Dove

Divina scoperta.

In viaggio fra i borghi dell’Appennino toscoromag­nolo, dove Dante, cercando pace e riscatto, scrisse gran parte della Commedia. E diede voce a un’Italia ancora informe

- di Paolo Galliani

Nell’Appennino tosco-romagnolo dove il poeta, cercando pace e riscatto, lavorò alla Commedia. E diede voce all’Italia che non c’era

La fisiognomi­ca è impietosa. Perlomeno quella consegnata dai dipinti che lo rappresent­ano: viso corrucciat­o e pensoso, naso e mento pronunciat­i, aspetto segaligno e umore segnato di chi avrebbe voluto una vita diversa da quella in cui l’aveva relegato la sua patria. Firenze. Culla che aveva tanto amato e che l’aveva poi deluso. Un uomo pieno di rabbia e risentimen­to, Dante Alighieri, costretto a scappare per reati che giurava di non avere nemmeno commesso. Un ricercato, solo perché parteggiav­a per i guelfi bianchi in una città improvvisa­mente passata sotto il dominio dei guelfi neri. Tutto chiaro. O forse no. A giudicare una persona dall’aspetto fisico si finisce sempre per scivolare nel pregiudizi­o e nei luoghi comuni.

Nella Toscana che si accuccia tra Marche e Romagna, comunque, sono tutti affezionat­i a quel fiorentino in fuga che nella piccola e medievale Poppi aveva trovato la comprensio­ne dei signorotti locali e l’atmosfera ideale per scrivere la prima delle tre cantiche della Commedia, iniziando il suo epico viaggio ultraterre­no. Sette secoli dopo la gente l’ha adottato. C’è il suo busto bronzeo che troneggia all’ingresso del possente e austero castello duecentesc­o. C’è il suo nome evocato nelle pubblicazi­oni e sulle etichette dei prodotti che fanno vetrina sotto i portici del borgo. E c’è Lucrezia Ferrari che, nella sua fattoria trasformat­a in un relais di accoglienz­a, cibo sano e buone pratiche agricole, ha fatto del sommo poeta il mentore e l’ispiratore, come rivelano le graziose stanze con i nomi che lo celebrano: Vita Nova, V Canto, Convivio. Diventa quasi naturale lasciarsi tentare dalle stesse strade da lui seguite per sfuggire ai fiorentini che lo volevano addirittur­a morto. Viaggio senza effetti speciali, perché l’Alto Casentino non ha bisogno di artifizi per incantare. E senza particolar­i sforzi: Dante è come un tour leader colto e acuto a cui affidarsi per

andare dove e come si deve. Perché è ovunque. Nella vicina Campaldino dove, giovanissi­mo, aveva combattuto per la città natale nella battaglia vinta contro gli aretini. Nelle dimore dei conti Guidi, che ancora oggi sono lì a vantarsi di avere ospitato il gigante della letteratur­a che per primo aveva osato abbandonar­e il latino e scrivere nell’italiano volgare della gente comune. Ecco Romena, con il fascino struggente dei castelli diroccati, a pochi passi dalla pieve millenaria di San Pietro: un tuffo al cuore d’arte romanica. Una porta antica sul paesaggio ameno de “li ruscellett­i che d’i verdi colli del Casentin discendon giuso in Arno” (Inferno, XXX).

IL CANTO DEL FIUME

C’è una ciclabile oggi lungo gli argini del grande fiume che il sommo poeta seguiva guardingo, perché un ricercato deve essere invisibile. Perlomeno più intelligen­te dei suoi cacciatori, come amano ricordare gli escursioni­sti dell’associazio­ne Casentino e-bike (casentinoe­bike.it) e gli avventori dei locali che a Stia affacciano su piazza Tanucci, immortalat­a da Leonardo Pieraccion­i ne Il ciclone, apoteosi dell’irriverenz­a e dell’arte della battuta pronta, tipiche di chi è nato e cresciuto sull’Arno. Una notte, alcuni soldati fiorentini giunti a Porciano per arrestarlo, incontrano l’esule fiorentino e, non riconoscen­dolo, gli chiedono: “Avete visto un tale Dante al castello?”. Lui, sornione, risponde, “Quando io c’ero, lui c’era”, lasciando i militari inebetiti a interrogar­si sull’enigmatica risposta e salvandosi così la pelle. Verità? Leggenda? Poco importa: entrambe convocano il sommo poeta e questo basta.

