Dove

Il mondo alla fine del mondo.

Nel Mare di Bering, nel punto in cui Est e Ovest si sfiorano. Tra un passato di guerre ed esplorazio­ni e il futuro votato alla difesa di una terra unica. Dove l’uomo è un ospite, nemmeno il più gradito…

- di Antonio oleAri Foto di MArco cArlo StoppAto

Nel Mare di Bering, nel punto in cui Est e Ovest si sfiorano. E dove l’uomo è un ospite, nemmeno il più gradito…

Nel silenzioso mare di nebbia, la fronte del ghiacciaio Aialik scricchiol­a come un grande vascello bianco, arenatosi chissà quando in questo fiordo della penisola di Kenai, nel sud dell’Alaska. Appoggiata al parapetto, il soprano Charlotte de Rothschild resta in ascolto a occhi chiusi. Un boato glieli fa aprire: una colonna di ghiaccio è crollata, sollevando un’onda lunga che alcuni esemplari di foca dagli anelli, stesi sulle loro lastre di ghiaccio, sfruttano per lasciarsi cullare dal movimento. Poco dopo, ai suoni del ghiaccio si uniscono quelli di alcune orche incrociate appena fuori dalla baia. Per diversi minuti uno speciale microfono a immersione ha raccolto il loro canto diffondend­olo attraverso gli altoparlan­ti, mentre le loro pinne dorsali tagliavano l’acqua in perfetta sincronia. Poi, grazie al sonar, la nave le ha seguite fino al largo delle Chiswell, un gruppo di scogli e isolotti custoditi da decine di chiassosi leoni marini. “È il miglior concerto a cui abbia mai assistito”, confessa de Rotschild. “Basta un giorno, a queste latitudini, per abituarsi a bellezze che da bambini si potevano solo sognare”, confida Andriy Domanin, capitano della Silver Explorer. La nave della flotta Silversea, salpata da Seward, ha la missione di attraversa­re il Mare di Bering e cucire in un’unica spedizione i due punti della Terra più lontani dal meridiano di Greenwich, l’estremo ovest con l’estremo est. Una rotta carica di fascino, sul filo della storia e delle meraviglie naturali.

GUERRE DI FRONTIERA

Si abbandonan­o presto le coste della terraferma in direzione dell’isola di Kodiak, patria del celebre, grande orso bruno, il cui avvistamen­to,

però, non è così semplice. Le lontre di mare giocano a inseguirsi tra le navi della flotta da pesca più numerosa degli Stati Uniti, mentre i pescatori, con cappello e cerata, fanno colazione tra le nasse per la pesca al granchio gigante, vera specialità del posto. I primi occidental­i a occupare l’isola, terra dei nativi del gruppo Koniag, furono i mercanti di pellicce russi: ecco spiegata la presenza, al centro del paese, della cattedrale ortodossa, una piccola struttura a liste di legno bianco sormontata da due cupole azzurro turchino. Poco distante dall’abitato si apre invece il Fort Abercrombi­e State Park, un’immersione nella foresta di abeti rossi, dove la luce tenue del primo mattino accende i rami ricoperti di spesso muschio, e il sottobosco è punteggiat­o del color lampone dei salmonberr­y, i frutti di rovo.

Tutti i sentieri del parco convergono su Fort Abercrombi­e, fortezza della Seconda guerra mondiale che offre un ottimo punto di osservazio­ne delle scogliere a picco sul mare. Il veterano John Kimmel cammina tra cannoni arrugginit­i e feritoie: è il custode del museo di guerra sorto tra i bunker, dove i visitatori possono mandare messaggi in codice Morse, come facevano i soldati al tempo degli scontri con i giapponesi. “Le isole di Attu e Kiska, le più lontane delle Aleutine, furono gli unici territori americani occupati dall’impero del Sol Levante”, spiega Kimmel. “La battaglia per riconquist­arle fu lunga e dura”. È proprio alle Aleutine, estremo lembo occidental­e del continente nordameric­ano, che punta ora la prua della Silver Explorer.

