Buono e giusto.
I sapori della salute, i menu della felicità, le scelte al mercato che aiutano l’ambiente. Ecco perché l’alimentazione di qualità è molto più di una moda
Perché l’alimentazione di qualità è molto più di una moda
La felicità si può mangiare. Si scova, nella stagione giusta, dal fruttivendolo di fiducia. E si può affettare, mantecare, marinare, emulsionare con qualche spezia e sale quanto basta. In fondo c’è questo dietro le sbandata che i millennial si sono presi per il cibo e la cucina. Di qualità, però. Oltre metà di loro, secondo uno studio della società di ricerche YouGov del 2019, commissionato dai supermercati americani Whole Foods, dichiara di comprare molti più alimenti che rispettino ambiente e salute, rispetto a cinque anni fa; per otto su dieci la qualità viene prima delle mode, del marchio, del prezzo. Sempre nel 2019 una ricerca dell’Osservatorio italiano cibi, produzioni, territorio, su dati Istat ed Eurispes, vedeva la crescita di prodotti come lo zucchero di canna o il latte di soia, ed evidenziava la tendenza a informarsi prima di comprare, a sperimentare - l’etnico, la cucina stellata - ma anche a recuperare i sapori locali della nostalgia. Si parla di flexitarian, la generazione elastica che alterna il vegano rigoroso al vegetariano e alle proteine animali. Cercando la sintesi tra salute, ecologia e gusto.
“Negli anni Ottanta il cibo è stato edonismo, lusso”, riassume il cuoco-blogger Marco Bianchi (lui si definisce food mentor). “Poi ci sono state le diete, l’esterofilia, l’ossessione per i superchef”. L’ultima tendenza è l’idea che il cibo sia la strada veloce al benessere e alla lunga vita, un magico detox da ciò che non ci piace del nostro
stile di vita e di noi. L’epoca dei superfood, i cibi-miracolo. Secondo un sondaggio Nielsen del 2019, l’Italia è prima tra i grandi Paesi europei per consumo di bacche di goji, che, per il 68 per cento degli italiani, “sostengono il sistema immunitario e regolano la glicemia”. Segue la curcuma, “benefica” per il 62 per cento. Renato Bruni, docente di biologia farmaceutica presso il dipartimento di scienze degli alimenti e del farmaco dell’Università di Parma, ha pubblicato un libro, Bacche superfrutti e piante miracolose, per spiegare che, sì, la salute passa anche dal cibo, ma non ci sono pozioni magiche. Che bisogna guardarsi da operazioni di marketing, e che abbonarsi all’avocado e all’alga spirulina, a spese dell’ortaggio di stagione, è addirittura pericoloso.
Il cibo non è una medicina. Ma si fa strada l’idea che possa essere qualcosa di più profondo e importante ancora. Marco Bianchi, che ammette di essere cresciuto a junk food, che ha avuto un’illuminazione parlando con gli esperti della Fondazione Umberto Veronesi, che si dedica a inventare ricette salutari e colorate per i follower, lo spiega con la scienza. “Un cibo da solo non cambia la vita, ma un’insieme di scelte alimentari, e le pratiche e le abitudini legate a esse, sì. Da chimico so che alcuni ingredienti - nell’ambito di una dieta equilibrata - agiscono sul sistema ormonale, i neurotrasmettitori e quindi su umore, sonno e socialità. Da cuoco so che un menu preparato con inventiva, per il benessere di chi ami, e sempre nuovo in base alla stagione, ai gusti, ai ricordi, arriva diritto alle emozioni.”
Per Sara Olivieri, dietista, che con l’account Instagram Iniziolunedì motiva chi cerca di cambiare stile alimentare, va considerato anche il risvolto psicologico.
“Mangiare e cucinare in modo nuovo è difficile. Specie in un Paese con cibi così vari e buoni, con abitudini che ci hanno inculcato da bambini. Internet, poi, complica la vita con troppe opzioni e la tentazione di scorciatoie. Così, all’inizio di una dieta calcolo che il 98 per cento delle persone trasgrediscano almeno una volta a settimana. Ma proprio per questo ti accorgi che non stai solo facendo una dieta. È un lavoro sui tuoi bisogni e le tue potenzialità. Gestire un frigo, un menu, insegna anche ad aggiornarsi selezionando le fonti, a spendere meglio, a non sprecare, a cavarsela anche fuori casa in ogni situazione”.
Ecco cosa fanno i millennial quando chiedono l’origine dei cibi, comprano libri di ricette, tentano la dieta. Si vogliono bene. Migliorano, con un mestolo in mano, sé stessi. E il mondo. “Dietro la nuova consapevolezza a tavola c’è pure questa idea, ormai entrata nella cultura di massa e nelle scelte dei grandi brand”, conferma Eleonora Lano, dietista, coordinatrice del gruppo cibo e salute di Slow Food. “Il cibo di qualità è anche quello che tutela i terreni perché rinuncia alla chimica, che seguendo le stagioni rispetta i tempi della natura, che tutela gli animali e le comunità produttrici. Ingredienti supersalutari? Va bene. Ma perché devono essere esotici, arrivare in aereo, a prezzo maggiorato, quando a chilometro zero si trovano tante fonti di proteine e nutrienti di qualità?” Per essere super un cibo, dev’essere anche giusto. Solo così può davvero far stare, in ogni senso, bene.
Un alimento da solo non cambia la vita, ma un insieme di scelte consapevoli, con pratiche e abitudini legate ad esse, sì