La terra dell’oro bianco.
Città coloniali, deserti, lagune iridescenti abitate dai fenicotteri rosa. E distese abbacinanti, dove si raccoglie il sale
La jeep sembra sospesa nel vuoto mentre corre sull’immensa distesa di sale bianco accecante del Salar de Uyuni, incastonata tra le Ande all’estremo sud della Bolivia, modellata a cristalli esagonali dalla sorprendente geometria della natura. Unico faro per i naviganti disorientati, i picchi innevati dei vulcani ai lati, smarriti nel cielo azzurro solcato da nuvole bianche. Il vento spietato, implacabile si alza quando il sole scende verso la Cordigliera occidentale e cancella le rare orme sui 12 mila chilometri quadrati, a 4.000 metri di altezza, creati dall’evaporazione dell’immenso lago Minchin, che diecimila anni fa cominciò a ritirarsi. Un paesaggio lunare, tanto che Neil Amstrong nel 1966 approdò qui per testare la resistenza di alcuni materiali prima di affrontare la grande avventura nello spazio.
Non si vede un uccello, una foglia. Eppure, dopo una manciata di chilometri, anche il nulla si anima. Prima compare un ragazzo in bicicletta che fischietta una melodia andina. Poi, qua e là, ecco ingenui altarini ricavati dal prezioso minerale per blandire gli dei ostili. Verso le piccole piramidi candide dai nomi simbolici, che nessuna carta riporta, si muovono gruppi di alieni con cappucci e occhiali neri, che proteggono dai bagliori solari i volti color pietra e gli occhi scuri: sono gli indios Chipaya di Colchani, un villaggio a dieci chilometri, discendenti degli abitanti delle steppe che dall’Asia Centrale, attraverso lo Stretto di Bering, approdarono in America 40 mila
Città coloniali, deserti, lagune iridescenti abitate da fenicotteri rosa. E immense distese abbacinanti, dove si raccoglie il sale. Racconti ed emozioni da un mondo magico