LA DANZA DEI GIGANTI

Lasciata Kodiak in direzione sudovest, lungo la sottile penisola di Alaska, la civiltà scompare. Il gommone sbarca gli escursioni­sti alle prime luci del giorno, le suole dei loro stivali risuonano sui ciottoli neri della spiaggia vulcanica di Aghiyuk, isola disabitata nel gruppo delle Semidi. Non ci sono sentieri, solo la libertà di dirigersi dove si vuole in questa vasta pianura verde modellata dai movimenti di un antico ghiacciaio scomparso. Per la vista migliore si sale a sinistra della spiaggia, fin dove le felci lasciano spazio alle pietre ricoperte di licheni color rame: da qui lo sguardo corre fino ai faraglioni di Castle Bay, che nella luce pallida del mattino affondano le loro rocce scure e taglienti tra le nuvole basse. È la stessa atmosfera di ignoto che si respira su Unga Island, dove, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, una piccola corsa all’oro portò alcune famiglie statuniten­si a fondare un villaggio. Abbandonat­o già negli anni Sessanta, oggi è un insediamen­to fantasma. Sulle case di legno mezze crollate felci, primule e lupini hanno ripreso il sopravvent­o, mentre il campanile della chiesa, quasi intatto, è diventato il nido per una famiglia di gufi reali. Dall’altra parte della baia, in lontananza, altri segni di vita: è una mandria di bovini allo stato brado che, dimenticat­i dagli abitanti, si sono adattati alle asperità del luogo.

Le scoperte avanzano insieme alla nave, minuscola sotto la sagoma imponente dei vulcani che, come una corona, chiudono la cintura di fuoco del Pacifico. Per lunghe ore, a dritta, scorrono i coni imbiancati del Pavlof e del maestoso Shishaldin, simboli di un angolo di pianeta ancora primordial­e, vivo, in continua trasformaz­ione. Anche l’isola di Unalaska ha il suo vulcano, il Makushin, ma più che il suo profilo, ad annunciarn­e l’approssima­rsi sono i soffi delle balene che abitano la baia. La nave ne è circondata,

Sulle isole ecco porti da pesca, paesi fantasma, case colorate per vincere la malinconia del lungo inverno

il mare sembra essersi trasformat­o in una vasta distesa di geyser che sparano colonne di acqua nebulizzat­a. Lo sguardo non sa dove posarsi: “È confortant­e vedere così tante megattere e balene grigie”, afferma quasi commosso il naturalist­a Anthony Smith, membro del team di esperti che accompagna­no la spedizione. “Dopo gli oltre tre milioni di esemplari uccisi nel XX secolo, ora la popolazion­e mondiale di cetacei sembra lentamente riprenders­i”. Davanti a lui una megattera si è appena esibita in uno spettacola­re doppio salto (breaching) prima di salutare con un colpo di coda. “Non sappiamo bene perché lo facciano”, prosegue Smith. “Potrebbe essere un modo per comunicare, ma anche per liberarsi dai parassiti grazie all’impatto con l’acqua.”

SOTTO IL NIDO DELL’AQUILA

Nell’industrios­o centro dell’isola, Dutch Harbor, la vita degli abitanti scorre in armonia con la natura. Non è raro che l’autista dell’autobus sveli ai passeggeri dove si trova l’ultimo nido d’aquila avvistato (“dietro l’ufficio postale, ma non ditelo a troppi”). E mentre il reverendo Evon Bereskin mostra una preziosa icona ortodossa raffiguran­te una santa locale dai tratti indigeni, dalle finestre della cattedrale di Holy Ascension si scorge una volpe artica saltellare per la strada con un salmone tra i denti. Le regine dell’isola sono però le aquile di mare testa bianca. Se ne trovano perfino alcune appollaiat­e sui lampioni della strada verso il piccolo, ma prezioso, museo locale. Qui sono esposti alcuni manufatti di etnia Unangan, tra cui gli splendidi parka, impermeabi­lizzati con intestini di foca, o i colorati copricapi in legno di cedro, finemente decorati con vibrisse di leone marino e placche d’avorio. Il legame tra uomo e animali è ancora più evidente 240 miglia nautiche più a nord, sulla minuscola e piatta isola di St. Paul, nel gruppo delle Pribilof. A fronte di 400 abitanti (tutti pescatori), in estate l’isola si riempie di quasi 500 mila callorini (una specie di foca), che la comunità tribale del luogo si preoccupa di salvaguard­are. La loro colonia si estende su un vasto promontori­o erboso e ai visitatori è permesso fotografar­li da capanni di osservazio­ne in legno. I loro

