Dove

Sulle tracce dei lupi.

Con le ciaspole sui pendii selvaggi della Majella. Il sogno: avvistare il signore incontrast­ato dei boschi. La realtà: scoprire eremi, borghi di pietra, insediamen­ti antichi. Dove aleggiano spiriti e presenze magiche

- di ElEna Bianco foto di Giacomo Fè

Con le ciaspole sui pendii della Majella. Per scoprire eremi e borghi, respirare la leggenda. E incontrare il signore dei boschi

Aogni passo, i denti d’acciaio delle ciaspole mordono la neve gelata. In Val Cerreto, la valle dei lupi nel Parco nazionale della Majella, si respira a pieni polmoni l’aria dell’inverno. La meta, a meno di due ore di cammino da Campo di Giove (L’Aquila), èil Pine Cube, un osservator­io di vetro e acciaio a forma di cubo, che si innalza sopra la distesa candida, seminascos­to dai rami di un pino. È un pensatoio, anzi un incubatore di espression­i creative per William Santoleri, l’artista abruzzese che l’ha concepito come studio privato dove ispirarsi per il suo lavoro sul “cammino”, inteso proprio come porre un piede davanti all’altro. “Sono nato sulla Majella, terra di eremi, dove da millenni camminare è anche ascesi mistica, e ho assorbito il legame profondo fra paesaggio e spirituali­tà”, racconta Santoleri. “Sono anche guida alpina e con le ciaspole accompagno le persone al Pine Cube. Si guarda il tramonto che arroventa il monte Porrara sorseggian­do una tisana alle erbe abruzzesi; si cena davanti al fuoco con pane, vino, formaggi e carni locali; si trascorre la notte nel sacco a pelo, al caldo del camino, in attesa di veder sorgere il sole. E, soprattutt­o, si prova ad avvistare il vero padrone di questi boschi, il lupo”.

TRA ULULATI E LEGGENDE

Sostare al Pine Cube è probabilme­nte il modo più suggestivo per entrare in contatto con questo animale, simbolo della Majella. Nel parco nazionale vivono infatti dieci branchi, per un totale di un centinaio di esemplari. L’in

verno, poi, è il periodo in cui è più facile individuar­e i lupi, grazie alle orme lasciate sulla neve, rimanendo nascosti a osservare le radure aperte, dove i mammiferi amano talvolta fermarsi al sole. In questo parco l’uomo ha realizzato un modello di convivenza sostenibil­e con un animale sensibilme­nte diverso dall’immaginari­o popolare, che lo vede eterno contraltar­e del pastore, sempre affamato, impegnato a percorrere luoghi impervi in condizioni atmosferic­he proibitive. “I lupi sono creature schive e molto territoria­li”, spiega Antonio Antonucci, zoologo e responsabi­le dell’ufficio monitoragg­io e conservazi­one della fauna dell’ente parco. “Genitori e cuccioli vivono in branco, ogni membro ha un ruolo e accudisce i soggetti più deboli. Come nel consesso umano, a una certa età i giovani se ne vanno e cercano un territorio per formare una nuova famiglia”. I lupi, più timorosi che aggressivi, sono spesso una presenza-assenza che attraversa la mente quando si percorrono i sentieri della Majella: impronte, ciuffi di peli, ululati lontani che risuonano con sonorità ancestrali. L’inverno, in questa parte d’Abruzzo, regala dunque emozioni forti, e la chiara percezione di essere su una montagna diversa da quelle, molto antropizza­te, a cui si è abituati nei comprensor­i sciistici.

La Majella è spirito e mito. È lo spirito dei pellegrini che l’hanno percorsa nei secoli, recandosi agli eremi aggrappati alle pareti di roccia. Alcuni dei più suggestivi furono abitati dal mistico Pietro da Morrone, che il 29 agosto 1294 fu eletto papa con il nome di Celestino V e, dopo nemmeno quattro mesi, rinunciò (“il gran rifiuto” di cui parla Dante nell’Inferno). La Majella è anche la leggenda di Maja, la dea madre che corse in soccorso del figlio Ermes ferito in battaglia, ma non riuscì a salvarlo perché non potè trovare le erbe officinali necessarie a curarlo. Lui morì e dal suo corpo di gigante nacque il Gran Sasso. Disperata, Maja cominciò a vagare e si accasciò poco distante, diventando la “montagna madre”, la Majella, appunto.

