salire fino a rue Assad Ibn Al-Farrat, poco battuta dai turisti, che ospita la casa dove per sei mesi visse Giuseppe Garibaldi. Chissà se passeggiava nei giardini del Palazzo del Moulay Hfid, poi sede della legazione italiana e oggi del ristorante Casa d’Italia (tel. 00212.53.99.36.348 e su Fb). Lasciato sulla sinistra il Cafè Hafa (attualmente chiuso per lavori nella terrazza che fu luogo d’incontro tra Beat Generation statunitense e maudits europei), c’è una grande scogliera che precipita verso il mare. Alla destra il vecchio porto; alle spalle un prato dove bruca qualche capra; davanti, l’oceano. Tutti, anche chi è lì da solo, guardano ammirati il mare. Gli unici rumori sono il bisbiglio delle conversazioni e, qualche volta, il motore di una barca. La Spagna è lì, sembra di poterla toccare. Un sogno, l’illusione dell’Europa raggiungibile in meno di un’ora di traghetto. Un miraggio per tanti ragazzi. Difficile capire che cosa si dicono: parlano uno slang ispano-ebraico-marocchino chiamato hakitica. L’ennesimo suono meticcio di Tangeri.