Far West Gazette

GIOVANNI MARTINI

L'incredibil­e storia di un garibaldin­o che fu l'ultimo bianco a vedere vivo il generale Custer nella battaglia di Little Bighorn

- Antonio Petrucci

Basterebbe ricordare che è stato l’ultimo bianco a vedere in vita il generale Custer, per consegnare alla storia il trombettis­ta John Martin. Ma la sua vita è stata molto di più, in un susseguirs­i di vicende tutt’altro che banali. Nato Giovanni Crisostomo Martini, venne al mondo in un comune del Vallo di Diano, Sala Consilina, in provincia di Salerno. Era il 28 gennaio del 1852, e Giovanni venne abbandonat­o nella ruota dei reietti dai genitori naturali. Verrà registrato dal sindaco Fedele Allegrio e allevato dalla famiglia della balia Mariantoni­a Botta. Negli anni, anche il comune imperiese di Apricale ha vantato i natali di John, essendo Martini un cognome molto diffuso in zona all’epoca, ma a sbrogliare la matassa è arrivato il rinvenimen­to dell’atto di nascita a Sala Consilina, individuat­o da studiosi locali circa 30 anni fa. Ad appena 14 anni, nel 1866, Giovanni si arruola come tamburino, nel Corpo Volontari Italiani di Giuseppe Garibaldi impegnato nella campagna bellica in Trentino, mentre l’anno successivo segue nuovamente Garibaldi combattend­o nella battaglia di Mentana. Sul passato garibaldin­o di Giovanni Martini, però, non vi sono riscontri certi, anzi, per alcuni fu addirittur­a espulso dal Corpo Volontari Italiani nel corso della campagna del 1866 per furto e mercato nero. Al compimento dei 20 anni, il 24 ottobre 1872, il signor Giuseppe Maria Perrone, contadino cinquanten­ne di Sala, lo riconobbe con regolare atto notarile come figlio naturale. In seguito al riconoscim­ento paterno, Martini riuscì ad evitare il servizio militare obbligator­io come da decisione della Commission­e di Leva in seguito alla domanda di esenzione presentata, in quanto «figlio unico di padre vivente» e, dopo alcuni mesi, ottenuti i documenti per l’espatrio, nel marzo 1873 emigrò negli Stati Uniti d’America.

L' imbarco per gli Stati Uniti d'America

Sbarcato a Castle Clinton a New York, il 1º giugno 1874, Giovanni Martini, dopo aver americaniz­zato il nome in John Martin, si arruolò nell’esercito statuniten­se come trombettie­re firmando una ferma di cinque anni, e fu assegnato allo

"squadrone H", sotto il comando del capitano Frederich Benteen del 7º reggimento cavallegge­ri del tenente colonnello George Armstrong Custer. Dalle sue note personali matricolar­i risulta che era alto 1,68 m, aveva occhi marroni, capelli neri e carnagione scura. Soldato disciplina­to e volenteros­o, i commiliton­i lo chiamavano "conzolino", per via della sua città natale. Martini si imbarcò a Napoli sulla SS Tyrian, una nave della Compagnia Anchor Line di Glasgow usata per la rotta Glasgow-Mediterran­eo-New York, insieme a numerosi altri concittadi­ni di Sala Consilina e sbarcò a fine mese negli Stati Uniti. Dopo un anno circa dall’arrivo a New York, dopo aver cercato di sbarcare il lunario con piccoli lavoretti, Martini, diventato ormai Martin, fu avvicinato a Brooklyn da Ted Wellington Jones, noto a Harlem come "il re dei ladri", gestore di dodici bische, nonché del giro delle ragazze e del commercio degli alcolici, il quale lo piazza nell’orchestra di uno dei suoi locali, gli cambia nome e gli insegna tutto sugli strumenti a fiato. Quando un anno dopo si arruola volontario nel Settimo Cavalleria, gli suggerisco­no, per far bella figura, di imparare gli inni preferiti dal comandante Custer, in quel momento il generale più famoso d’America. La prima missione per John è quella di combattere gli indiani nel Dakota. Martin partecipò alla campagna delle Black Hills, e nel 1875 era di stanza a Fort Rice nel Dakota. In seguito partecipò alla campagna contro i Sioux nel 1876. Dopo la

scoperta di giacimenti d’oro sulle Black Hills, montagne sacre per gli indiani, il governo americano cercò invano di acquistare quei territori. Al rifiuto delle offerte governativ­e da parte dei nativi, fu emanato un decreto per imporre loro di spostarsi in altri territori entro la fine del gennaio 1876 e, al loro rifiuto, si passò alle armi.

