UN ARCIPELAGO APERTO
In un caveau nel sottosuolo c'è la Svalbard Global Seed Vault :la banca dei semi che custodisce il futuro del pianeta
Le Svalbard, territorio norvegese, sono amministrate da un governatore e non eleggono rappresentanti nel parlamento nazionale, anche se gli abitanti possono votare, durante le elezioni, per le loro circoscrizioni di origine. Nell’arcipelago, completamente smilitarizzato e neutrale, vige una sorta di autogoverno, con poche ingerenze della madrepatria. Non esistono permessi di soggiorno, né servono visti per viverci in modo permanente: basta essere autosufficienti e avere un lavoro. La particolarità di questo luogo è che tutti i 14 Paesi che nel 1920 firmarono il Trattato delle Svalbard (tra essi anche l’Italia), hanno la possibilità di avviare attività commerciali su queste isole, sfruttarne le ricchezze e le risorse minerarie e, di fatto, colonizzarle con insediamenti, riconoscendo in ogni caso la sovranità della Norvegia. Oggi i Paesi aderenti al trattato sono 46. Solamente l'ex Unione Sovietica ha fondato cittadine minerarie - oggi, di fatto, abbandonate - per estrarre dal sottosuolo il carbone. Proprio la presenza di questo combustibile di origine vegetale indica che, in ere geologiche molto remote, le Svalbard occuparono altre latitudini: il clima consentì lo sviluppo di una vegetazione lussureggiante, testimoniata anche dai numerosi fossili di piante presenti nelle rocce.
Gli strati neri visibili nelle stratificazioni multicolori delle montagne documentano quindi eventi geologici che si sono susseguiti per milioni di anni fino a creare l’odierno, meraviglioso, paesaggio.
mentata da un fronte di ghiaccio immerso nell’acqua. La mattina successiva inizia il lungo trasferimento verso nord: quasi 24 ore di navigazione ininterrotta, inizialmente con condizioni meteo stabili, nel Forlandsunde, un braccio di mare protetto da una lunga isola. Le ore successive saranno più movimentate, con raffiche di vento e onde impetuose.
LO SBARCO IN BANCHISA
Oltre il 79° parallelo torna la calma. La costa della Terra di Alberto I (in onore del principe Alberto I di Monaco, che la esplorò tra il 1898 e il 1907), offre paesaggi selvaggi, con fronti glaciali che si gettano in mare scivolando dalle cime aguzze di montagne che hanno più 800 milioni di anni. Un paradiso per i geologi: l’assenza di vegetazione consente di osservare il terreno e ricostruirne la storia. Si getta l’ancora nel Magdalenefjorden per una lunga escursione a terra. Una casetta in legno con una grande antenna radio è il rifugio di Elisabeth Hjelmseth, guardiaparco che trascorre lunghe settimane di solitudine e che nutre un amore sconfinato per questi luoghi e per gli animali che li popolano. Solo se Hjelmseth approva l’attrezzatura di sicurezza di cui si è dotati si può iniziare il trekking. Seguendo le sue indicazioni si incontrano branchi di renne selvatiche, innumerevoli uccelli marini e famiglie di volpi artiche con i cuccioli, sdraiati sul muschio.