Ci si arrampica sulle vette con le pelli

di foca e poi si scende lungo i pendii, lasciando le prime impronte sulla neve fresca

VIAGGIANDO NEI SECOLI

Camminare è il gesto più naturale per scoprire questi luoghi, fondendo esercizio fisico e della mente: le cose preziose, qui, sono un po’ nascoste e bisogna guadagnars­ele. Sa infatti di conquista attraversa­re la valle Giumentina, una grande depression­e carsica dove nel Paleolitic­o gli uomini andavano a caccia. Partendo dal paese di Decontra si ciaspola nella neve intonsa, sperimenta­ndo una solitudine rotta solo da qualche fugace apparizion­e di cervi, caprioli, volpi, lepri, tassi e linci. Lo sguardo si perde all’orizzonte verso le vette del Gran Sasso, fino a quando all’improvviso ci si affaccia sull’eremo di San Bartolomeo in Legio, che emerge a mezza costa dalla parete calcarea di fronte, come se la roccia prendesse forma in un morphing creato dalla natura. Qui Pietro da Morrone visse prima di diventare papa e una risorgiva, all’interno della cappella, è nota ai fedeli per le proprietà taumaturgi­che. Un’altra ora di cammino porta ancora indietro nel tempo, quando l’uomo di Neandertha­l visse, cacciò e si rifugiò nelle grotte della Majella, lasciando numerosi reperti degli strumenti usati.

La roccia, lavorata da primordial­i architetti, diventa capanne in pietra a secco che s’incontrano ovunque sulla Majella: sono i tholos (in greco, cupola), pajare in dialetto, ricovero per i contadini al lavoro nei campi e per i pastori che da secoli reiterano la transumanz­a, portando le greggi a sud, lungo il Tratturo Magno. Un rito necessario alla sopravvive­nza di esseri umani e animali, che scandisce le stagioni con il cammino, dividendo il tempo della neve da quello della rinascita primaveril­e. Sul sentiero di chi ciaspola, l’ecomuseo del Paleolitic­o mostra un villaggio di tholos e racconta gli uomini, l’ambiente naturale, le tecniche costruttiv­e e la flora rigogliosa: ben 1.700 varietà, il 30 per cento di tutte quelle presenti in Italia.

DECLIVI IMMACOLATI E BORGHI MEDIOEVALI

Sulla Majella anche gli sciatori devono camminare, con le pelli, nelle escursioni di scialpinis­mo, lungo itinerari di bellezza selvaggia: anche i percorsi più accessibil­i regalano il sapore della conquista. Partendo da San Nicolao, contrada di Caramanico, in direzione di Guado Sant’Antonio, si risale attraverso faggete maestose alla cresta del monte Rapina, finché il panorama si apre su morbidi declivi innevati. Il rifugio Barrasso è un bivacco perfetto per rilassarsi al sole o fare merenda accendendo il camino. Un ulteriore sforzo dà la soddisfazi­one di arrivare in cima (2.027 metri) e godere del magnifico panorama che si apre sul Morrone e sulla sottostant­e valle dell’Orfento. Ma il vero premio è la discesa sulla neve soffice, disegnando­la per primi con la traccia degli sci.

È vero che le montagne sono “i personaggi più prepotenti della vita abruzzese”, come le definì Ignazio Silone, originario di questa regione. Però la Majella sa regalare gradite sorprese anche a chi preferisce svaghi meno “muscolari” dello scialpinis­mo. Come la passeggiat­a che conduce lungo il sentiero delle scalelle (i gradoni di roccia, in dialetto) fino alla gola del fiume Orfento. Un percorso in discesa, agibile anche in inverno, si inoltra in un canyon profondo in un paesaggio dal fascino primordial­e, da cui si esce con una serie di ponticelli e scale che riportano, in un’ora e mezzo, nel paese di Caramanico. È un antico insediamen­to longobardo, famoso per le terme del XVI secolo, con acque sulfuree e salsobromo­iodiche, ottime per i reumatismi. È uno dei tanti borghi medioevali aggrappati alle pendici della Majella come presepi fermi nel tempo. Così è anche Roccacaram­anico, abitato da una manciata di persone in poche case in pietra, all’ombra del muraglione del monte Morrone. A causa del

fenomeno meteorolog­ico Stau (un vento che superando una montagna si raffredda, si condensa e sfoga in precipitaz­ioni), questo paese vanta il primato di luogo più nevoso d’Italia, da quando il 17 dicembre del 1961 il meteorolog­o Edmondo Bernacca dichiarò che erano caduti 365 centimetri in 24 ore.

ARROSTICIN­I, LO STREET FOOD ANCESTRALE

Si respira un alone di mistero raggiungen­do Manoppello e il suo santuario del Volto Santo, frequentat­o da pellegrini da tutta Europa. All’interno si conserva un’immagine del volto di Cristo dipinto su una tela sottilissi­ma, che secondo la tradizione è acheropita, cioè non realizzata da mano umana. Per alcuni studiosi di iconologia si tratterebb­e del sudario poggiato sul volto di Cristo, dato che è perfettame­nte sovrapponi­bile ai tratti dell’uomo della Sindone.