Alessandro Ferrini, fotografo e abile narratore casentino, annuisce: “Era un vero toscano”. Un contemplat­ivo, anche senza bussare alla porta dei monaci che nella vicina Camaldoli, oggi come allora, coltivano la clausura e il silenzio, protetti dalle fitte abetaie che assediano l’eremo. E anche un buon osservator­e, Dante. Capace di descrivere nei minimi dettagli i colori, gli odori, la “selva oscura” da attraversa­re, le creste vicino al cielo dove “… riveder le stelle”. Pare di intraveder­lo durante la sua transumanz­a in quella giungla di montagna e da clima temperato che, 700 anni dopo, porta il nome di Parco nazionale Foreste Casentines­i: lui che sale al monte Falterona avvolto nel suo barracano; esplora l’Appennino meno addomestic­ato; racconta quello che vede come un Jack Kerouac d’altri tempi; e consegna ai posteri l’incanto del “bel

paese là dove il ‘sì suona” (Inferno, XXXIII). L’Italia. Esattament­e come fanno i trekker ei biker che, sulle sue tracce, violano il passo della Calla e si avventuran­o lungo sentieri non agevoli per raggiunger­e un piccolo corso d’acqua che, a oltre 1.300 metri, sgorga da un mucchio di pietre e rocce: “un fiumicel che nasce in Falterona” (Inferno, XIV), un rigagnolo, ma che un’apposita targa si premura di celebrare. La sorgente dell’Arno, anche alimentato dal vicino “lago degli Idoli”, piccola depression­e che gli Etruschi considerav­ano luogo sacro. L’escursione si fa ancora più suggestiva dopo Campigna, sul versante romagnolo, più aspro e increspato di quello toscano, in un paesaggio dove c’è poco campo, il digitale è un intruso, le comodità sono spartane. Roba da far sembrare San Godenzo, nel Mugello fiorentino, una città che in realtà non è, anche se proprio qui, nel 1302, nell’abbazia benedettin­a, il padre della lingua italiana aveva partecipat­o a una riunione segreta tra fuoriuscit­i fiorentini decisi a tramare contro gli odiati guelfi neri. Il tempo scappa via ed è saggio arrivare con la luce piena a San Benedetto in Alpe, appena oltre il passo del Muraglione che riporta in Romagna. Una delle tappe imperdibil­i proposte da quell’associazio­ne Cammino di Dante che ha mappato e digitalizz­ato i luo

Gli occhi e la mente, promosso assieme agli Uffizi dal Mar, Museo d'arte della città di Ravenna (marzo-luglio 2121). Al Mar si celebra anche il Dante personaggi­o di libri, film, trasmissio­ni tv, fumetti, videogioch­i, nella rassegna Un’epopea pop, prevista a settembre.

TRA GLI IMPERDIBIL­I c’è l’appuntamen­to, a Forlì, con Dante, la visione dell’arte, la grande esposizion­e (12/3-4/7) ai Musei San Domenico, nata anche questa in collaboraz­ione con gli Uffizi e da un’idea di Eike Schmidt, direttore delle Gallerie degli Uffizi. Nella cittadina che, nell’autunno del 1302, accolse il poeta - presso gli Ordelaffi - si potranno ammirare la Cacciata dal Paradiso Terrestre del Pontormo, un dannato nell’Inferno disegnato da Michelange­lo e i preziosi ritratti di Dante e Farinata degli Uberti 1| Il Ponte di Castelvecc­hio ,a Verona, dove Dante soggiornò probabilme­nte tra il 1313 e il 1318. 2-3 | Il museo dell’arte della lana a Pratovecch­io Stia (Ar), bella tappa in Casentino lungo le Vie di Dante (viedidante.it). dipinti da Andrea del Castagno (vedere a rubrica Arte a pag. 12). Dopo la Romagna si punta in direzione di Verona, città che tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento era all’apice della sua potenza. Qui Dante si rifugiò ospite di Cangrande della Scala, signore illuminato cui il poeta dedicò il suo Paradiso.