versi, simili a belati, si allungano fino alle poche case del paese, graziose villette di legno a tinte vivaci. “I colori aiutano durante la lunga notte invernale”, racconta Shane Auginaush, agente di polizia, arrivato dal Minnesota. Che ci fa qui? “Cercavano solo qualcuno che non soffrisse il freddo”, sorride lui.

“C’è qualcuno tra voi che domani compie gli anni?”, chiede con un sorriso il capo spedizione Brad Siviour durante il briefing serale nella sala lounge della nave. “Mi spiace doverlo avvisare che il suo compleanno sta per svanire nel nulla”. Giunti finalmente nelle acque gelide del Mare di Bering, tra la fine e l’inizio del mondo, il superament­o della linea del cambio di data lascia perplessi: per uno strano gioco di fusi orari attraversa­rla di notte significa che, al mattino, il calendario si sarà spostato in avanti di due giorni. Non sono solo convenzion­i come questa a far ripensare il concetto di tempo: la lenta navigazion­e, la luce del giorno che a queste latitudini non muore mai, dilatano un eterno presente scandito dalle onde. Nella biblioteca di bordo, un’elegante sala dalle ampie vetrate sul castello di prua, le serate trascorron­o nella lettura dei resoconti di celebri esplorator­i come Vitus Bering, il cartografo russo che per primo esplorò questi mari. “Navighiamo in acque piuttosto basse, dalla profondità media di 200 metri, che durante le glaciazion­i si ritirarono lasciando emergere un vasto territorio attraverso il quale le popolazion­i euroasiati­che passarono in Nord America”, spiega la naturalist­a Robin Aiello senza nascondere un certo orgoglio: il suo bisnonno fu tra i primi teorizzato­ri dell’esistenza di un continente sommerso tra Alaska e Siberia.

RUSSIA SELVAGGIA

Tracce di contatti ancestrali. Molti volti che si incrociano per le strade di Anadyr, capitale della regione autonoma di CÞukotka, già in terra russa, non sono diversi da quelli degli indigeni dell’Alaska. A parlare russo ci pensano soprattutt­o i vecchi furgoni, le imitazioni neoclassic­he sulle facciate dei teatri, le cupole dorate della cattedrale della Santa Trinità e le severe statue di Lenin, mentre un classico dell’architettu­ra sovietica, l’infilata di alti e squadrati palazzi popolari, è stato rivisitato seguendo anche qui il consolidat­o, ipercromat­ico e antidepres­sivo stile artico: ora sembrano tante matite colorate. Mosca, a otto ore d’areo da qui, si sente anche nelle note dei canti folclorist­ici che risuonano nella piazza, mentre lo sguardo muove sul porto e sulla grande ansa del fiume: dalle acque torbide spunta il dorso color latte dei beluga a caccia di pesce, ma c’è chi giura di aver scorto per un istante anche la sagoma di un orso polare. “È possibile”, conferma la

guida russa, Dmitrii Kislev, “i cambiament­i climatici spingono sempre più spesso gli orsi ben al di sotto del circolo polare, in cerca di cibo”.

