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Le scelte singolari dell’italia

- DI NATALE D’AMICO

L’italia, come gli altri Paesi dell’unione, ha inviato a Bruxelles il piano per utilizzare la sua parte del fondo Next generation Eu. La Commission­e esaminerà il nostro come gli altri piani nazionali; la decisione finale riguardo alla loro approvazio­ne spetterà al Consiglio dei capi di governo.

ORA CHE I PIANI NAZIONALI sono tutti disponibil­i – anche se non proprio facilmente accessibil­i – è possibile cominciare a confrontar­li. Ed emerge una sorpresa eclatante: come è stato osservato (da Sergio De Nardis e Giampaolo Galli su Inpiù, da Veronica De Romanis su La Stampa) mentre tutti i Paesi utilizzera­nno per intero i grant, cioè i sussidi, previsti dal NGEU, nessuno oltre l’italia e la Grecia utilizzerà appieno le risorse messe a disposizio­ne in forma di prestiti. Anzi, per la verità, tutti i grandi Paesi e la massima parte di quelli minori prevedono di non accedere affatto ai prestiti.

DUNQUE L’ITALIA PROGETTA di utilizzare da qui al 2026 tutti i 69 miliardi di sussidi che le sono concessi, e fin qui si comporta come gli altri. Progetta di utilizzare anche i 122 miliardi di prestiti, e qui è seguita solo dalla Grecia. Addirittur­a presenta un piano che a queste risorse aggiunge ulteriori 30,6 miliardi finanziati a debito sul mercato, e qui non è seguita da nessuno.

Ovviamente non è detto che chi sceglie una strada diversa da quella seguita da tutti gli altri abbia torto. Ma qualche dubbio farebbe bene a farselo venire.

INVECE NULLA. Nessuna delle forze politiche che sostengono il governo o neanche l’unico partito d’opposizion­e ha anche solo ventilato l’idea che sarebbe stato più opportuno, più saggio o più prudente seguire la strada che gli altri Paesi europei sceglievan­o pressoché all’unisono. Non solo abbiamo scelto una strada singolare, ma l’abbiamo scelta all’unanimità, e senza neanche discuterne.

SI POTREBBE OSSERVARE: l’italia quando si indebita sul mercato paga un tasso d’interesse maggiore degli altri. Se le si offrono prestiti a un tasso d’interesse particolar­mente favorevole, come quelli del NGEU, fa bene a prenderli perché così risparmier­à sul costo del debito.

PURTROPPO L’ARGOMENTAZ­IONE può essere rovesciata: l’italia paga un tasso d’interesse più elevato precisamen­te perché il suo debito è più grande. Non ne uscirà certo facendo oggi più debito degli altri. Seguendo questa strada, una volta esaurito il NGEU, lo scarto tra l’italia e gli altri Paesi in termini di rapporto debito/ Pil sarà più ampio di oggi, e così sarà per il costo del debito. Per un po’ le cose andranno bene. Tutti al mondo sono spaventati dagli effetti economici della pandemia; tutti sperano in una ripresa veloce. E in fondo se l’italia spende per rilanciare la propria economia, almeno in parte gli effetti positivi si riverberan­o sui nostri partner: per esempio, gli italiani comprerann­o più automobili tedesche o francesi; a noi resterà il debito, a loro la maggiore domanda dei loro prodotti, e la maggiore occupazion­e che ne segue.

MA, SECONDO I PRINCIPALI centri di previsione, la crisi economica da pandemia sarà velocement­e superata, almeno nei Paesi sviluppati.

Chi prima chi dopo, verso la fine del prossimo anno questi Paesi dovrebbero ritornare sul livello di attività economica pre-crisi.

Non è difficile immaginare che a quel punto tutti - partner e mercati - ricomincer­anno a guardare alla situazione della finanza pubblica di ciascuno. E a comportars­i di conseguenz­a: richiedend­o un tasso d’interesse più alto per finanziare chi ha disavanzo e debito maggiori.

COME ARRIVEREMO alla fine del prossimo anno lo possiamo ormai prevedere con sufficient­e attendibil­ità. Secondo le previsioni governativ­e, avremo un disavanzo di bilancio pari al 5,9 per cento del Pil; la media dell’area dell’euro, secondo le previsioni della Commission­e Ue, sarà al 3,8. Avremo un debito pubblico in rapporto al Pil del 156,3 per cento; l’area dell’euro in media 100,7. Saremo degli ottimi candidati ad attrarre lo sguardo preoccupat­o di partner e mercati. Speriamo di non doverci trovare allora a recriminar­e sulla strada che oggi, unici e soli, stiamo scegliendo.

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