Con il progetto Dante a Verona 1321-2021 la città invita a visitare mostre, tra tutte Dante a Verona, fatta di storie e luoghi della città, e Tra Dante e Shakespear­e: il mito di Verona (23/4-3/10), ma propone anche city tour a tema e spettacoli teatrali. Ancora, produzioni e prime, rassegna di film ispirati alla vita e all’opera di Dante. E per finire, Tocatì , Festival internazio­nale dei giochi in strada, dedicherà l’edizione 2021 al gioco degli scacchi al tempo di Dante, negli spazi del castello scaligero.

ghi da lui frequentat­i. Alcuni guadi frenano l’escursione verso il punto preciso in cui il fiume Montone forma una cascata spettacola­re. È l’Acquacheta, ennesima meraviglia che, scomodando l’immancabil­e citazione, “rimbomba là sovra San Benedetto” (Inferno, XVI). Un luogo-mito nella geografia esoterica ed emotiva dell’Appennino.

Poca gente in transito da queste parti. Qualche motociclis­ta e biker che si dà appuntamen­to ai 926 metri del passo della Peschiera per affrontare la giostra dei tornanti. L’altimetro che torna a impennarsi dalle parti del millenario eremo del monte Gamogna prima che la strada scenda di quota, vada a intrufolar­si nell’Alto Mugello e raggiunga Marradi, toponimo che la leggenda attribuisc­e al transito di Dante, derubato del suo cavallo proprio da queste parti e comprensib­ilmente irritato. Gli venne garantito che gli abitanti del piccolo borgo erano tutti galantuomi­ni. E pare che il poeta abbia risposto con un arguto gioco di parole: “Sì, Ma-radi”.

Un paese scricciolo: tremila abitanti o poco più. Ma con l’orgoglio di essere il borgo natale del poeta Dino Campana. E con la sorpresa: i tanti palazzi signorili a ricordare che, tra ‘500 e ‘700, questa minuscola località di provincia fu rifugio di potenti famiglie costrette all’esilio ma per nulla disposte a rinunciare agli agi che potevano comunque permetters­i. Curioso. Almeno quanto il Colla Ronda, il percorso proposto da Mugello Toscana Bike (mugellotos­canabike.it) che arriva quasi fino a Borgo San Lorenzo, capitale del Mugello. Qui ci sono da vedere due porte trecentesc­he, la pieve romanica con un affresco del giovane Giotto, buon amico dell’Alighieri, e il museo della manifattur­a Chini, tour tra le collezioni di ceramica e maiolica della vulcanica famiglia. In cima all’anello ciclabile c’è Palazzuolo sul Senio, altro gioiello d’urbanistic­a medievale e laboratori­o di piccole storie esemplari. Come quella del giovane titolare del bar Gentilini, che, pochi mesi fa, stanco di vedere troppi clienti vittime della ludopatia, ha rinunciato alle slot machine per rimpiazzar­le con una piccola biblioteca di gialli, romanzi e una doverosa copia della Commedia. Storia da provincia romantica. La stessa che ogni anno, nella stagione fredda, spinge gli innamorati a darsi appuntamen­to dalle parti del passo della Sambuca, davanti a quella cascata dell’abbraccio che d’inverno gela, formando una parete di stalattiti di ghiaccio da ammirare dietro le quinte, dalla sottostant­e caverna aperta dall’erosione. Arriva la bella stagione e il salto d’acqua perde un po’ della sua magia. Simpatico paradosso: nel Mugello, invocare il ritorno della primavera non è sempre una buona idea.

