Musica sul Danubio blu.
Prima di sfociare nel Mar Nero, il grande fiume lambisce una terra sorprendente, con una natura selvaggia e tradizioni ataviche. Il nostro inviato nel Delta ha raccolto voci e colori
Prima del Mar Nero, tra natura selvaggia e tradizioni
Èuna sterminata terra di nessuno, dove il fiume svanisce nel mare. Nel Delta del Danubio, in Romania, non c’è confine con l’acqua, “le strade che nei villaggi conducono da una casa all’altra sono ora viottoli coperti d’erba ora canali sui quali fluttuano giunchi e ninfee”, recita Danubio di Claudio Magris (Garzanti, 2006, 22 €), regalando subito l’immagine di una regione sorprendente.
Il viaggio inizia nel parco nazionale dei monti Ma˘cin, l’anticamera del Delta. Riserva della Biosfera dal 1998, questa è l’unica area dell’Unione europea nella quale gli ecosistemi specifici della steppa si trovano accanto a foreste submediterranee e balcaniche. La geomorfologia locale, con un’alternanza di vallate e vette aguzze, e le frequenti correnti ascendenti - un autentico paradiso per gli uccelli in cerca di cibo -, fanno sì che il cielo sia solcato da 181 specie di volatili e da mille tipi di farfalle. Sentieri facili si inerpicano su montagne vecchie 400 milioni di anni e, percorrendoli, si scopre una vegetazione dove prosperano oltre 1.900 specie di piante, metà della flora rumena.
I FRIULANI DI GRECI
Per arrivare fin qui da Bucarest, a 250 chilometri, sono necessarie tre ore abbondanti d’auto. Si pranza a Greci, un borgo ai piedi del Tutuiatul, la vetta più alta della catena. È un classico villaggio della Dobrugia rumena, fertile terra di confine che proprio per questo motivo ha sempre richiamato popoli e culture. La cittadina fu colonizzata dai friulani che arrivarono a metà dell’Ottocento attirati dalle offerte di lavoro dei latifondisti e dalla richiesta di manodopera specializzata, come tagliapietre e carpentieri. Negli anni a cavallo della Seconda guerra mondiale gli italieni di Greci erano più di seicento. Molti giovani se ne sono andati, ma per le strade del borgo si incontrano coppie in età che parlano friulano, anche se non sono mai state in
Italia. A Greci troneggia il campanile della chiesa cattolica di santa Lucia, un riferimento per la comunità e per i viaggiatori. Per trascorrere la notte in paese ci si può rivolgere al parroco, Ianus Vasile-Lucian (strada Florilor, tel. 0040.24.05.75.094): è lui a mettere in contatto con le famiglie di origine italiana che offrono ospitalità. Così si può scoprire che questi b&b improvvisati spesso sono impreziositi da piccole biblioteche con vecchie edizioni italiane di romanzi di Elio Vittorini e Cesare Pavese.
Si va alla Pensiunea La livada, ristorante immerso nel verde della campagna, per gustare cucina italo-rumena, con sorprendenti spaghetti cotti al dente, e trascorrere una serata ravvivata da band di musicisti di origine turca che hanno in repertorio anche canzoni italiane. A 15 chilometri, nel borgo di Ma˘cin, svetta il minareto di una moschea: qui al posto dei friulani sono arrivati i turchi. Si cena da Alcovin, al ristorante dell’azienda vinicola, con salumi e piatti del territorio.
