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LUNGO FIUME IL DELLA MEMORIA

Una crociera sul Mekong non è solo un viaggio nella vita e nella cultura del Sud-Est asiatico. È anche un racconto in presa diretta di come un Paese costruisce il proprio futuro. Senza rinnegare i momenti, anche drammatici, della sua intensa storia

- di Mariella Grossi foto di Giovanni TaGini

Il Mekong è un drago. Le cui nove teste - i suoi estuari - sfiatano, dolcemente, nel Mar Cinese. Così la leggenda, mentre la realtà racconta che questo fiume, uno dei sette più lunghi del pianeta (4.880 chilometri), è da sempre un mito dei viaggiator­i, perché unisce l’Asia, dal Tibet al Vietnam. Un fiume dal fascino tropicale, rigoglioso merletto di campagne ben coltivate, foreste, risaie, canali fioriti brulicanti di lance, piccoli commerci, contadini. Grazie a un miracolo: la pace. Fiorita in Vietnam dopo vent’anni di guerre (1955-1975) e in Cambogia dopo altri conflitti e la fine del regime sanguinoso dei khmer rossi.

Un fiume intenso, da navigare. Come ha fatto Dove a bordo della Navigator, piccola, lussuosa nave della Lotus Cruises, moderna, ma con l’allure dei vecchi battelli da dagherroti­po. È un viaggio che non è solo contemplaz­ione di paesaggi e monumenti, ma racchiude esperienze, disvela storie, incontri, tradizioni. A partire dalle conferenze a bordo, su temi dalla cucina all’economia, che si tengono nei cinque giorni di crociera da Ho Chi Minh, la vibrante metropoli del sud vietnamita, a Phnom Penh, la più pacata capitale cambogiana. Il consiglio è di arrivare due giorni prima dell’imbarco e scoprire che cosa sia l’Asia rampante visitando Ho Chi Minh. Certo, la compagnia Lotus Cruises prevede giri in sella alla Vespa (in città ne circolano tre milioni, nuove) nei luoghi classici: Chinatown, con le botteghe di speziali e la bella pagoda Thien Hau; poi il centro, la cattedrale di Notre Dame, l’ufficio postale progettato da Gustav Eiffel, l’ingegnere della torre parigina,

senza trascurare uno sguardo alla terrazza da cui evacuò l’ultimo elicottero americano, 45 anni fa. Ultimo capitolo di una guerra estenuante e cattiva da “ripassare” nell’imprescind­ibile, struggente, War Remnants Museum.

Ho Chi Minh richiede tempo per scoprire il nuovo. Dallo storico ufficio postale bastano quattro passi per raggiunger­e Book Street, strada di bancarelle di libri, di piccoli caffè quasi parigini, assiepati di golden people, come i vietnamiti chiamano la nuova generazion­e che sta cambiando il Paese. Altri pochi passi ed ecco la piazza del municipio, dove la statua di Ho Chi Minh sembra benedire la selva di grattaciel­i che invade la città, uffici, centri finanziari, luoghi di ritrovo di tendenza per cene e aperitivi, come il Social Club, al 23°piano dell’Hotel Des Arts ,olo sky bar (51° piano) della Bitexo Tower .La città del futuro si espande anche lungo le sponde del Saigon River. E il fiume segna la strada per il Distretto 2, giovane, emergente, senza la frenesia da metropoli. Fino a pochi anni fa era campagna, oggi è il luogo della generazion­e 2.0 che ne frequenta i nuovi college. Che apre locali green, gallerie d’arte come l’imperdibil­e The Factory, negozi solidali come In The Mood, con biancheria realizzata da ragazze salvate dalla prostituzi­one. Aprono ecohotel come Mia Saigon, la cui barca, a disposizio­ne dei clienti, permette di scoprire che il fiume non è solo una riva di grattaciel­i, ma cela orti, giardini, ville coloniali, ultimi lembi d’Asia. E da The Deck, puro design a filo d’acqua, si cena a lume di candela guardando, sull’altra riva, le mille luci di una città che è già nel futuro.

Tempo di imbarcarsi, di passare dal Saigon al Mekong, a My Tho. Dalla metropoli alla natura. Si naviga con gli occhi puntati sulla campagna fertile, simbolo della rinascita vietnamita dopo dieci anni di deforestaz­ioni da napalm: 150 mila tonnellate sganciate dagli americani. È il passato. Ora 8,6 milioni di famiglie contadine sono tornate a produrre e il paesaggio è un tripudio di banani, palme da cocco, alberi da frutta, risaie scintillan­ti di luce sotto il sole. Si sbarca dalla nave per salire sul sampan (le imbarcazio­ni piatte) e inoltrarsi fra canali e campi, villaggi di case in legno spesso incornicia­te da rose rampicanti. Si sbircia all’interno il gran pavese di pentole di alluminio, si curiosa in un negozio-laboratori­o che produce carta di riso.

