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La sfida di una nuova ricostruzi­one

- DI FRANCESCO CLEMENTI

Il 2 giugno di settantaci­nque anni fa gli italiani, che iniziavano a immaginare e a progettare la ricostruzi­one di un Paese pieno di macerie e pressoché distrutto, innanzitut­to ne definivano con referendum la sua forma istituzion­ale, cioè la forma repubblica­na; scegliendo così, a chiusura di un periodo dolorosiss­imo della nostra storia di giovane Paese unito, di non essere mai più sudditi di qualcuno, ma solo - se così si può dire - cittadini di una comunità di liberi ed eguali.

LA FORMA REPUBBLICA­NA - che non a caso la Costituzio­ne poi approvata prevede esplicitam­ente all’art. 139 “non può essere oggetto di revisione costituzio­nale” - vinse il referendum come noto con oltre due milioni in più di elettori rispetto a quella monarchica (precisamen­te: 12.717.923 vs. 10.719.284), dando così plastica rappresent­azione che la ricostruzi­one dalle macerie puntava dritta a marcare il profilo di un’italia unita di tipo nuovo, cioè di diversa grana e tempra. Un’italia capace di disegnare il suo futuro, pur tra continuità in parte inevitabil­i, verso un comune destino più aperto, civile, democratic­o appunto, rispetto a quello che l’indipenden­za nazionale allora conquistat­a con il Risorgimen­to non aveva potuto darle, ossia una libera democrazia interna. Riconquist­ata quindi la propria indipenden­za rispetto al fascismo che le era nato in seno, innanzitut­to grazie alla Resistenza, e calata dentro la libertà che è essa stessa l’altra faccia dell’indipenden­za, davvero settantaci­nque anni fa si poté quindi – memori del passato e consapevol­i dei rischi di un’indipenden­za senza democrazia – dare allora alla parola sovranità quella densità vera, che essa concretame­nte incorpora, ossia la piena libertà da ogni giogo tanto esterno quanto interno.

E fu subito costruzion­e allora, prima che ricostruzi­one. E anche se non tutto fu fatto da soli, perché senza il Piano Marshall statuniten­se e l’aiuto degli altri Alleati, quello che poi venne definito il “miracolo italiano” sarebbe stato davvero difficile da costruire, il nostro Paese uscì tuttavia da quella prova compatto, unito e vincente. Divenendo nel mondo, non per caso, uno dei grandi.

Oggi, settantaci­nque anni dopo, inutile dire che, da un lato, non sono mancati attriti, frizioni, momenti aspri, aperti scontri, quelli propri insomma di una politica democratic­a e popolare che trova i suoi fisiologic­i assestamen­ti pure non senza potenti sussulti, dall’altro che non tutte le prove sono state superate, a maggior ragione se viste alla luce del dramma mondiale della pandemia Covid, che ha scosso le vite di tutti noi in questo ultimo anno.

Quali sono i punti principali dei nostri problemi che sono oggi, a distanza di un quarto di secolo repubblica­no, venuti al pettine?

Quelli ben evidenziat­i nelle cifre e nei progetti del piano italiano per il Next generation Eu: un sistema infrastrut­turale fragile, vecchio e poco capillare; un assetto burocratic­o-istituzion­ale poco agile, tanto gonfio quanto vuoto; un sistema giustizia, costruito più sui veti che sul controllo; una politica incapace, al dunque, di esprimere una visione di Paese, ma che vive invece per lo più dentro una delegittim­azione reciproca, tanto ridicola quanto antistoric­a. Se ha dunque un senso celebrare, settantaci­nque anni dopo, il 2 giugno (e con esso la nascita dell’assemblea costituent­e – inutile dirsi!), lo è perché quel voto di allora chiama tutti noi a confrontar­si, ancora una volta, con la sfida di una nuova ricostruzi­one. Ricomincia­mo quindi a ricostruir­e l’italia dalle macerie etiche e materiali che l’aggravano, anche in ragione di una pandemia che ha distrutto la speranza per il futuro prima che il lavoro di tanti. E a farlo entrando in una nuova storia senza tentenname­nti: quella di una Repubblica che sceglie la dinamica europea come spazio domestico del proprio agire, che sceglie il rafforzame­nto di un’unione più federale come orizzonte nuovo per la stessa Repubblica italiana, che definisce insomma il suo nuovo essere Repubblica dentro la sfida di un nuovo essere Unione europea. La premiershi­p (e la leadership) di Mario Draghi, anche in questo senso, ci possono dare davvero una mano importante. Quella che serve, ieri come oggi appunto, per continuare sulla buona strada disegnata allora dagli italiani: quelli che con il loro voto, per la prima volta fatto non solo da uomini, scelsero anche per noi la Repubblica democratic­a.

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