Verso un cambio di paradigma
Le terapie avanzate non siano una voce di spesa ma un investimento. Solo così si potrà assicurare la sostenibilità delle nuove cure in arrivo
PROMUOVERE un cambio culturale e attuare la volontà politica di considerare il costo delle terapie avanzate non una spesa, ma un investimento. Così da generare benefici tangibili per il futuro anche dal punto di vista economico. Sono i due obiettivi, ambiziosi ma raggiungibili, su cui si sono trovati d’accordo tecnici e politici intervenuti al webinar “Terapia avanzate: come arrivare ad un cambio di paradigma sostenibile”, organizzato da Fortune Italia con l’intergruppo parlamentare scienza e salute, Cittadinanzattiva e l’associazione #Vita (Valore e innovazione delle terapie avanzate), composta da aziende impegnate nella ricerca in questo settore. Si tratta dell’opportunità di definire strategie e tattiche per rendere sostenibile una sanità futura che vedrà l’ingresso di terapie che in molti casi saranno in grado di risolvere condizioni patologiche gravi con una sola somministrazione. Terapie caratterizzate da costi elevati in ragione dell’innovazione tecnologica che contraddistingue il percorso di ricerca per metterle a punto. Un cambio di paradigma culturale che non può prescindere da un impegno politico reale in questa direzione. Come ha sottolineato anche Angela Ianaro, presidente Intergruppo, “la politica deve riconoscere e accompagnare le innovazioni della scienza cercando di neutralizzare i rischi connessi con le complessità organizzative ad esse collegate”. Perché l’obiettivo è consentire l’accesso a queste terapie alla platea di pazienti più ampia possibile. Evitando, però, che ciò si trasformi in un disastro economico per il Servizio sanitario nazionale (Ssn). “Il punto è capire se le terapie avanzate, come Car-t e anticorpi monoclonali, sono sostenibili economicamente. Per farlo occorre comprenderne il valore clinico, così da effettuare non solo una budget impact analysis, ma anche una valutazione dal punto di vista di Health technology assessment”, ha spiegato Americo Cicchetti, professore ordinario di Organizzazione aziendale dell’università Cattolica del Sacro Cuore e direttore di Altems. Servono infatti valutazioni ad hoc per questi nuovi strumenti terapeutici, che non sono per nulla assimilabili ai farmaci tradizionali, convengono gli esperti, né per il modo di gestione clinica del paziente e della terapia, né per i loro effetti sulla salute né per quelli economici a lungo termine.
E allora a fare la differenza è proprio il cambio di prospettiva. “Sì, rappresentano un costo, ma non essendo dei farmaci come quelli che abbiamo conosciuto finora questo costo è asimmetrico”, ha precisato Mauro Marè, ordinario di Scienza delle finanze alla Luiss Business School. In altri termini, ciò significa che, anche se il costo per queste terapie è concentrato tutto nell’anno di acquisto, l’effetto continua invece a esplicarsi in tanti anni a seguire. Spesso spalmato lungo tutta la vita della persona che viene trattata. “È logico quindi considerarle degli investimenti”, ha aggiunto. Resta però il nodo della sostenibilità economica per lo Stato. La misura di quanto grande sarà il loro impatto l’ha fornita Cicchetti: “Valutando le pipeline delle aziende e la possibile platea di pazienti eleggibili per il trattamento con queste nuove terapie a partire dal 2022 il costo potenziale per il Ssn potrebbe andare da 300 mln a 1,3 mld di euro. E più si andrà avanti più il costo potenziale aumenterà, in ragione del maggior numero di nuove terapie disponibili. A cinque anni si potrebbe arrivare a 2-4 mld di euro”. Non è quindi più procrastinabile la necessità di trovare il modo più idoneo di considerare queste terapie all’interno del bilancio dello Stato, anche in ottica europea. Per trovare una quadra tra costi e accessibilità delle cure secondo Marè “bisogna ripartire il rischio tra i produttori e il payer”, ad esempio con uno schema di payment by result che preveda il riconoscimento di una rata iniziale del costo
della terapia e poi una serie di rate successive nel tempo via via che si conferma l’outcome clinico, come il mantenimento dell’assenza di patologia nella persona trattata. Costi, investimenti e brevetti. Da più parti ci si potrebbe chiedere: ma perché queste terapie hanno un costo così elevato? Da un lato perché il numero di persone trattabili è estremamente limitato giacché sono terapie spesso rivolte a risolvere gli unmet need di malattie rare, per definizione poco rappresentate nella popolazione. Dall’altro perché i costi di ricerca e sviluppo a esse collegate sono molto elevati e sostenuti in gran parte dalle aziende private, che tutelano questi investimenti con la copertura brevettuale.
