Mani preziose.
In questi mesi complicati, la creatività ha salvato molte persone dall’ansia. Oggi può essere un’occasione di rinascita. Per sé e per il Paese
La creatività ha salvato molti dall’ansia. Oggi può essere un’occasione di rinascita. Per sé e per il Paese
Giulia, che per vincere lo stress da tesi di laurea ha rispolverato i ferri della nonna e ora vive delle sue creazioni in lana. Elisa, ceramista con una missione: “Ridare valore ai gesti quotidiani e alla lentezza”. Bona, che nel limare all’infinito le sue miniature di metallo trova “la libertà”. Sono Le mani di Milano, come Lorenzo Malavolta e Lucia Mauri, giovani registi di Luma Video, hanno intitolato il loro cortometraggio sui nuovi artigiani. “Persone che danno tutto per vivere una passione”, racconta Malavolta. “Vivono la giornata secondo riti antichi, seguendo percorsi di vita moderni, spesso fatti di rotture, ripartenze e illuminazioni: ognuno di loro fabbri, tatuatori, pasticcieri - ha incontrato a un certo punto un materiale, un ingrediente. E, toccandolo, ha capito cosa sapeva fare, cosa voleva fare e, insomma, chi era”. Giulia Bertelli, Elisa Castelletta, Bona Calvi e gli altri sono gli eroi e campioni di una rivoluzione silenziosa, variegata e diffusa, partita da anni, ma che in questi mesi difficili ha trovato nuovi significati. In città e dentro casa.
I segnali sono ovunque. Si è iniziato per riempire il tempo, addolcire lo stress, risparmiare. Durante il confinamento, secondo un’indagine di YouGov per il sito di e-commerce ManoMano.it, quasi sei italiani su dieci si sono dati al fai-da-te; sette su dieci, per la società
Nextplora, hanno impastato la farina per il pane a casa. E poi videolezioni, tutorial, corsi iniziati su YouTube in attesa di frequentarli, appena possibile, dal vivo. Certo, non tutti apriranno una rilegatoria. E gli scultori e pittori improvvisati non avranno esposto forse nelle mostre online dedicate alla lockdown art, dal London Design Festival, dalla Tate Gallery o dal romano Atelier Montez (1.500 “produttori d’arte” esposti a ottobre). Qualcosa è accaduto, però. E che sia stata arte, o artigianato, o pasticcio, è un dettaglio: nell’anno “a distanza” sono tornati il tatto e la materia. Nel mondo appiattito dalla stessa malattia, dalla stessa paura, è tornato il pezzo unico che racconta una storia. Nel 2020 dell’aspettare è tornato il fare. A mano. “Per molti è una scoperta. Quel flusso così intenso tra mente, occhio e mano, la motricità fine, la gestione di spazi e materiali non sono sostituibili da nessun’altra esperienza. Ma c’è di più”, spiega Chiara Montani, scultrice, pittrice, arteterapeuta e autrice di romanzi storici. “L’arteterapia, sempre più usata all’estero e, negli ultimi anni, anche in Italia, per affrontare problematiche psicologiche, traumi e stress, insegna che creare è un’esercizio di conoscenza di sé. Ci si siede a lavorare e ogni dettaglio, dalla scelta dei materiali alla postura, dai colori usati, che sono emozioni, alla linea, che è racconto, diventa una grammatica che parla di noi. In modo più profondo e istintivo della parola”.
Fare è un atto sociale. In Making is connecting, lo studioso inglese di design e comunicazione David Gauntlett sostiene che il progettare “cose” - un quadro, o un maglione, o anche solo un rubinetto che non gocciola più - e, soprattutto, realizzarle, è una scarica d’autostima: esse saranno, sempre e comunque, un segno lasciato nel mondo, e quindi una connessione, con l’esterno e con gli altri. Una prima, umile soluzione ai grandi problemi. Se poi creare, come è accaduto ai maker de Le mani di Milano, e ai maestri che Dove racconta nelle prossime pagine, diventa vocazione e progetto, allora un vaso, un gioiello, una torta ben lievitata possono cambiare molte cose.
“Le neobotteghe risvegliano i quartieri”, dice ancora il regista Lorenzo Malavolta: “Ridisegnano i percorsi degli abitanti e i rapporti fra chi ci lavora, rendono più umani lo shopping e la giornata”. La creatività può cambiare il lavoro. Dando una visione ai giovani, grandi vittime della pandemia. A loro una docente di storia dell’arte, Francesca D’Alessio, ha chiesto scusa “perché vi stiamo rubando il presente, ma soprattutto vi abbiamo ipotecato il futuro”. E se il futuro fosse la creatività? Quella che cambia le vite e la storia? Giampaolo Colletti, guru del nuovo marketing, ci crede. “Il ritorno del fare, la nuova passione per l’unicità e la qualità sono la base da cui il made in Italy può ripartire. Puntando sulla propria storia, la sua identità e da mestieri percepiti non più come ripiego, nicchia, nostalgia, ma come spazi di nuova visibilità e imprenditorialita. Questi sono gli artigiani che imparano dai nonni, ma anche dai social. Collaborano con il produttore locale e vendono a Pechino. Si adattano a crisi e cambiamenti con l’agilità del microbrand”. Per loro il dopo-Covid sarà un’era di iniziativa e di sfide. Da inventare con passione. Come un vaso, un gioiello o una torta fatti bene. Ma bene davvero.
I nuovi creativi imparano dai
nonni, ma abitano anche il mondo dei social. Hanno una visione globale