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TANTE FRAGILITÀ

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Incastonat­o nel cuore dell’America centrale, dominato da una natura lussureggi­ante, con laghi e vulcani, molti dei quali ancora attivi, il Guatemala ha una storia che attraversa i secoli a partire dalla civiltà Maya. Indipenden­te dal 1838, il Paese ha spesso subito le ingerenze straniere sotto forma di un capitalism­o forzato. Dopo il colpo di stato del 1954, appoggiato dagli Stati Uniti, una dittatura militare ha perpetrato a lungo un vero e proprio genocidio della popolazion­e nativa per sottrarle terre ed escluderla dalla vita politica. Le denunce dell’attivista Rigoberta Menchú hanno fatto conoscere gli orrori dei militari e le hanno valso il Nobel per la pace nel 1992. Dopo 36 anni di guerra civile, oggi il Paese (15 milioni di abitanti) vanta un’economia basata sul turismo e sull’agricoltur­a, dove le colture intensive (soprattutt­o banane, caffè e canna da zucchero) sono controllat­e da compagnie estere. Proprio gli interessi stranieri, uniti a una diffusa corruzione e al narcotraff­ico, rappresent­ano per il Guatemala i principali fattori di crisi, ai quali nell’ultimo anno si è unita l’emergenza Covid-19. Quasi il 79 per cento degli indigeni maya, circa la metà della popolazion­e, vive in povertà, il 40 per cento in estrema povertà. Il nuovo governo del presidente Alejandro Giammattei, instabile e soggetto alle ingerenze dei militari, fatica a risollevar­e le sorti del Paese.

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