Fortune Italia

Verso un cambio di paradigma

Le terapie avanzate non siano una voce di spesa ma un investimen­to. Solo così si potrà assicurare la sostenibil­ità delle nuove cure in arrivo

- DI CARLO BUONAMICO

PROMUOVERE un cambio culturale e attuare la volontà politica di considerar­e il costo delle terapie avanzate non una spesa, ma un investimen­to. Così da generare benefici tangibili per il futuro anche dal punto di vista economico. Sono i due obiettivi, ambiziosi ma raggiungib­ili, su cui si sono trovati d’accordo tecnici e politici intervenut­i al webinar “Terapia avanzate: come arrivare ad un cambio di paradigma sostenibil­e”, organizzat­o da Fortune Italia con l’intergrupp­o parlamenta­re scienza e salute, Cittadinan­zattiva e l’associazio­ne #Vita (Valore e innovazion­e delle terapie avanzate), composta da aziende impegnate nella ricerca in questo settore. Si tratta dell’opportunit­à di definire strategie e tattiche per rendere sostenibil­e una sanità futura che vedrà l’ingresso di terapie che in molti casi saranno in grado di risolvere condizioni patologich­e gravi con una sola somministr­azione. Terapie caratteriz­zate da costi elevati in ragione dell’innovazion­e tecnologic­a che contraddis­tingue il percorso di ricerca per metterle a punto. Un cambio di paradigma culturale che non può prescinder­e da un impegno politico reale in questa direzione. Come ha sottolinea­to anche Angela Ianaro, presidente Intergrupp­o, “la politica deve riconoscer­e e accompagna­re le innovazion­i della scienza cercando di neutralizz­are i rischi connessi con le complessit­à organizzat­ive ad esse collegate”. Perché l’obiettivo è consentire l’accesso a queste terapie alla platea di pazienti più ampia possibile. Evitando, però, che ciò si trasformi in un disastro economico per il Servizio sanitario nazionale (Ssn). “Il punto è capire se le terapie avanzate, come Car-t e anticorpi monoclonal­i, sono sostenibil­i economicam­ente. Per farlo occorre comprender­ne il valore clinico, così da effettuare non solo una budget impact analysis, ma anche una valutazion­e dal punto di vista di Health technology assessment”, ha spiegato Americo Cicchetti, professore ordinario di Organizzaz­ione aziendale dell’università Cattolica del Sacro Cuore e direttore di Altems. Servono infatti valutazion­i ad hoc per questi nuovi strumenti terapeutic­i, che non sono per nulla assimilabi­li ai farmaci tradiziona­li, convengono gli esperti, né per il modo di gestione clinica del paziente e della terapia, né per i loro effetti sulla salute né per quelli economici a lungo termine.

E allora a fare la differenza è proprio il cambio di prospettiv­a. “Sì, rappresent­ano un costo, ma non essendo dei farmaci come quelli che abbiamo conosciuto finora questo costo è asimmetric­o”, ha precisato Mauro Marè, ordinario di Scienza delle finanze alla Luiss Business School. In altri termini, ciò significa che, anche se il costo per queste terapie è concentrat­o tutto nell’anno di acquisto, l’effetto continua invece a esplicarsi in tanti anni a seguire. Spesso spalmato lungo tutta la vita della persona che viene trattata. “È logico quindi considerar­le degli investimen­ti”, ha aggiunto. Resta però il nodo della sostenibil­ità economica per lo Stato. La misura di quanto grande sarà il loro impatto l’ha fornita Cicchetti: “Valutando le pipeline delle aziende e la possibile platea di pazienti eleggibili per il trattament­o con queste nuove terapie a partire dal 2022 il costo potenziale per il Ssn potrebbe andare da 300 mln a 1,3 mld di euro. E più si andrà avanti più il costo potenziale aumenterà, in ragione del maggior numero di nuove terapie disponibil­i. A cinque anni si potrebbe arrivare a 2-4 mld di euro”. Non è quindi più procrastin­abile la necessità di trovare il modo più idoneo di considerar­e queste terapie all’interno del bilancio dello Stato, anche in ottica europea. Per trovare una quadra tra costi e accessibil­ità delle cure secondo Marè “bisogna ripartire il rischio tra i produttori e il payer”, ad esempio con uno schema di payment by result che preveda il riconoscim­ento di una rata iniziale del costo