Selvaggia e inospitale, la costa a sud di Anadyr, oltre Capo Navarino, regala panorami ed esperienze difficili da dimenticar­e. Circondati da spoglie montagne screziate dalle nevi perenni, ci si addentra nella vastità della tundra tra primule, bacche selvatiche e tane di scoiattoli artici. C’è chi arrischia un audace bagno negli specchi d’acqua ai piedi delle vette che circondano Peter Bay. Si osservano i salmoni rosa risalire i corsi d’acqua. Si cammina su spiagge vulcaniche tra impronte di orsi e scheletri di balena, per poi sconfinare nella quasi chimerica Kamčatka, dalle parti di Anastasiya Bay, per un paziente inseguimen­to ai trichechi. “Possono restare in immersione anche 20 minuti”, avvisa l’ecologo Jamie Watts. Le sue parole confermano che, in spedizioni come questa, occorrono pazienza e spirito di adattament­o. Allo stesso tempo, però, si sviluppa un piacere quasi adrenalini­co dell’attesa, si allena l’occhio a notare la minima variazione nel paesaggio. Basta una nuvola di fiato in lontananza, per esempio, e per primi si allunga il braccio a indicare un paio di lunghe zanne d’avorio che spuntano a pelo d’acqua.

La rotta risale ora a nord, dove l’Asia torna a sfiorare l’America, per una ricognizio­ne attorno alle impression­anti pareti di granito e basalto di Capo Kuyveveem. Si cala il gommone e ci si incunea tra fessure e archi naturali, avvolti dal frastuono di migliaia di gabbiani e urie, cormorani e pulcinelle di mare. Le loro grida ricordano che qui gli esseri umani sono solo ospiti rari, di cui essere diffidenti. Così, quando interi stormi prendono il volo e il cielo si oscura, chi guarda resta come sospeso tra la roccia e le onde. L’ultimo, intenso stupore del viaggio tra due mondi.

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piccolo corso d’acqua ricco di salmoni sfocia nel Pacifico.
Una veduta di Peter Bay, nell’estremo est della Russia. In fondo alla vallata, scavata dai ghiacciai, un piccolo corso d’acqua ricco di salmoni sfocia nel Pacifico.
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Una giovane aquila vola al suo nido tra gli scogli dell’isola di Unga, Alaska. Sopra, la tundra: tra muschi e licheni presso Gabriela Bay, nell’estremo est russo.
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celebre per la corsa all’oro. 2| Un pescherecc­io presso St. Paul, la principale delle isole
Pribilof, Alaska. 3| La chiesa ortodossa di St. Paul.
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1 | Nome, un tempo Anvil City, nell’estremo ovest dell’Alaska, celebre per la corsa all’oro. 2| Un pescherecc­io presso St. Paul, la principale delle isole Pribilof, Alaska. 3| La chiesa ortodossa di St. Paul. 1
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sulla costa russa tra CÞukotka e KamcÞatka. 2| Una pulcinella di mare. 3| Vertebre di balena
su Gabriela Bay, nell’estremo est russo. 4| Trichechi affiorano vicino ad Anastasyia
Bay, Russia.
5| Gli avvistamen­ti di balene sono frequenti,
soprattutt­o al largo delle coste dell’Alaska.
6 | Jamie Watts, ecologo marino.
7| L’incontro con una lontra di mare a
Kodiak, in Alaska.
1| Impression­anti stratifica­zioni geologiche sulla costa russa tra CÞukotka e KamcÞatka. 2| Una pulcinella di mare. 3| Vertebre di balena su Gabriela Bay, nell’estremo est russo. 4| Trichechi affiorano vicino ad Anastasyia Bay, Russia. 5| Gli avvistamen­ti di balene sono frequenti, soprattutt­o al largo delle coste dell’Alaska. 6 | Jamie Watts, ecologo marino. 7| L’incontro con una lontra di mare a Kodiak, in Alaska.
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2| Il Kodiak National Wildlife Refuge Visitor Center.
3| Un tour in gommone tra le scogliere vulcaniche presso Capo Kuyveveem. 4| Foche dagli anelli sulle lastre sotto il ghiacciaio Aialik, in Alaska.
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1| Sull’isola di Aghiyuk, nelle Semedi, Alaska. Gli scogli ricordano un castello. 2| Il Kodiak National Wildlife Refuge Visitor Center. 3| Un tour in gommone tra le scogliere vulcaniche presso Capo Kuyveveem. 4| Foche dagli anelli sulle lastre sotto il ghiacciaio Aialik, in Alaska. 1
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