SARDEGNA
| LA NATURA LIBERA LA MENTE
Momenti d’oro. Mare, bagni, passeggiate tra Sulcis Iglesiente e Medio Campidano
Aovest il vento è testardo e le correnti impetuose. Il mare spinge al largo e a ogni risacca batte deciso contro le scogliere alte e scure: sembra Cornovaglia, più che Italia. Le rocce si alternano a dune di sabbia impalpabile che lasciano il posto a vallate deserte, piane lunari interrotte qua e là da torri basaltiche e montagne aspre. Il paesaggio della Sardegna sudoccidentale, nel suo continuo cambio di prospettive, ha un fascino ruvido, come la gente che lo abita, caparbia, che da sempre si rimbocca le maniche. In particolare in questi ultimi anni, quando ha dovuto far fronte a crisi e vuoti occupazionali. Secondo i dati più recenti rilevati da Istat, qui il reddito medio annuale è di 14.600 euro per abitante; un giovane su due non ha un lavoro fisso. Numeri scoraggianti, che tuttavia non fermano la spinta di imprenditori e artigiani a ridare valore al territorio, cercando vie di sviluppo alternative: bisognerà ripartire anche da qui appena l’emergenza coronavirus sarà terminata.
Ad aprire la strada è stata Daniela Ducato, tra le imprenditrici più innovative d’Italia secondo la rivista americana Fortune, che nel comune di Guspini, nel Medio Campidano, ha dato vita a Edizero, azienda di materiali petrol-free per bioedilizia e ingegneria. “La mia idea? Non lasciare rifiuti alle generazioni future”. Seguendo il suo esempio è nato, a Guspini, il gruppo Confcommercio Campidano Green, che supporta proposte imprenditoriali sostenibili. Sempre nel Medio Campidano, a Serramanna, un gruppo di giovani laureati ha fondato la società Sardex. In dieci anni è riuscita a muovere 500 milioni di euro attraverso una moneta complementare, il sardex, appunto. Le imprese iscritte alla piattaforma digitale (oltre quattromila in tutta Italia) attivano un conto corrente in sardex e con i beni e i servizi che producono guadagnano crediti spendibili in altre aziende del network. Un modello virtuoso citato dal Financial Times e studiato dalla London School of Economics, a sottolineare come in questa terra il valore umano sia un patrimonio da scoprire tanto quanto il paesaggio.
LA COSTA DELLE MINIERE
Dal Sulcis Iglesiente al Medio Campidano, fino a capo Frasca, ultimo lembo di terra prima dell’Oristanese, la natura trionfa accanto ai resti delle miniere in disuso; i sentieri si inerpicano sulle alture e regalano viste memorabili su spiagge nascoste, dove si contano più aironi che ombrelloni. La strada che attraversa l’ovest è un condensato di emozioni. Come dice Gavino Sanna, pubblicitario e imprenditore, “Questa terra è qualcosa di non completamente spiegabile. Con essa si stabilisce un rapporto che si fonda su cose invisibili: la memoria, le emozioni, il sogno”.
Mura antiche, torri e un saliscendi di borghi medioevali stretti e acciottolati: Iglesias, porta d’ingresso all’itinerario sudoccidentale, è una città piccola e raccolta. Palazzi liberty scoloriti dal sole, balconi in ferro battuto in stile aragonese e piccole piazze sonnolente fino al tramonto fanno da cornice alla sontuosa cattedrale di Santa Chiara e alla piazza del municipio, dove il ristorante Villa di Chiesa apparecchia le sue tavole. Ci si siede per ordinare piatti a base di pesce: “Il mare è vicino e i prodotti sono di ottima qualità”, dice Alessandro Chessa, il proprietario, che gestisce anche il bar Modigliani, all’interno di un palazzo storico, aperto da pochi mesi accanto al ristorante. “Qui soggiornò, con la famiglia, il pittore e scultore Amedeo Modigliani. Gestivano affari nell’Iglesiente ed erano innamorati di queste coste”, conclude Chessa.
A ovest di Iglesias è un succedersi tortuoso di scorci panoramici fino
a Cala Domestica: si passa per Nebida, con i resti dell’antica miniera aggrappata sulla scogliera, e per Masua, davanti a cui si erge il Pan di Zucchero, un grande scoglio bianco in mezzo al mare che ricorda quello Rio de Janeiro. È uno dei monumenti naturali più imponenti e spettacolari della costa iglesiente. Sulla spiaggia di Masua, di fronte al faraglione, Arianna Franzina e Matteo Galzerino hanno aperto il Warung Beach Club, che ha ricevuto premi di eccellenza per la qualità dei servizi e la cucina, guidata dalla chef Tamara Zanellato, che dice: “Secondo i biologi marini, proprio in queste acque il tonno rosso del Mediterraneo raggiunge le migliori proprietà organolettiche. È pescato dal 1591 con il sistema della tonnara fissa, che rispetta i ritmi biologici del pesce e ne garantisce la qualità”. Non a caso i piatti simbolo di Zanellato sono a base di questo sgombride: dal risotto alla tartare, dai tacos ai filetti.
