Dove

Nel cuore dell’Asia.

- di Fulvio Bertamini foto di Giovannita­Gini

Grandi bellezze naturali e apporti culturali multipli, influenzat­i dal passaggio millenario lungo la Via della Seta

Fatima è filologa, ma gestisce una guest house a Karakol, sulle rive del lago Issyk Köl, attività ben più remunerati­va dell’insegnamen­to all’università. Non ha una licenza per lavorare, “ma il governo chiude un occhio perché il Paese è ancora povero e la gente si arrangia come può per sbarcare il lunario”. Ha le fattezze degli Han: viso piatto, occhi a mandorla, incarnato chiaro. La si direbbe cinese e in effetti la sua famiglia proviene da lì: appartiene all’etnia dungana. Come rivela il nome, però, è di religione islamica. E parla il russo. A suo modo, forse suo malgrado, è l’emblema vivente di una terra, il Kirghizist­an, che, per la sua posizione al centro dell’Asia, è stata da sempre una via di passaggio di vari conquistat­ori.

Sciti e tatari, macedoni e siberiani, arabi e tibetani. E poi mongoli e manciù, uzbeki e kazaki, uiguri e russi: una plaga aperta a nomadi ed eserciti, profughi e coloni, avventurie­ri e commercian­ti in cerca di fortuna lungo i percorsi della Via della Seta. Un’area inquieta, dove lingue e religioni si mescolano, le tensioni restano sotto traccia e di tanto in tanto esplodono, come nei recenti moti di Bishkek, scatenati da elezioni presidenzi­ali in odore di brogli. Ma anche una terra antichissi­ma, affascinan­te per la pluralità di apporti culturali e di grande bellezza paesistica. Le suggestion­i dell’Asia profonda, qui, restano ancora intatte.

Grandi bellezze naturali e apporti culturali multipli, influenzat­i dal passaggio millenario lungo la Via della Seta. Reportage da un Paese con un fascino senza tempo

BISHKEK: MEMORIE SOVIETICHE E INFLUSSI CINESI

Ogni viaggio on the road in Kirghizist­an comincia (e spesso finisce) a Bishkek, che bene incarna i caratteri delle capitali centroasia­tiche. L’impianto urbano è di stampo sovietico: viali ampi, parchi diffusi e una monumental­ità spiccata negli edifici, nelle piazze, nei memoriali. Però i mercati carichi di spezie e frutta secca evocano il mondo turco, mentre i volti dei passanti e i nuovi edifici sorti negli ultimi vent’anni indicano che la Cina è molto vicina, la sua penetrazio­ne commercial­e evidente. Eppure la gigantesca statua equestre del khan Manas che domina piazza Ala Too, cuore della città, calpesta proprio un dragone, emblema cinese. L’ennesima capriola della Storia. Manas è l’eroe protagonis­ta della cosiddetta Iliade delle steppe, ciclo epico antico mille anni che la tradizione vuole tramandato oralmente nelle melopee dei bardi manaschi. Poesia e canto accompagna­ti dalle note del komuz, il liuto a tre corde che è un altro simbolo nazionale. In passato intratteni­mento colto del popolo delle yurte (le tende kirghise), nella lunga e gelida notte invernale, oggi può essere l’accompagna­mento folk di una cena al ristorante. Passaggi di tempo.

Nella capitale, comunque, camminare è piacevole. Nel giro di pochi isolati si concentran­o le attrattive principali, che soprattutt­o nella statuaria mettono a confronto tradizioni popolari e retaggio sovietico. A nord di piazza Ala Too ecco Victory Square con le arcate giganti del memoriale dedicato alla vittoria nella Seconda guerra mondiale, la fiamma eterna, il cambio della guardia; a Oak Park troneggian­o il monumento di Kurmanjan Datka, prima donna a guidare un khanato (quello di Alaj) nel XIX secolo; Panfilov Park sa di vecchia Urss, con la ruota dei divertimen­ti stile vacanze estive in Crimea. È da visitare poi la nuova moschea centrale, luccicante di marmi e stucchi. Per confrontar­e invece antiche e più recenti modalità di scambio, ecco l’Osh Bazar, più a ovest, e lo shopping mall Gum: da un lato spezie, pile di frutta fresca e secca, grandi ruote di pane, autentica gioia dei cinque sensi; dall’altro la modernità commercial­e. A ciascuno il suo.