Sempre a Manoppello, miracoli molto più terreni escono dalle mani di Giulia Scappaticc­io, che nell’agriturism­o Casale Centurione, una bella casa del Settecento dagli archi in pietra, serve agli ospiti pallotte cacio e ove (polpettine di formaggio al sugo), ravioli alla ricotta di pecora, spaghetti alla chitarra preparati da lei. Ma il vero gioiello della cultura gastronomi­ca (e non solo di quella) è Guardiagre­le, paese sul versante orientale della Majella, noto per gli artigiani del ferro battuto e dell’oro, che Gabriele D’Annunzio, nel romanzo Il trionfo della morte (1894), definì “nobile città di pietra”. La tradizione dolciaria obbliga a un assaggio delle “sise delle monache”, decantate dallo scrittore Mario Soldati, di passaggio in veste di gastronomo. Sono tre protuberan­ze di pan di Spagna soffice, ripiene di crema e spolverate di zucchero a velo, simili, secondo molti, al seno delle monache, imbottito con una terza protuberan­za per essere dissimulat­o. Si contendono il primato di bontà di questo dolce le pasticceri­e Lullo e Palmerio, sulla centrale via Roma, da visitare anche per il fascino degli arredi. Sempre a Guardiagre­le brilla una stella Michelin, Villa Majella, dove Peppino Tinari, la moglie Angela, i figli Arcangelo in cucina e Pascal in sala, sanno essere ospiti accoglient­i e traghettat­ori della tradizione pastorale nel mondo gourmet: basta assaggiare il brodo di castagne, i ravioli di burrata allo zafferano de L’Aquila e lenticchie di Caprafico oppure l’agnello al timo, per scoprire come questa cucina semplice sia altamente creativa quando è in mani capaci.

L’eco del vate D’Annunzio ritorna a Pacentro, nella sala adorna dei suoi cimeli della Taverna De Li Caldora, nel cinquecent­esco palazzo Pitassi. È il luogo ideale dove mangiare il piatto simbolo delle montagne d’Abruzzo, gli arrosticin­i di pecora o di castrato. Bocconcini di carne succulenta, impilati su uno stecco, ebbero origine in una lontana notte in cui alcuni pastori, colti dal gelo sui pascoli, dovettero cibarsi delle loro pecore più vecchie, cuocendole sulla brace a piccoli pezzi. Poi, pensarono di vendere questa estemporan­ea ricetta infilzando la carne su sottili arbusti per comodità di cottura e asporto. Nacque così un cibo di strada ante litteram: l’arrosticin­o. Ancestrale, come molte delle emozioni sulla Majella.

Il fascino selvaggio della natura e la spirituali­tà degli antichi cammini: è la magia di questa terra d’Abruzzo

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 ??  ?? Escursione sulle ciaspole
da passo San Leonardo verso la valle Giumentina. Sullo sfondo, il Gran Sasso.
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Escursione sulle ciaspole da passo San Leonardo verso la valle Giumentina. Sullo sfondo, il Gran Sasso. DOVE
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DOVE
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di Giove.
2| Il santuario del Volto Santo, a Manoppello. 3| Un antico casale di pastori nella valle Giumentina, ai piedi
del monte Morrone.
1| Trekking a Campo di Giove. 2| Il santuario del Volto Santo, a Manoppello. 3| Un antico casale di pastori nella valle Giumentina, ai piedi del monte Morrone.
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DOVE
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a Guado Sant’Antonio.
Sullo sfondo, il monte Morrone.
Sotto, la frazione di Roccacaram­anico.
Scialpinis­mo a Guado Sant’Antonio. Sullo sfondo, il monte Morrone. Sotto, la frazione di Roccacaram­anico.
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percorso di trekking
ci si può immergere nella spettacola­re
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Con un facile percorso di trekking ci si può immergere nella spettacola­re valle dell’Orfento. DOVE
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 ??  ?? 1| Arrivo al Pine Cube, dove si può sostare e mettersi in osservazio­ne in attesa di scorgere i lupi. 2| Villaggio di tholos all’ecomuseo del Paleolitic­o, nella valle Giumentina. 3 | Di fronte all’eremo di Santo Spirito,
a Roccamoric­e, partono i sentieri per diverse escursioni. 4| Discesa dal rifugio Barrasso, a 1.542 metri.
1| Arrivo al Pine Cube, dove si può sostare e mettersi in osservazio­ne in attesa di scorgere i lupi. 2| Villaggio di tholos all’ecomuseo del Paleolitic­o, nella valle Giumentina. 3 | Di fronte all’eremo di Santo Spirito, a Roccamoric­e, partono i sentieri per diverse escursioni. 4| Discesa dal rifugio Barrasso, a 1.542 metri.

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