IL PARADISO DELLO STORIONE
L’indomani si parte per Tulcea, 80 chilometri scarsi, e si arriva nel capoluogo della Dobrugia. È la porta del Delta. Qui il Danubio si divide in tre rami principali. Chilia, a nord, sfocia nel mare attraverso 45 bocche. Sfîntu Gheorghe, a sud, è serpentino e attorcigliato. In mezzo a questi due c’è Sulina, frutto della canalizzazione operata tra il 1880 e il 1902, che rende agevole la navigazione del fiume. Per la barca non c’è che l’imbarazzo della scelta: si va dai grandi battelli di linea, che collegano Tulcea con Sulina, a veloci motoscafi biposto. Ideale è la via intermedia: un cabinato da sei posti con cui entrare nel canale di Sulina e poi risalire un ramo laterale. Basta poco per capire che si è arrivati in una sorta di paradiso terrestre. La fauna conta circa 300 specie di volatili, provenienti dalle cinque strade di passaggio degli uccelli migratori d’Europa; 110 specie di pesci, tra cui lo storione sterleto, da cui si ricava l’oro nero locale: il caviale. Il tutto in 800 ettari di bosco, popolati anche da lontre, ermellini, faine, castori (reintrodotti di recente) ed enot (o nittereuti, cani-procione selvatici). Sono gli esseri che vivono il cuore del Danubio, regalandogli una vitalità che rende il Delta un’oasi di armonia, anche se è una terra sempre più impoverita. Negli anni
del comunismo ci fu un tentativo di trasformare quest’area da zona umida naturalistica (cinquemila chilometri quadrati di estensione: la più grande d’Europa) in terreno agricolo, con bacini per la piscicoltura. Una scelta che portò all’abbandono delle pratiche tradizionali e permise l’uso di barche a motore e l’adozione di pratiche moderne per la pesca. Oggi si registra una parziale inversione di tendenza e il fatto che dal 2006 sia vietata la cattura dello storione (a rischio estinzione) è un tentativo di rimediare ai danni del passato. I trampolieri sono tornati e volano a filo d’acqua, i brutti anatroccoli usano le zampe di mamma cigno come ponte per salirle in groppa e farsi portare a spasso, stuoli di uccelli tuffatori si lanciano in acqua insieme come una squadra di nuoto sincronizzato, mentre i pescatori cercano di rimpinguare il bottino districandosi tra i canneti di canali e laghi.
IL SIGNORE DELLE CANOE
La navigazione prosegue tranquilla, il beccheggio è inesistente. Il fiume è sempre calmo, le uniche onde che fanno oscillare l’imbarcazione sono quelle provocate dal passaggio di barconi carichi di merci. Non ci sono nemmeno chiuse da superare: ci si ferma solo per scattare foto.
L’arrivo a Mila 23 è spesso salutato dalla presenza di pellicani (nel Delta se ne contano circa tremila). Il mare dista 23 miglia (42 chilometri) e questo spiega il nome del villaggio. È terra di canoisti: qui sono nati 25 campioni; il re è Ivan Patzaichin, quattro ori olimpici e otto mondiali. Davanti a molte abitazioni c’è una canotca. È un incrocio tra una tipica imbarcazione del luogo, la lotca, e una canoa, ed è un’invenzione di Patzaichin. Lui è di origine lipovena, popolazione russofona che proviene dalle regioni dei fiumi Don e Dnepr (in rumeno Nipru) che viveva di pesca. Dopo il sinodo del 1654, con cui venne riformata la chiesa russa ortodossa, alcuni fedeli si rifiutarono di seguire le nuove regole, lasciarono la Russia e si trasferirono in Dobrugia. Sono gli antenati dei 300 lipoveni (400, compresi i bambini) che oggi risiedono a Mila 23 vivendo, come i loro avi, di pesca. Negli armadi delle loro case in legno, colorate di azzurro e bianco, hanno anche abiti tradizionali dai colori sgargianti che indossano per intonare melopee nostalgiche che evocano la grande madre Russia. Nella casa di Lucilla Buhaev, una delle coordinatrici dell’associatia Ivan Patzaichin-Mila 23, è possibile gustare la cucina lipovena. Il piatto forte è il pesce gatto, fritto o al forno con pomodoro e aglio, da accompagnare con distillato di frutta locale.