Il fascino del Kirghizist­an, però, esplode fuori città, “né potrebbe essere diversamen­te in un Paese che è coperto da monti per il 93 per cento del suo territorio”, commenta Aleksandr Kalmykov, manager dell’agenzia di viaggio Ak-Sai di Bishkek (ak-sai.com). Una meta imperdibil­e a 40 chilometri dalla

capitale è il parco nazionale di Ala Archa, che prende il nome dal fiume spumeggian­te che lo attraversa. Palestra di alpinismo e rifugio di trekker incalliti, è fitto di conifere e circondato dalle vette innevate degli Ala Too, che sono parte della catena del Tien Shan “e in kirgiso significan­o montagne colorate”, prosegue Kalmykov, “perché le rocce cambiano aspetto durante l’anno, passando dal bianco invernale al verde brillante estivo”. Come un pezzo di Trentino traslato in Asia Centrale. La cucina locale risente di accenti diversi. Qui si può assaggiare il lagman, spezzatino tradiziona­le degli uiguri, ma diffuso un po’ ovunque in questa terra di mezzo, composto di carne, verdure e spaghetti tirati a mano. Solo un antipasto di quello che verrà.

A TU PER TU CON LA MONTAGNA

Il piatto forte, infatti, viene servito il giorno dopo. La partenza è all’alba per percorrere i 360 chilometri che dividono Bishkek dal lago Song Köl. Richiedono un’intera giornata lungo strade a tratti dissestate, prima a est e poi a sud, fra piane e saliscendi: tappa intermedia a Kochkor, per un pranzo in una guest house a base di plov, la celebre pietanza russo-uzbeka con riso, carne di montone, carote e spezie. La città è il capoluogo nazionale della lavorazion­e del feltro, con cui sono foderate le yurte: sarà interessan­te ritornarci. Ma la strada chiama e comincia a inerpicars­i sulle montagne. I pendii si fanno via via più brulli, ricoperti da una vegetazion­e bassa che fornisce il pascolo a mucche e yak. Salendo ancora compare la steppa. Poi, la visione: “A un tratto, proprio sotto di noi, nella luce attenutata, è apparso il triangolo azzurro del Son Köl. Sui suoi pascoli ancora verdi branchi di cavalli, pecore e bestiame pascolavan­o mescolati gli uni agli altri, e il fumo si librava come incenso sopra le yurte”, scrive estasiato Colin Thubron in Ombre sulla via della seta. Il paesaggio è davvero idilliaco. La distesa di erba secca è punteggiat­a da piccole stelle alpine. L’accampamen­to tendato dove passare la notte è nei pressi dello specchio d’acqua, di un celeste inteso. “I nostri laghi sono le perle dell’Asia Centrale”, sostiene orgoglioso Aleksandr Kalmykov. Sotto il sole calante uno scalpiccio di zoccoli rompe il silenzio, annunciand­o il passaggio di un pastore a cavallo, regale con il suo kalpak, il copricapo conico tradiziona­le di feltro bianco. Tutta l’area, del resto, offre un ricco pascolo estivo agli allevatori. Scende il tramonto, poi la notte cala improvvisa. Sotto la stellata spazzata dal vento il freddo ora morde. Dalle yurte serrate filtra solo la luce flebile delle lampade a gas e il sottile filo di fumo delle stufe accese. È l’ora di concedersi una cena robusta e un sonno ristorator­e.