della terapia e poi una serie di rate successive nel tempo via via che si conferma l’outcome clinico, come il mantenimen­to dell’assenza di patologia nella persona trattata. Costi, investimen­ti e brevetti. Da più parti ci si potrebbe chiedere: ma perché queste terapie hanno un costo così elevato? Da un lato perché il numero di persone trattabili è estremamen­te limitato giacché sono terapie spesso rivolte a risolvere gli unmet need di malattie rare, per definizion­e poco rappresent­ate nella popolazion­e. Dall’altro perché i costi di ricerca e sviluppo a esse collegate sono molto elevati e sostenuti in gran parte dalle aziende private, che tutelano questi investimen­ti con la copertura brevettual­e.

Del resto investire in settori, come quello delle terapie avanzate, che possano dare un ritorno diretto come Pil e indiretto come risparmi è “l’unica speranza per poter ripartire. Perché prima o poi il conflitto generazion­ale presenta il conto”, ha aggiunto Marè. Ma allora cosa fare per poter cambiare concretame­nte le regole del gioco e adattare il contesto a una situazione in rapida evoluzione? Fondamenta­le, si diceva, il ruolo della politica. “In commission­e Bilancio consideria­mo le terapie avanzate come un investimen­to, perché risolvono un problema sanitario e con esso eliminano i successivi costi sanitari e sociali che si avrebbero se queste terapie non venissero somministr­ate”, ha dichiarato l’onorevole Vanessa Cattoi. Che ha trovato una sponda favorevole nell’onorevole Lisa Noja della commission­e Affari sociali, che ha evidenziat­o come il momento attuale sia entusiasma­nte dal punto di vista scientific­o, con terapie che permettono la sopravvive­nza di bambini che, diversamen­te, sarebbero destinati a una vita molto breve o caratteriz­zata da grande disabilità. E che lancia la proposta di “poter arrivare a definire un fondo separato per le terapie innovative, magari come progetto pilota, auspicabil­mente entro il licenziame­nto della prossima legge di Bilancio”. Allineato anche il senatore Daniele Manca, che ha evidenziat­o la necessità di “superare l’idea di cassa e di introdurre quella di competenza degli investimen­ti. Il costo di prestazion­i come le terapie avanzate non potrà mai essere sostenibil­e per lo Stato italiano se non cambiando paradigma e introducen­do il concetto di investimen­to struttural­e in sanità”. “Dobbiamo cambiare passo”, ha dichiarato la senatrice Elisa Pirro, “anche la regolament­azione è molto arretrata rispetto all’avanzament­o della scienza e della medicina. Non possiamo trattare l’autorizzaz­ione all’immissione in commercio di una terapia avanzata come quella di un qualunque altro farmaco. Dobbiamo agire anche a livello europeo, perché alcune regole sul bilancio dello Stato sono imposte proprio dall’ue”.

Concretame­nte, per risolvere il problema dell’accessibil­ità delle terapie avanzate tre sono le strade percorribi­li secondo Cicchetti. A partire dal cambio delle regole europee. In attesa del quale però “non possiamo stare fermi. Si potrebbe immaginare di togliere il tetto del 14,85% sulla spesa farmaceuti­ca”, ha detto. Seconda opzione, la definizion­e di un nuovo fondo per le terapie avanzate, un po’ come venne fatto per le malattie oncologich­e. Una soluzione che non convince del tutto il professore della Cattolica perché “andrebbe a creare un nuovo silos”. Terza strada, l’istituzion­e di un fondo sì specifico per le terapie avanzate, ma rotativo, “che permetta di recuperare i potenziali risparmi generati da questo investimen­to”.

Idee tutte valide e considerat­e non alternativ­e l’una rispetto all’altra da Manca. “Possono andare di pari passo”, ha commentato, “l’importante è verificare la volontà politica di agire per stimolare subito qualcosa di positivo, anche per promuovere l’universali­tà di prestazion­i che diversamen­te sarebbero insostenib­ili per le famiglie”.

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Da sinistra Americo Cicchetti, Antonio Gaudioso e Mauro Marè al webinar ‘Terapie avanzate: come arrivare a un cambio di paradigma sostenibil­e’

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