MERCATI GALLEGGIAN­TI, TOUR IN BICICLETTA

Ci si intrufola fra le barche del mercato galleggian­te di Cái Bè, centro fluviale e agricolo dal XVIII secolo, a 104 chilometri da Ho Chi Minh. Anche se dopo la costruzion­e di strade e ponti non è più così esteso, il mercato resta un fantasmago­rico affresco di colori: il giallo delle banane e quello traslucido del frutto di Lansat, accatastat­i sui grandi sampan fra il rosso dei litchi e dei dragon fruit, i nocciola dei salak (una specie di palma), dolci come ananas. Un canale si assottigli­a fra nuvole fluttuanti dei fiori bianchi e viola di Xoan fino all’approdo di Ba Duc Ancient House, podere e casa coloniale con il grande altare di famiglia in lacca e madreperla. Ci si ferma per un tè nel giardino accompagna­to da banh xeo (pancake), o per pranzare, affittare la bici e pedalare lungo la ciclabile sulla riva, oltre il frutteto.

“Il Mekong è il fiume più bello e selvaggio della Terra”, annotava Marguerite Duras. E la tappa successiva della navigazion­e si lega alla vita della scrittrice premio Goncourt, nata a Saigon nel 1914. Il Mekong si piega nel Tien River, che a Sa Dec non sembra proprio un fiume, ma un canale fitto

Il Mekong è un ricamo di risaie, orti galleggian­ti, foreste che lambiscono l’acqua, canali fioriti

di barche e piccoli battelli in legno. Sulla riva, ecco una delle più famose case nella storia letteraria, quella di Huynh Thuy Le, rampollo di una ricca famiglia cinese, amante della Duras quando la scrittrice aveva solo 15 anni. Una storia vera e scandalosa che ha ispirato il romanzo (da cui fu tratto un film) L’amante. Si cammina verso la dimora franco-coloniale pieni di aspettativ­e, ma si resta delusi per lo stato di fatiscenza. Mancanza grave, visto che è un sito storico nazionale. Ci si riscatta alla pagoda confuciana Kien An Cung (1924-27), costruita proprio in onore della dinastia Huynh Thuy, sfarzosa di dorature, lacche rosse, portali affrescati. La corte interna è pervasa da profumo di incenso, impalpabil­e viatico per entrare in contatto con il cielo. Fiori ovunque: Sa Dec è la cittadina dei vivai, del Flower Village, 600 ettari di colori e 50 varietà di rose, magnifico in primavera. Sa Dec è famosa anche per il mercato sulla riva, popolare, sgarrupato, ma vivo. Niente souvenir, solo pollame, pesci, granchi, verdure, polpa di tamarindo, odore pungente di cardamomo e cumino.

INCONTRI NEI VILLAGGI

Si continua lungo il fiume in un paesaggio che svela operosità. Oltre la cortina di palme, manghi, papaie si intravedon­o turbine eoliche. Sull’acqua fluttuano una pompa di benzina galleggian­te, lance e zatteroni che trasportan­o ortaggi, gamberi, pesce, anche quello che chiamano ”elefante” perché solleva branchie grandi come orecchie. Di nuovo in sampan lungo i canali verso una fattoria e piantagion­e di cocchi, verso il villaggio di My An Hung, dove si coltivano peperoncin­i piccanti. Le case denotano semplicità rurale, non povertà. Amache sotto le verande e panche in cemento, più resistenti ai monsoni, oltre che scelta ecologica per evitare sedie in plastica:

a scuola, le nuove generazion­i sono educate al rispetto per l’ambiente. Si entra nell’abitazione di un musicista che sciorina ritratti di Ho Chi Minh sulle travi ancora sforacchia­te da pallottole. Ma incornicia­no l’altare buddhista.

Si incontrerà un altro veterano sull’isola di Long Khan, nel delta, l’incredibil­e universo di 40.577 chilometri quadrati di canali, fiumi, lagune. E di operosità, di nuovo. Questo villaggio avvolto da acqua, risaie, barene di foglie di loto, da cui si alzano in volo i martin pescatori, ha un suono monocorde: quello dei telai. Da cento anni. Prima della guerra si coltivavan­o gelsi e si allevavano bachi, ora si tessono i krama di cotone, le sciarpe khmer a scacchi. Si lavora all’aperto, sotto tettoie, sulle verande di case quasi pretenzios­e nei colori pastello. Sta sulla soglia, un poco vanesio, con le sue medaglie ben lucidate sulla giubba militare, Sau Dien, 73 anni, un passato da vietcong e medico militare. “Ma ho curato anche feriti americani”, dice con orgoglio mentre si fa fotografar­e sotto i ritratti di Marx e Ho Chi Minh. Scende un formidabil­e tramonto che pennella acqua e cielo di pervinca e viola.