L’équipe del Warung organizza anche escursioni in barca per vedere i resti di laverie, pozzi, antichi porti, opere di archeologia industriale arrugginite dalla salsedine e dal maestrale. Da Laveria Lamarmora, dove le cernitrici selezionavano i minerali estratti per “lavarli”, a Porto Flavia, vero e proprio capolavoro di ingegneria: è un tunnel di 700 metri sospeso fra cielo e mare, costruito per ridurre tempi e costi di trasporto. Dall’interno della montagna permetteva, infatti, l’imbarco diretto sulle navi dei minerali destinati alle fonderie nordeuropee, a un ritmo di 300 tonnellate all’ora.
DUNE E MACCHIA MEDITERRANEA
Poco oltre, Cala Domestica, nel territorio del Buggerru, è un’insenatura stretta, incorniciata da bastioni di roccia calcarea. Nella prima metà del Novecento “era un porto d’imbarco dei minerali; oggi è una cala protetta”, spiega Omar Sanna, agente immobiliare e promotore turistico. Non lontano c’è Fluminimaggiore, con i suoi murales, le colonne del tempio punicoromano di Antas, costruito dai Fenici nel 500 a.C., e le grotte carsiche di Su
Mannau. “Sono poco visitate, ma di grande interesse: si insinuano per otto chilometri nel cuore della terra, un mondo nascosto”, conclude Sanna. La strada che sale verso nord porta a un altro tratto, fra i più suggestivi dell’isola. Èla Costa Verde: dune alte che sembrano deserto, onde per il surf e baie protette dall’acqua immobile. Prende il nome dalla macchia color smeraldo di cespugli di lentisco e corbezzolo che separa la terra dal mare, ma la si potrebbe chiamare anche costa del silenzio, perché è poco frequentata e selvaggia: sulla spiaggia, di primo mattino, capita di incontrare il cervo sardo, che scende dal Monte Arcuentu, una riserva naturale di quasi quattromila ettari di foresta, con un cuore di lecci e sugheri.
La natura incontaminata fa da filo conduttore alla strada che da Capo Pecora arriva a Capo Frasca, 50 chilometri di colori saturi e solitaria bellezza. “Corre per l’intero tratto settentrionale lontano dal litorale”, racconta Maria Paola Loi, guida turistica. “C’è solo un punto in cui si avvicina al mare, fin quasi a toccare l’acqua. È l’insenatura di Porto Palma, l’antica tonnara di Flumentorgiu. La spiaggia è un bel semicerchio e le vecchie case dei pescatori sono diventate residenze per i turisti. Oltre il borgo c’è un ponte che attraversa il porto: da qui partono passeggiate che arrivano a calette solitarie come Is Arrosadas e Rio Murtas, piccoli segreti naturali per pochi intimi”.
Il sardex, la moneta complementare inventata da alcuni imprenditori, è un caso studiato all’estero
ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE E FUTURO GREEN
Lasciata la costa e procedendo verso l’interno, boschi e macchia mediterranea ricoprono gran parte dell’Arburese. In uno scenario che sembra appartenere a un western di Sergio Leone, resistono le architetture di Montevecchio. “Costituivano il complesso minerario di zinco e piombo più importante d’Italia”, spiega Tarcisio Agus, presidente del Parco geominerario storico ambientale della Sardegna, di cui Montevecchio è parte. “Merito di Giovanni Antonio Sanna, grande imprenditore nato a Sassari nel 1019. Fu un autentico capitano d’industria che riuscì a finanziare lo sbarco dei Mille a Marsala e la Giovane Italia di Mazzini con i proventi di questa miniera”. La visita comprende il palazzo della direzione, con i salotti ben tenuti e gli affreschi, le officine adibite alla manutenzione dei macchinari, i tunnel e gli alloggi per gli operai: “Ci sono quattro percorsi guidati in superficie”, aggiunge Manuele Levanti di Lugori Sardinia Tourism Service, che gestisce il sito, “e la galleria anglosarda, un tunnel di estrazione lungo il filone metallifero scoperto da Sanna”.
Nelle vallate solitarie che circondano le miniere, tra canyon e montagne, l’ex centrale elettrica di Montevecchio accoglie il Birrificio 4 Mori, un progetto di riqualificazione e sostenibilità: “Per produrre le nostre birre utilizziamo grano duro locale e castagne del Gennargentu e sfruttiamo energie rinnovabili”, precisa Antonio Zanda, uno dei soci fondatori. “Partendo dalla tradizione guardiamo al futuro con un piano di lavoro che non sfrutti il territorio, ma lo valorizzi: molti turisti vengono a visitare lo stabilimento e in estate, in questo spazio fuori dal tempo, organizziamo eventi e concerti”. Zanda è orgoglioso delle proprie radici e di ciò che fa, proprio come Monica Saba, dell’azienda agricola Gennè Sciria. La sua è una bella storia d’imprenditoria femminile all’interno del parco minerario. “Allevo capre e pecore nere tra boschi di roverella e querce secolari, oltre a cervi e cinghiali. Produco formaggi lavorati a mano utilizzando il cardo mariano come caglio naturale ed erbe per essiccarli”. Anche l’involucro è particolare: è realizzato con materiali di riciclo come sughero o lana. “Produciamo inoltre unguenti, profumi ed ecoricette preparate con un forno solare: i raggi vengono incanalati all’interno di una scatola di legno coibentata con la lana di pecora sarda. È una cucina a basse temperature, semplice e genuina”.