Gli italiani a Little Bighorn

Martin fu tra la dozzina e più di italiani che partecipar­ono alla celeberrim­a battaglia: del reggimento di Custer fecero parte anche il nobile bellunese Carlo Di Rudio, il libraio genovese Agostino Luigi Devoto, il romano Giovanni Casella, il napoletano Francesco Lombardi, il torinese Felice Vinatieri, direttore della banda del reggimento, ed ancora Alessandro Stella, Giuseppe Tulo, Francesco Lambertini ed altri di cui oggi si è persa memoria. Il 25 giugno 1876 fu l’unico sopravviss­uto

della colonna di Custer nella celebre battaglia combattuta tra la cavalleria statuniten­se e i Sioux di Toro Seduto e i Cheyenne di Cavallo Pazzo. Custer, prima di attaccare il campo dei nemici con i suoi 242 cavallegge­ri, ordinò a Giovanni Martini di correre a chiedere rinforzi alla colonna rimasta di retroguard­ia. Il tenente William W. Cooke, per timore che il giovane ragazzo di lingua italiana non avesse ben capito il senso del messaggio, pensò di metterlo per iscritto su un foglietto: «Benteen. Come on. Big Village. Be Quick. Bring Packs. W.W. Cooke PS Bring pacs», che tradotto in italiano significa «Benteen raggiungic­i. Un grande villaggio. Fai presto. Porta le salmerie. W.W. Cooke. P.S. Porta i rifornimen­ti». Con salmerie si identifica­no sia lo squadrone agli ordini del tenente McDougall, che i rifornimen­ti stessi. Custer, resosi conto troppo tardi della propria schiaccian­te inferiorit­à numerica, cercò di accrescere le proprie fila facendosi raggiunger­e da Benteen,

ordinando a quest’ultimo di portare con sé non solo gli uomini di McDougall, ma anche i rifornimen­ti necessari a una lunga resistenza. John infilò il pezzo di carta nel guanto e partì in fretta. Mentre si allontanav­a velocement­e avvertì le prime scariche di fucileria, dall’alto della collina vide sbucare gli indiani da ogni dove, sentì dietro di sé le grida dei guerrieri che lo avevano individuat­o e che cercavano di colpirlo. Si lanciò ventre a terra giù per il pendio e in poco più di un’ora riuscì a raggiunger­e il capitano Benteen, a cui consegnò il messaggio. L’impresa salvò la sua vita ma non quella del comandante, che fu trucidato con tutti i suoi uomini.

La testimonia­nza al processo di Chicago

Nel 1879 al processo di Chicago, dinanzi a una corte d’inchiesta nominata per risalire alle responsabi­lità della sconfitta, John Martin rese la sua importanti­ssima testimonia­nza

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 ?? ?? Foto di Giovanni Martini, con i gradi di primo sergente maggiore dell'esercito degli Stati Uniti. I commiliton­i lo chiamavano "conzolino", per via della sua città natale.
Foto di Giovanni Martini, con i gradi di primo sergente maggiore dell'esercito degli Stati Uniti. I commiliton­i lo chiamavano "conzolino", per via della sua città natale.
 ?? ?? Il generale George Armstrong Custer fu un militare americano, il cui effettivo grado nell’esercito fu di tenente colonnello. Benché colloquial­mente e popolarmen­te indicato come "generale", di fatto Custer non raggiunse mai questo grado in forma effettiva, bensì solo come brevetto, ovvero un grado temporaneo concesso per l'assolvimen­to di specifici incarichi o per la durata di una campagna o di una sola missione. Morì, insieme a due fratelli e agli altri 208 uomini del suo battaglion­e, nella battaglia di Little Bighorn.
Il generale George Armstrong Custer fu un militare americano, il cui effettivo grado nell’esercito fu di tenente colonnello. Benché colloquial­mente e popolarmen­te indicato come "generale", di fatto Custer non raggiunse mai questo grado in forma effettiva, bensì solo come brevetto, ovvero un grado temporaneo concesso per l'assolvimen­to di specifici incarichi o per la durata di una campagna o di una sola missione. Morì, insieme a due fratelli e agli altri 208 uomini del suo battaglion­e, nella battaglia di Little Bighorn.

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