La navigazione prosegue all’interno del profondo e frastagliato Smeerenburgfjorden, lungo circa 20 chilometri e largo quattro: si esplora la costa entrando in strette insenature; la quantità di blocchi di ghiaccio aumenta e le manovre dell’equipaggio si fanno più attente. Gruppi di foche di Weddell e foche barbute scivolano intorno alla barca e, quando i gommoni sono in acqua, si avvicinano curiose, mentre il suono di milioni di uccelli che proviene dalle falesie diventa quasi assordante. Sono urie,
Si incontrano renne selvatiche, famiglie di volpi artiche
con i cuccioli e il signore dei ghiacci: l’orso polare
pulcinella di mare, sterne artiche, fulmari, gabbiani; nell’interno si riescono a osservare anche oche e pernici bianche. Superando l’isola di Amsterdamoya si punta ancora verso nordest doppiando alcune isolette al largo di Fair Haven, dove, per la prima volta, si scorge in lontananza la sagoma di un orso bianco. Si spiegano le vele e, se la giornata è serena, l’orizzonte appare come una sottile linea bianca appoggiata all’oceano blu scuro. Il capitano decide di far sbarcare gli ospiti. Da qui, camminando, si può raggiungere il Polo Nord. Il Gps di bordo segna 80,04 °N di latitudine quando la Aztec Lady si appoggia alla banchisa artica. Ci si ancora con due picchetti alla piattaforma di ghiaccio e l’intero gruppo, con un bicchiere di champagne in mano, mette piede sulla calotta artica, visibilmente sottile, fragile. La sosta non dura più di mezz’ora: le condizioni meteo cambiano rapidamente, la corrente potrebbe spostare il ghiaccio e la nebbia scendere all’improvviso, rendendo la navigazione pericolosa.
Prima di puntare a sud si entra nel Randfjorden, dove si getta l’ancora. Non si sa se sia notte o meno: in questo periodo il sole non tramonta mai e pochi giorni bastano a minare le certezze, ma il desiderio di godere ogni attimo rende tutti instancabili e resistenti. A bordo, non si smette di scrutare il paesaggio, pronti a uscire per osservare le balene o le foche, ma, soprattutto, per non perdere l’occasione di vedere l’orso bianco. Proprio il grande mammifero sarà il protagonista di un’intera giornata: dopo averlo avvistato sulla costa, gli Zodiac vengono messi in acqua per seguirlo mentre nuota da un’isola
all’altra. Poi l’animale tocca terra, incurante della presenza umana. Le ore trascorrono in un attimo, senza sentire il freddo, sopportando gli spruzzi salati e le raffiche di vento, in un silenzio rispettoso.
MONTAGNE ROSSE E TUONI SECCHI
Si avanza lentamente verso sud, tra piccoli iceberg dai colori sorprendenti, fino al Kongsfijorden, con gli sbuffi delle balene e il fronte dei ghiacciai che crea un anfiteatro naturale lungo quasi 12 chilometri. Le montagne antiche, composte da strati di arenaria, martoriate da secoli di erosione, riversano in acqua una sabbia rossa e fine che, diluendosi, colora di arancione cupo l’intero fiordo, da cui emergono cristalli di ghiaccio azzurro. Ci si ferma a distanza di sicurezza, almeno 300 metri. Lo scricchiolio della massa glaciale è continuo: tuoni secchi, rumore di frane vetrose e, all’improvviso, il crollo, con migliaia di uccelli che si alzano in volo.
Usciti dal fiordo, un breve trekking consente di visitare vecchi insediamenti, le cave di marmo di New London, con i macchinari arrugginiti. Qui si trova anche la base scientifica di Ny-Ålesund, con ricercatori di tutto il mondo, italiani compresi. Si naviga ancora verso sud lungo la costa occidentale fino a uno stretto lido ghiaioso: nella nebbia appare una colonia di trichechi insieme a qualche foca barbuta.
La notte prima del rientro a Longyearbyen si trascorre in uno dei due insediamenti russi dell’arcipelago, la cittadina mineraria di Barentsburg (l’altra, di fatto abbandonata, è Pyramiden). Vivono e lavorano qui, in un’atmosfera surreale, 850 fra minatori russi e ucraini. Una leggera polvere di carbone ricopre ogni cosa: un microcosmo decadente fermo agli anni Settanta, ma di grande suggestione. La marina di Longyearbyen accoglie l’Aztec Lady nel tardo pomeriggio. Il tempo di una breve visita, la cena, poi i saluti a chi ha condiviso il viaggio ai confini della Terra. E il ritorno, con la speranza che questo mondo glaciale sopravviva ai cambiamenti climatici. Dipende anche da noi.
Il viaggio nel Mare Artico va prenotato con ampio anticipo: sono poche le barche attrezzate per queste spedizioni