Partendo dalla tradizione si guarda al domani con progetti che valorizzino il territorio
L’autenticità è filosofia di vita anche al boutique hotel Tarthesh, non lontano dal centro di Guspini. Dalle stanze al giardino, ogni spazio è una sequenza di opere d’arte, oggetti antichi recuperati in Sardegna e intorno al mondo. Un’oasi che già dal nome richiama la propria terra: “Tartessos è il nome con il quale i Greci indicavano l’estremo Occidente, il cui significato era raffineria di metalli”, spiega Elisabetta Cavalli, la proprietaria. “In questo luogo cerchiamo di custodirne la memoria”.
Anche sulle tavole dei ristoranti, memorie, tradizioni e semplicità sono le parole chiave: ne è un esempio l’antica trattoria Da Lucio ,a Marceddì, malinconico borgo di pescatori dove la vita procede a ritmi lenti. Si affaccia su una grande laguna abitata da fenicotteri, aironi e cormorani. Ogni mattina il pesce arriva appena catturato e viene cucinato alla griglia, al forno o in insalata con le ricette di una volta, come l’orata alla vernaccia con patate arrosto.
Proseguendo verso nord, in poco più un’ora d’auto (una sessantina di chilometri) si raggiunge la penisola del Sinis, area marina protetta, definita dell’Unione europea destinazione turistica d’eccellenza, per la concentrazione di ecosistemi naturali intatti: qui si alternano infatti mare e laguna, dune di sabbia e spiagge con granelli di quarzo rosa che orlano stagni e saline, dove si ammirano aironi, falchi,cormorani, martin pescatori e fenicotteri rosa.
BAMBOLE, PENTOLE E ARAZZI
Le ceramiche di Pabillonis, i tessuti di Mogoro, la lavorazione del pane così diversa da paese a paese. La ricchezza artigianale della Sardegna da sola vale un viaggio. Una geografia di saperi, erede di una cultura agropastorale, che spinge alla ricerca del pezzo unico. “Le produzioni sarde col
La Sardegna custodisce una profonda ricchezza artigianale: dai tessuti alle ceramiche, al pane, lavorato in modo diverso in ogni paese DOVE
piscono per l’essenzialità delle linee, la maestria dell’esecuzione e i canoni estetici trasmessi dall’arte popolare”: Ugo Serpi ha un piccolo laboratorio a Pabillonis, dove crea bambole di ceramica stilizzate che sono un tributo alla femminilità sarda: “Sono cresciuto in una famiglia matriarcale, tra zie e cugine, e ho imparato a osservarne ogni sfumatura”.
A Pabillonis la lavorazione e la produzione dell’argilla hanno origini lontane. “Sa bidda de is pingiadas, il paese delle pentole”, precisa Mimma Mugnai, artista della ceramica, specializzata nella creazione di ricci di mare di ogni colore e dimensione. “Le pentole in terracotta prodotte qui erano famose in tutta l’isola per la resistenza alle temperature elevate”. Dalla ceramica alla tessitura, a Mogoro c’è Su Trobasciu, che custodisce un’altra storia di eccellenza. In questa cooperativa le tessitrici lavorano ancora su telai a mano gli arazzi della tradizione. Per Wilda Scanu, la direttrice, “la grande maestria delle artigiane sarde e la loro capacità di rievocare gli antichi motivi decorativi tessili, attraverso una tecnica ormai rara, è un patrimonio che non deve andare perso”. Ne sono consapevoli artisti e creativi di fama internazionale, come Carolina Melis, che ha collaborato con le tessitrici nella realizzazione di pezzi esclusivi a edizione limitata. Perfino la designer spagnola Patricia Urquiola è entrata in contatto con Su Trobasciu, commissionando teli e tappeti, convinta che il genius loci di un territorio sia conservato nell’arte. “Anche i piatti della buona cucina devono raccontare a chi li assaggia le origini di un luogo”, dice Davide Atzeni, nuovo nome della gastronomia sarda, che insieme alla moglie ha aperto a Sanluri il ristorante Coxinendi. I suoi piatti si ispirano a ricette antiche, sapori che escono dal cassetto della memoria e raccontano una tradizione legata alla convivialità. Un patrimonio inestimabile da cui partire. E ripartire.