Il giorno dopo, due opzioni. Si può riposare un po’ in riva al lago, concedendo­si un giro a cavallo, una passeggiat­a o, se si ha stomaco, assistendo a un match di kokpar, in cui i cavalieri si contendono la carcassa di una capra come nel più celebre buzkashi afgano. Oppure si può riprendere la strada e percorrere altri 280 chilometri. Ci si arrampica lungo la A365 che porta fino al Torugart Pass e al confine cinese, ma ci si stacca molto prima per raggiunger­e

Vette, torrenti impetuosi, conifere: il parco nazionale di Ala Archa è un angolo di Trentino traslato in Asia Centrale

Il lago Song Köl è una delle perle d’Asia: acque limpide, le cime del Tien Shan sullo sfondo e tanto silenzio

l’antico caravanser­raglio di Tash Rabat, a 3.200 metri d’altitudine. Ne vale la pena: sia per il suo fascino monumental­e, sia per togliersi lo sfizio di aver percorso un tratto fra i più battuti della Via della Seta. Lì si può anche camminare fin quasi al confine cinese, o acquistare un souvenir in un piccolo, poetico accampamen­to di yurte e carovane di nomadi che i tempi hanno reso stanziali. Dall’altra parte c’è la regione più orientale del vecchio Turkestan, lo Xinjiang uiguro sofferente per la stretta di Pechino, con le millenarie città carovanier­e di Kashgar, Urumqi, Turpan e il deserto del Taklamakan, che significa: ci entri e non ne esci più. Si passa la notte in un altro campo tendato, nella gola di Kara Koyun: anche qui cavalli e yak al pascolo, il silenzio sferzato dal vento, lo scenario grandioso del Tien Shan. Poi, la mattina dopo, una breve escursione permette di vedere librarsi in volo, maestosi, i grifoni. Tutto il Kirghizist­an, del resto, è terra di rapaci e molte famiglie ancora oggi catturano e crescono la propria aquila o il proprio falcone, spesso impiegati nella caccia. “Sono centinaia i riti e le tradizioni giunti a noi dal Medioevo”, sottolinea Kalmykov, “che ancora sopravvivo­no nel nostro Paese, arricchend­one il patrimonio culturale”.

Si torna indietro, però scollinand­o al Dolon Pass, tremila metri d’altitudine, e planando su Naryn: un buon posto dove sgranchire le gambe, magari

Qui sono passati nomadi e conquistat­ori, profughi e coloni, avventurie­ri e commercian­ti. Un miscuglio di lingue, razze, religioni

visitando la moschea Blu e il piccolo museo etnografic­o, e mangiare qualcosa. Quando si raggiunge nuovamente Kochkor, sono trascorsi altri 230 chilometri. Il grande paese permette di scoprire i segreti della lavorazion­e del feltro: le dimostrazi­oni per i turisti si sprecano nei bazar di tappeti. Le pezze di lana vengono bagnate, arrotolate, percosse con bastoni e pigiate a piedi nudi più volte prima di ottenere la consistenz­a voluta: così la lana infeltrisc­e rapidament­e e si producono i colorati shyrdak.

CANYON, CATTEDRALI E MOSCHEE

E ora rotta a est, verso il mare interno del Kirghizist­an: l’Issyk Köl, ovvero il lago caldo. Pare infatti che non ghiacci mai, in parte per la presenza di correnti termali profonde, in parte perché ricco di immissari, ma privo di emissari, dunque con acque moderatame­nte saline. Il suo periplo è consigliat­issimo. Le rive in estate ospitano un turismo dal sapore rétro che sembra uscito da un film di Nikita Mikhalkov: bancarelle che propongono filze di pesce secco e affumicato, palloni, salvagenti colorati, costumi improbabil­i e accappatoi a fiorami. Intere famiglie sotto gli ombrelloni, adagiate su una sabbia grigia, non molto invitante. I suoi gioielli, però, sono lì intorno. A sud lo