Del resto investire in settori, come quello delle terapie avanzate, che possano dare un ritorno diretto come Pil e indiretto come risparmi è “l’unica speranza per poter ripartire. Perché prima o poi il conflitto generazionale presenta il conto”, ha aggiunto Marè. Ma allora cosa fare per poter cambiare concretamente le regole del gioco e adattare il contesto a una situazione in rapida evoluzione? Fondamentale, si diceva, il ruolo della politica. “In commissione Bilancio consideriamo le terapie avanzate come un investimento, perché risolvono un problema sanitario e con esso eliminano i successivi costi sanitari e sociali che si avrebbero se queste terapie non venissero somministrate”, ha dichiarato l’onorevole Vanessa Cattoi. Che ha trovato una sponda favorevole nell’onorevole Lisa Noja della commissione Affari sociali, che ha evidenziato come il momento attuale sia entusiasmante dal punto di vista scientifico, con terapie che permettono la sopravvivenza di bambini che, diversamente, sarebbero destinati a una vita molto breve o caratterizzata da grande disabilità. E che lancia la proposta di “poter arrivare a definire un fondo separato per le terapie innovative, magari come progetto pilota, auspicabilmente entro il licenziamento della prossima legge di Bilancio”. Allineato anche il senatore Daniele Manca, che ha evidenziato la necessità di “superare l’idea di cassa e di introdurre quella di competenza degli investimenti. Il costo di prestazioni come le terapie avanzate non potrà mai essere sostenibile per lo Stato italiano se non cambiando paradigma e introducendo il concetto di investimento strutturale in sanità”. “Dobbiamo cambiare passo”, ha dichiarato la senatrice Elisa Pirro, “anche la regolamentazione è molto arretrata rispetto all’avanzamento della scienza e della medicina. Non possiamo trattare l’autorizzazione all’immissione in commercio di una terapia avanzata come quella di un qualunque altro farmaco. Dobbiamo agire anche a livello europeo, perché alcune regole sul bilancio dello Stato sono imposte proprio dall’ue”.
Concretamente, per risolvere il problema dell’accessibilità delle terapie avanzate tre sono le strade percorribili secondo Cicchetti. A partire dal cambio delle regole europee. In attesa del quale però “non possiamo stare fermi. Si potrebbe immaginare di togliere il tetto del 14,85% sulla spesa farmaceutica”, ha detto. Seconda opzione, la definizione di un nuovo fondo per le terapie avanzate, un po’ come venne fatto per le malattie oncologiche. Una soluzione che non convince del tutto il professore della Cattolica perché “andrebbe a creare un nuovo silos”. Terza strada, l’istituzione di un fondo sì specifico per le terapie avanzate, ma rotativo, “che permetta di recuperare i potenziali risparmi generati da questo investimento”.
Idee tutte valide e considerate non alternative l’una rispetto all’altra da Manca. “Possono andare di pari passo”, ha commentato, “l’importante è verificare la volontà politica di agire per stimolare subito qualcosa di positivo, anche per promuovere l’universalità di prestazioni che diversamente sarebbero insostenibili per le famiglie”.