L’intero ecosistema del Delta del Danubio è una delle aree naturalistiche più importanti d’Europa
SULINA, LA TANGERI RUMENA
Discendendo un ramo secondario del Delta ci si immette nel canale Sulina e, in meno di tre ore, si raggiunge la città omonima. Non esistono strade che la collegano al resto della Romania e da Tulcea è raggiungibile solo in barca. Eppure questa è stata una sorta di Tangeri danubiana. Nella seconda metà del XIX secolo, fino alla Seconda guerra mondiale, il controllo della regione venne affidato alla Commissione europea del Danubio, che aveva qui il suo quartier generale. Sulina divenne porto franco e si sviluppò rapidamente, fino a ospitare 22 comunità religiose e sette consolati. Nacque così una città cosmopolita, la cui neutralità, anche in caso di guerra, era garantita per statuto. Tutti rimarcavano la loro presenza con chiese, palazzi e funzionari. E, come nella zona internazionale di Tangeri, arrivarono spie, contrabbandieri e pirati. Passeggiare tra le strade, incrociando la monumentale sede della commissione, chiese di svariate confessioni, abitazioni che lasciano intuire un passato glorioso, un vecchio faro, è fare un trekking nella storia.
Nel Delta le acque portano immensi quantitativi di fango, sabbia, resti vegetali che, in ogni momento, fanno nascere qui la terra più giovane d’Europa. In fondo alla strada stepposa si vede il mare, la polvere diventa sabbia, ma non c’è un punto preciso dove il Danubio muore perché il grande fiume si dissolve attraverso mille bocche. Non resta che passeggiare lungo le dune di fronte al mare e l’indomani imbarcarsi di nuovo, puntare verso Letea, solcando un piccolo canale in cui prosperano ninfee e ranuncoli d’acqua. Sembra impossibile, ma qui la navigazione diventa ancora più lenta, non perché non si possa accelerare, bensì perché passando tra i fiori è impensabile non adeguarsi al ritmo della natura. Letea
Il regime comunista tentò di trasformare il Delta in un terreno agricolo, con aree per la piscicoltura
è un borgo perso nel tempo, senza acqua corrente, con strade sterrate e case di legno color pastello. Da qui, salendo su un carretto trainato da un cavallo, si può arrivare fino al cuore della più antica riserva naturale della Romania, una foresta a base di pioppi, tigli e ontani nelle cui radure pascolano branchi di cavalli bradi. Tornati in barca si lambisce la riserva naturale di Rosca-Buhaiova, la più grande oasi di pellicani d’Europa, per poi raggiungere Chilia, con la fortezza del 1479, un villaggio sul braccio orientale del Delta che segna il confine tra Romania e Ucraina. Un tempo insediamento greco chiamato Achillea, secondo alcuni sarebbe il luogo in cui è stato sepolto l’eroe omerico Achille. Si prenota il Resort Limanul: 12 spaziose stanze in villini di legno, una piscina e un ristorante dove si può gustare una genuina cucina locale. Probabilmente sono strutture come queste, rispettose del territorio e della sua cultura, che possono garantire un futuro a chi vive in questo immenso spazio dove il tempo è scandito dalle migrazioni degli uccelli.
Un’ultima vista d’assieme della regione ce la si può regalare l’indomani quando, dopo aver raggiunto Tulcea in barca, con un bus si sceglie di salire fino ai resti della fortezza genovese di Enisala, in cima a una collina da dove si ammira l’intera zona fino al mare. Lo sguardo abbraccia un territorio meno selvaggio di quello incontrato in navigazione, ma anche da quassù non si vede un punto preciso che sancisca il capolinea del grande fiume. D’altronde Magris scriveva: “Dove finisce il Danubio? In questo incessante finire non c’è una fine, c’è solo un verbo all’infinito presente. I rami del fiume se ne vanno ognuno per conto proprio (...) muoiono quando gli pare, uno un po’ prima e uno un po’ dopo. Il Danubio, è dappertutto e anche la sua fine è dovunque, in ognuno dei 4.300 chilometri quadrati del Delta”.