MADAGASCAR
| UNA VOLTA NELLA VITA
L’origine del mondo. L’isola africana sembra un fermo immagine della creazione.
Un mondo sospeso in un’attesa che potrebbe durare un istante o tutta la vita: questa è la sensazione a Tuléar, cittadina di mare nel sudovest del Madagascar. Come in molti luoghi segnati da un confine, la vita scorre lenta e la popolazione è arrivata qui da tutto il mondo. Un esempio? Anita Cossettini, nata in Friuli, oggi dirige il porto di Tuléar: ha aiutato i pescatori e i lavoratori dello scalo a migliorare la propria condizione, dopo avere aperto una segheria, una torrefazione, un albergo, un orfanotrofio e una scuola per bambini poveri. O Alberto Tabellini, nomade del settore alberghiero, che dall’amore per una principessa polinesiana ha avuto una figlia, comandante di piroga. La sera si ritrovano tutti a raccontarsi storie e a bere rum malgascio nei baretti sulla spiaggia o all’Hyppocampo, l’hotel di Anita, dopo avere mangiato granchi e aragoste al ristorante Corto Maltese.
PESCATORI, CONTADINI E SURFISTI
Dal porto di Tuléar ci si avventura in barca per “l’oltre”, attraversando un’ampia baia circondata dalla foresta, fino ad Anakao. Una pista di sabbia divide due etnie e due stili di vita. Sulla spiaggia, i Vezo, i “nomadi del mare”, con le loro piroghe a bilanciere e vela latina e le reti a maglia sottile appese ad asciugare. Verso l’interno, i Tanala, “abitanti della foresta”, agricoltori e allevatori di zebù. Nel piccolo mercato le donne portano pesci e verdure, mentre i bambini
Gli uomini ad Anakao abitano nelle capanne di legno. Le uniche case in muratura, riccamente decorate, sono per i morti
giocano intorno all’unica sorgente d’acqua dolce. Tutti vivono in capanne. Gli unici ad avere case in muratura, qui, sono il sindaco (in municipio), Dio (nelle chiese) e i defunti, ossequiati per evitarne l’ira, che dispongono di solide abitazioni dipinte con pesci o attrezzi agricoli, in base al lavoro svolto in vita.
Recentemente in questa esistenza lenta ha fatto irruzione il popolo dei surfisti, giunti da tutto il mondo per cavalcare le onde che si infrangono sulla barriera corallina. Il grande reef si raggiunge su piroghe sospinte dal vento e ci si misura con cavalloni di tutto rispetto. È emozionante anche il variopinto mondo subacqueo di gorgonie, attinie e pesci tropicali, fra cui il preistorico celacanto; una volta riemersi, si esplora Nosy Ve, piccola isola corallina da trattare con riguardo perché è fady (nella cultura malgascia, qualcosa di proibito, o tabù). Qui nidifica il raro fetonte dalla coda rossa, uccello protetto dal divieto sacrale di ucciderlo. Nell’ultima baia in fondo al paese ci sono i bungalow dell’Anakao Ocean Lodge, oasi rilassante dove farsi massaggiare con oli essenziali di ylang ylang, cannella e vaniglia, cenare col pesce pescato al mattino, ammirando tramonti infuocati. Bako, fiera donna malgascia, accoglie gli ospiti
come in una reggia e coltiva grandi sogni per la figlia Jackia, nove anni, batterista di talento. Per lei e gli altri bimbi di Anakao, Valter Vauthier, proprietario del lodge, ha costruito una scuola con il pavimento di sabbia: “Abbiamo fatto venire una maestra che li ha seguiti per tutte le elementari”, racconta. “Adesso la sfida è farli proseguire con le medie qui e poi mandarli alle superiori. Gli ospiti del lodge possono dare un contributo, se vogliono, con materiali scolastici, qualche medicinale di base, oppure mettendo a disposizione un po’ di tempo, secondo le proprie competenze”.
BAOBAB MILLENARI E LE VIE DEL TREKKING
L’interno del Madagascar mostra invece le tinte forti della terra rosso sangue. Lungo la Route nationale 7, che attraversa il Paese, si incontrano genti provenienti dall’Africa nera, dall’Indonesia, dall’Arabia. Nei villaggi della savana le capanne di palma dei Sakalava si alternano alle tombe di mattoni dei Mahafaly, “creatori di tabù”, sormontate da totem di legno intagliato. La varietà della vegetazione confonde: l’euphorbia, con il suo latte tossico, cresce accanto alla jatropha, l’albero che sanguina: è della stessa famiglia delle euforbiacee, ma possiede l’antidoto al veleno della sorella (e il suo olio è un ottimo biocarburante). Più avanti, sull’orizzonte piatto e arido, improvvisi svettano altissimi baobab con il loro ciuffo sommitale, giganti stralunati dall’età: possono vivere migliaia di anni. Sembra sanguinare anche la terra color mattone dilavata dal fiume Ilakaka, che ha causato la “febbre blu”, ovvero la scoperta di giacimenti di zaffiri e il conseguente miraggio della ricchezza facile. Ne sono preda i Bara, discendenti dei Bantu africani, che i taxi-brousse, mezzo di locomozione principe del Paese, scaricano qui, decisi a scampare alla povertà rovistando nel fango. Intorno a questa atmosfera da corsa all’oro è sorta una cittadina a bordo strada, fatta delle baracche di chi si accontenta di pochi ariary (la valuta locale) vendendo un po’ di polvere di zaffiro, mentre i mercanti di preziosi - thailandesi e singalesi - sono asserragliati in dimore in muratura. D’altra parte la ricchezza in oro e pietre preziose del Paese non è mai stata sfruttata dalla sua gente: si dice che persino la nave di re Salomone si fermasse qui per impossessarsi del nobile metallo. E anche oggi gran parte dell’oro estratto è esportato illegalmente.