Rotta verso due confini, quello geografico della Cambogia, e quello invisibile tra il Mekong vietnamita, così vivo di gente, traffici, barche, e quello cambogiano, dove regna il silenzio. Il fiume è vuoto, non c’è nessuno: navigano solo, come isole nella corrente, barene di foglie di loto. Una frontiera verde di palme, papaye e alberi di giaco nasconde villaggi, di cui si intravedon­o tetti e pinnacoli. Un giorno di navigazion­e e si approda a Phnom Penh, dove “bastano pochi giorni per adattarsi a un ritmo diverso di vita, per entrare nella logica di un altro mondo”, scriveva Tiziano Terzani. Phnom Penh non ha l’arroganza delle nuove metropoli orientali, da vent’anni è una città in rinascita. È ancora profondame­nte asiatica nei mercati caotici, nei profumi di frutta e spezie, nelle case colorate, nei graffiti d’epoca coloniale

In Vietnam, il fiume è vivo di gente, barche, traffici. Passato il confine cambogiano, diventa il regno del silenzio

Lo chef del ristorante Malis, a Phnom Penh, propone ricette tradiziona­li della nonna, cuoca al Palazzo reale

francese. Nelle procession­i di monaci buddhisti, che a Ho Chi Minh non si vedono più. Il lungo fiume del Mekong si chiama ancora La Croisette, passeggiat­a serale delle famiglie, palestra per chi fa ginnastica all’aperto ritmando i movimenti con musica che scaturisce da radioline portatili.

Si scende dal Navigator per salire sui tuk-tuk che sgommano verso il Palazzo reale, in parte abitato dalla royal family, perché la Cambogia è una monarchia parlamenta­re. Reggia famosa per la Pagoda dal pavimento ricoperto da cinquemila piastrelle d’argento. Poi il Museo nazionale, arzigogola­to edificio in terracotta che racchiude la più ricca collezione al mondo di sculture induiste del potente impero Khmer (801-1431 d.C.): l’epoca delle statue è stabilita dal sorriso sui volti delle divinità. Il fascino di Phnom Penh sta nell’andare a casaccio, curiosare in un cortile dove un gruppo di ragazzi si sta vestendo per una danza di draghi. Lasciarsi catturare dalle vetrine di Rya Khmer Silk e scoprire che è un negozio etico: si avvale della tessitura (seta) di 500 donne dei villaggi e di mutilati di guerra. Infilarsi fra gli stupa della Saravoan Pagoda: è sgarrupata, defilata dai monumenti famosi, eppure conserva più di tremila manoscritt­i preziosi, la più ricca biblioteca buddhista del Paese. Un’esperienza da non perdere è cenare da Malis, perché proprio qui, davanti al granchio con boccioli di fiori o al gelato di durian, cocco e pepe, si capisce l’ansia cambogiana di ritrovare le proprie radici dopo l’annientame­nto culturale voluto da Pol Pot. Lo chef Luu Meng, nipote di una cuoca della famiglia reale, si è dato una missione: recuperare ricette e tradizioni gastronomi­che completame­nte perdute negli anni del terrore. Aveva ragione Tiziano Terzani: “Phnom Penh è una città stregata, dove uomini e spiriti coabitano”.

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vista dal fiume Saigon. A sinistra svetta il grattaciel­o della Bitexo Financial Tower (265,5 metri): è stato superato dal Landmark 81, alto 463 metri.
DOVE
La città di Ho Chi Minh di notte, vista dal fiume Saigon. A sinistra svetta il grattaciel­o della Bitexo Financial Tower (265,5 metri): è stato superato dal Landmark 81, alto 463 metri. DOVE
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 ??  ?? 1| Il mezzo migliore per visitare Ho Chi Minh è il ciclo-risciò. O la Vespa: ne circolano tre milioni. 2| Il Social Club , al 23° piano dell’Hotel des Arts, è l’indirizzo per l’aperitivo e la cena. 3 | Nghia An Hoi Quan, tempio costruito dalla comunità cinese di Ho Chi Minh nel XIX secolo.
1| Il mezzo migliore per visitare Ho Chi Minh è il ciclo-risciò. O la Vespa: ne circolano tre milioni. 2| Il Social Club , al 23° piano dell’Hotel des Arts, è l’indirizzo per l’aperitivo e la cena. 3 | Nghia An Hoi Quan, tempio costruito dalla comunità cinese di Ho Chi Minh nel XIX secolo.
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Marguerite Duras, che le ispirò il celebre romanzo. 3-4| La suite della Jewel e il ponte della Navigator, due navi per le crociere fluviali.
1| Navigando sul Mekong: barche da pesca, barene, allevament­i. 2 | Sa Dec: la casa di Huynh Thuy Le, l’amante della scrittrice Marguerite Duras, che le ispirò il celebre romanzo. 3-4| La suite della Jewel e il ponte della Navigator, due navi per le crociere fluviali.
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DOVE
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In alto, Wat Ounalom, storica pagoda di Phnom Penh distrutta dai khmer rossi e poi ricostruit­a. Ospita monaci buddhisti di alto lignaggio. Nella pagina accanto, il Mekong a Hong Ngur, verso il confine con la Cambogia.
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Phnom Pehn. L’hotel Palace Gate, con un piccolo giardino botanico. In alto, il Palazzo reale, aperto alle visite, tranne i padiglioni in cui risiede il sovrano Norodom Sihamoni, con la famiglia.

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