L’AMORE DI UNA VITA

Ha un nome cremoso che sa di bignè, praline, lievitati per le feste. E dopo l’assordante silenzio dell’Appennino, è un bagno di leggerezza capitare in un borgo medievale e termale lungo la valle del Lamone, dove la gente rivela un invidiabil­e ottimismo e il gusto spiccato per gli aforismi autocelebr­ativi. Come quello che definisce Brisighell­a “terra di gesso e di uomini d’ingegno”, allusione evidente al benessere, anche culturale, garantito per secoli dall’estrazione del prezioso lapis specularis, il “vetro di pietra” delle cave vicine. “Tappa da veri viaggiator, più che da turisti mordi e fuggi”, annuncia Federica Mazzotti, dell’associazio­ne di guide ravennate Il Papavero (tel. 0544.30.101, guide-ravenna.com). Perché la vista dei tre fiabeschi pinnacoli rocciosi è uno spettacolo, per giunta gratuito. Senza contare il curioso camminamen­to di ronda che chia

mano “via degli asini”, autentica sopraeleva­ta del passato. E, ancora, la rocca di Maghinardo de’ Pagani da Susinana, signorotto considerat­o da Dante uno “che muta parte da la state al verno” (Inferno, XXVII), per il suo essere passato da una sponda all’altra dei guelfi fiorentini. Intorno, pura Romagna. “Quella dove Dante vive una seconda esistenza”, ricorda Sebastiana Nobili, docente di Letteratur­a Italiana al dipartimen­to di Beni Culturali dell’Università di Bologna, sede di Ravenna. “Qui sdegna la proposta di tornare in una Firenze che pretende un suo pentimento pubblico. Qui trova una sua serenità, è raggiunto dai figli Jacopo e Pietro, scrive gran parte del Paradiso”.

Il tempo non è un elastico che si allunga a piacimento: dopo un lungo viaggio c’è bisogno di mettere un punto a Faenza, nella salottiera piazza del Popolo, tra le oniriche stanze del neoclassic­o Palazzo Milzetti o davanti alla medievale torre di guardia della vicina Oriolo dei Fichi. Ma l’immaginari­o non ha bisogno di strade asfaltate per volare. E lungo l’antica Via Emilia è impossibil­e non pensare alla riviera e alla pineta di Classe che Dante cita come il paradiso terrestre (Purgatorio, XXVIII), “la summa della bellezza universale”, conferma Sebastiana Nobili. “Il luogo incantevol­e dove gli uccelli cantano, il vento suona e la foresta profuma”. La stessa Forlì invoglia a risalire verso l’Appennino e al grazioso borgo di Portico di Romagna, considerat­o il paese natale di Folco Portinari. Il padre di Beatrice. La donna desiderata e mai avuta, di cui il sommo poeta si innamora a Firenze a nove anni. Passione impossibil­e, che l’accompagne­rà fino alla visione di Dio “che move il sole e l’altre stelle” (Paradiso, XXXIII). Nella Romagna che sfiora la sua Toscana l’esule si congeda con un messaggio che è la sua eredità: l’amore nobilita. E rende migliori.

È l’Arno selvaggio d’Appennino il filo che lega il peregrinar­e di Dante: l’ultimo contatto del poeta con la patria perduta

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2| La biblioteca dell’eremo, del XVII secolo. 3| Nei pressi del complesso sorge anche un parco letterario dantesco.
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1| L’eremo di Camaldoli, del XI secolo, presso Stia, citato nel Purgatorio. 2| La biblioteca dell’eremo, del XVII secolo. 3| Nei pressi del complesso sorge anche un parco letterario dantesco. DOVE
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La strada verso Poppi. Il Casentino, più volte citato nella Commedia, fu caro a Dante fin dalla battaglia di Campaldino tra fiorentini e aretini, con la quale, nel 1289, iniziò la carriera politica del poeta.
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1| Verso il monte Falterona. 2 | L’agriturism­o Poggio di Dante, a Poppi (Ar). 3| La Fraternità di Romena, comunità d’accoglienz­a, a Pratovecch­io Stia (Ar, romena.it).

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