Questo inferno dei vivi è incredibilmente vicino al paradiso dei trekker: il Parco nazionale dell’Isalo, un massiccio antico di 200 milioni di anni, 81 mila ettari di canyon, picchi, grotte in arenaria di varie sfumature cromatiche: rossa del ferro, gialla dell’alluminio, verde del rame, bianca del silicio. Le rocce brulle puntellate di succulente aloe e piedi d’elefante (piccoli baobab) rivelano spaccature profonde in cui si insinua la foresta di pandani, di tapia endemica, resistente al fuoco, di pervinca malgascia, che, secondo i Bara, cura la leucemia. Qui vivono i lemuri: i maki bruni, i sifaka candidi, i catta, con la coda ad anelli bianconeri, graziose protoscimmie che danzano tra i rami. Ogni tanto balzano sul sentiero che si insinua nel canyon seguendo il torrente Namazà fino alla cascata delle Ninfe. Salendo lungo percorsi impervi che conducono a un altopiano assolato e a una piscina naturale di acque smeraldo, si vedono speroni di roccia dallo strano richiamo dolomitico e tombe aeree che sono fady, anche per
I turisti possono dare aiuti materiali (articoli scolastici, medicine), ma soprattutto offrire tempo e competenze
preservarle dai ladri di ossa. Appartengono ai Bara, guerrieri nomadi e allevatori di zebù trasformatisi in abili guide. Come Dollaro, dal nome portafortuna: “Il Colorado malgascio è la nostra casa”, racconta. “Siamo animisti e per noi dare pace ai defunti è essenziale. Dopo alcuni anni dalla morte disseppelliamo le ossa, le puliamo, le ungiamo di grasso di zebù e facciamo una grande festa, il famadihana, invitando centinaia di amici e parenti: è un obbligo sociale costoso. Poi le seppelliamo nuovamente sulla montagna, in fenditure della parete chiuse da sassi: più in alto è il morto, più è vicino a Dio, a cui trasmette i desideri dei vivi, maggiore il coraggio che ci vuole a issarlo, più forte il rispetto che gli uomini dimostrano ai defunti, propiziandoseli”. Il Parco nazionale dell’Isalo è il capolavoro di Andra Manitra, il principe profumato, divinità creatrice nell’animismo. Il momento migliore per ammirarlo è il tramonto e un posto in prima fila è garantito all’Isalo Rock Lodge, resort del torinese Giorgio Giachetti. Dalle camere, con vista sulle guglie aguzze, si accede al sentiero che scende a una piscina naturale fra il verde, per un bagno rigenerante.
LA CARTA DEL CORANO E I VITIGNI FRANCESI
La natura forgia gli uomini e da essi è forgiata. Se le savane aride si adattano ai coriacei Bara, che per mostrarsi degni della promessa sposa rubano uno zebù, sull’altopiano centrale i morbidi declivi sono disegnati dai terrazzamenti dei campi di riso, in cui i bimbi pescano pesciolini che vendono a bordo strada. Sembra di avere le traveggole, però, quando si scopre il primo vigneto: i Betsileo producono vino dai vitigni di Petit Bouchet, Villardin, Couderc Blanc, e non a caso, perché il Madagascar era una colonia francese. La loro piccola città, Ambalavao, ha case di mattoni decorate con intagli di legno e i viali alberati. Qui le donne Antemoro, discendenti dagli arabi sbarcati nel VII secolo, si dedicano alla preparazione di carta finissima, un tempo usata per scrivere le sure del Corano, nella quale inseriscono a mano petali di fiori. Così non c’è quaderno o album di foto che sia uguale a un altro.
Molto più dura la vita dei Tanala, che si raggiungono attraverso la foresta primaria dopo 65 chilometri di pista sterrata. Il loro borgo, Ranomafana, racchiuso da montagne tondeggianti, ha il fascino dei luoghi remoti e la serenità di una vita semplice. Sedendo con birra e gamberi di fiume grigliati in uno degli hotely, i ristorantini affacciati sulla piazza del mercato, si assiste all’evento del giorno: l’arrivo del taxi-brousse con un carico di bagagli, che in questo caso comprende anche un maiale vivo (e recalcitrante) legato sul tetto. Le donne, a sera, vendono le spezie raccolte nella foresta, come il pepe selvatico. Un pon
Nella foresta pluviale vivono, oltre ai lemuri, centinaia di specie di orchidee e felci arboree che hanno cinque milioni di anni
ticello conduce a un impianto termale in un bosco di palme, ibiscus, fucsie, frequentato per la sorgente calda che cura gotta, asma e reumatismi.
Il richiamo di questo mondo antico è la foresta pluviale, ecosistema di oltre 40 mila ettari, con lemuri in estinzione, centinaia di specie di orchidee, felci arboree antiche cinque milioni di anni. Scalare le colline di questo labirinto vegetale fra nuvole di umidità è come tornare ai primordi del mondo. Senza una guida sarebbe impensabile addentrarsi: nella foresta primaria si perde l’orientamento, in un concerto di scrosci di cascate, stridi di lemuri e fruscii che annunciano la presenza del fossa, un felino simile al puma. Inaspettate, emergono dall’intrico arboreo incisioni su stele di pietra coperte di muschio. Spiega Lahatra, donna Tanala che conosce bene queste colline: “Chi desidera qualcosa porta offerte alle anime dei defunti. Devono essere naturali: si usano foglie come piatti per il riso, si fanno fuochi senza accendino, si versa il rum sulla terra”. Tutto plastic free: Andra Manitra, il creatore che protegge la foresta, ha sempre saputo come difendere questa terra.