Skazka Canyon e la gola di Žeti-Öguz (“dei sette tori”), dominati da pinnacoli rocciosi dalla forme fantasiose, di un’arenaria incredibil­mente rossa. E poi a sudest c’è Karakol, l’affascinan­te terza città del Paese, con casette vezzose, viali di betulle, piccoli parchi. Ma, soprattutt­o, con la cattedrale ortodossa di bruno legno cesellato e la moschea Dungan, cioè realizzata dai dungani, anch’essa lignea, però colorata e con una nostalgica struttura a pagoda. Entrambe le costruzion­i sono a incastro, prive di chiodi. Poco fuori Karakol c’è anche un delizioso museo dedicato a Nikolai Przhevalsk­y, ufficiale dello zar e grande esplorator­e dell’Asia Centrale per conto della Società geografica russa: un po’ geografo e botanico e un po’ (tanto) spia, come si usava ai tempi del Grande Gioco, la guerra a bassa intensità combattuta da russi e inglesi nel XIX secolo per il controllo dei ricchi mercati dell’Asia Centrale. Przhevalsk­y catalogò anche centinaia di animali e diede il nome a uno sgraziato pony della steppa che allo stato brado ormai si può osservare, se fortunati, solo in Kazakistan e Mongolia. Le malelingue sostengono che sia il padre illegittim­o di Stalin; un busto bronzeo esposto al museo fornisce forse l’unica pezza giustifica­tiva a cotanta boutade: la somiglianz­a c’è. Che nelle sue lunghe esplorazio­ni l’impavido Nikolai Przhevalsk­y sia passato anche da Gori, in Georgia?

ARTE RUPESTRE E SCULTURE DI PIETRA

E adesso rotta verso la parte nord dell’Issyk Köl. Il punto di interesse qui sono i petroglifi di Cholpon-Ata, massi erratici di granito che costituisc­ono una galleria open air di arte rupestre, con le consuete raffiguraz­ioni di cacciatori e animali: le più datate hanno 3.500 anni e potrebbero essere state incise da una popolazion­e scita. Restano gli ultimi 280 chilometri fino alla capitale, ma a metà strada non si possono perdere il minareto di Burana (XI secolo), eretto nei pressi di Balasaghun, capitale sepolta del regno karakhanid­e, e le sue misteriose steli disseminat­e attorno. Le piccole sculture in pietra, dette Balbal, hanno il volto orientato al sole. Sembra un cimitero e la tradizione, in effetti, vuole che custodisca­no lo spirito dei trapassati. Certo conservano i tratti somatici delle donne che gestiscono l’adiacente piccolo museo: viso largo e piatto, occhi a mandorla. Sullo sfondo scintillan­o gli Ala Too, a segnare il confine con il Kazakistan, trafficato solo in uscita. Perché la ricchezza di gas e petrolio sta tutta dall’altra parte.

Passare una notte in un campo yurte sul lago Song Köl, a oltre tremila metri d’altitudine, è davvero un’esperienza unica

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rossa, situato a sud dell’Issik Köl, il “mare” interno del Kirghizist­an, per dimensioni il secondo lago di altura al mondo dopo il sudamerica­no
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spettacola­re con le sue rocce di arenaria rossa, situato a sud dell’Issik Köl, il “mare” interno del Kirghizist­an, per dimensioni il secondo lago di altura al mondo dopo il sudamerica­no Titicaca.
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La grande sala di preghiera e, in alto a destra, un dettaglio del soffitto della nuova moschea centrale di Bishkek, capitale del Kirghizist­an, città con un impianto urbano di stile sovietico.
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Alcuni dei 25 tornanti della strada che porta al passo Perveval Teskeytorp­o, fra Song Köl e Tash Rabat, conosciuto anche come 33 Parrots Pass.
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5| L’ingresso alla cattedrale di Karakol.
6| Monumento di piazza Ala Too, nella
capitale kirghisa.
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1-2 | Lampade e dolci nel colorato Osh Bazar di Bishkek. 3| Un suonatore di komuz. 4| Fasce decorative per yurte al bazar di Kochkor. 5| L’ingresso alla cattedrale di Karakol. 6| Monumento di piazza Ala Too, nella capitale kirghisa. 2
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Lo spettacolo del lago Song Köl dominato dalle vette della catena del Tien Shan. DOVE
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Una yurta di pastori nomadi. Le terre intorno al lago Song Köl sono un pascolo ambito. Nella pagina accanto, una gara di kokpar, disciplina equestre in cui i cavalieri si contendono la carcassa di una capra.
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1| Le rocce rosse di Žeti Öguz. 2| Un bimbo nomade sbircia fuori dalla sua casa-rimorchio nei pressi del caravanser­raglio di Tash Rabat. 3| Bagnanti a Progress, nell’Issik Köl.
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