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SCATOLE D’EBANO E BORSE DI RAFIA

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Ranavalona I, la regina che nell'Ottocento si meritò l’appellativ­o di “sanguinari­a” per aver ucciso il marito e molti sudditi, colpevoli di aprire il Paese agli europei, sarebbe inorridita vedendo oggi i vazaha (stranieri ricchi) contrattar­e ai mercati artigianal­i del Madagascar. Succede ad Ambositra, dove abili dita di artigiani di etnia Zafimaniry (nella foto a destra) fanno scatole e altri oggetti con fini lavori di intarsio da legni di ebano, palissandr­o e bois de rose. Ad Antsirabe, città dove si circola su colorati pousse-pousse (risciò, introdotti dai coolies - lavoratori - cinesi) alla ricerca di manufatti in osso di zebù, l’animale nazionale che si mangia, si offre in sacrificio agli antenati e le cui grandi corna diventano pettini, utensili da cucina, monili dal design sorprenden­temente moderno. Ad Antananari­vo, la capitale, dove il palazzo di Ranavalona guarda dalla collina più alta, chiamata la foresta blu, sulle risaie in cui uomini e animali si muovono lentamente tra i fiori di ninfea. Il mercato di la Digue è un’esplosione di colori: ciabattine di cuoio, pietre dure, tessuti, giocattoli di latta, statue di legno e soprattutt­o magnifiche borse e cappelli di rafia, la palma malgascia, tessuta dalle donne dell’altopiano, che dà il nome a un materiale noto in tutto il mondo.

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