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Il vero costo del trading senza commission­i

Lo strano sistema che permette ai broker di offrire un trading gratuito, in realtà, ha un prezzo particolar­mente alto. E a pagare sono gli utenti

- DI SHAWN TULLY

IN UN UFFICIO di Washington della Securities and Exchange Commission, con due meraviglia­ti funzionari Sec come pubblico, Doug

Atkin e il profession­ista del ‘Ponzi scheme’ Bernie Madoff stanno facendo a gara a chi strilla di più.

Siamo nel 1991, e quel giorno Madoff si trova lì per difendere una sua nuova invenzione. Si chiama ‘payment for order flow’, conosciuta a Wall Street come Pfof. Atkin, Ceo della piattaform­a elettronic­a di trading Instinet, crede che il Pfof rappresent­i un sistegli ma in aperto conflitto con la sua mission, cioè spuntare i prezzi migliori possibili sulle azioni comprate dai suoi clienti. “Il Payment for order flow non è giusto! Dovrebbe essere messo fuori legge!”, strilla Atkin. Madoff replica che il Pfof permette di iniettare nuova liquidità nei mercati. “Dovrei poter essere libero di fare quello che voglio con il mio business!”, risponde urlando. Trent’anni dopo, il Pfof è tornato sotto i riflettori. Semplifica­ndo, è il Pfof che permette a Robinhood, TD Ameritrade, E*trade, Charles Schwab, e alla maggior parte degli altri broker online di offrire commission­i zero agli investitor­i retail. Invece di essere pagati direttamen­te dai piccoli trader quando acquistano azioni, i broker vendono i loro ordini in blocco ai market maker, che poi eseguono scambi.

È ormai risaputo come il Pfof abbia avuto un ruolo cruciale nel business model che ha portato milioni di nuovi giovani clienti a investire e a giocare in Borsa. È stato questo meccanismo a permettere a un’enorme folla di utenti Reddit di prendere titoli sfortunati come quelli di Gamestop, AMC, e Blackberry e portarli a quotazioni senza precedenti nel giro di qualche minuto (quotazioni poi sprofondat­e qualche giorno dopo).

Ken Griffin, fondatore del gigantesco market maker Citadel Securities, considera il Pfof “una grande vittoria per gli investitor­i americani”. Ma il meccanismo sta attirando sempre maggiori attenzioni da parte dei legislator­i. A fine febbraio, la commission­er e presidente facente funzione della Sec Allison Herren

Lee ha scritto alla senatrice democratic­a Elizabeth Warren, chiedendo di “esaminare le conseguenz­e dell’accesso di alcune aziende ai flussi di ordini del trading”. Poi, durante l’audizione per la presidenza della Sec del 2 marzo, non meno di tre senatori hanno chiesto all’allora candidato (ora presidente) Gary Gensler se il meccanismo stesse danneggian­do i piccoli investitor­i. “I clienti stanno usando un’app per il trading gratuito, ma c’è questa sorta di pagamento nascosto, questo payment for order flow. Dobbiamo capire cosa comporti per i nostri mercati”, ha detto Gensler rispondend­o alla domanda del senatore Democratic­o Mark Warner.

Come funziona il Pfof

In parte, il dibattito sul Pfof è sotto i riflettori perché una nuova generazion­e di americani ha cominciato improvvisa­mente a comprare azioni, che lo faccia per mettere da parte qualche risparmio o perché sogna una vincita da lotteria. A dicembre 2019, gli investitor­i retail corrispond­evano al 13% degli scambi; un anno dopo, quel numero è arrivato al 22,8%. E la folla di piccoli trader è stata la causa principale dell’aumento del 55% del volume totale di compravend­ite, in quei 12 mesi.

Atkin ha speso più di 20 anni nell’arena del trading, con la missione di far diminuire le commission­i sugli scambi attraverso gli electronic communicat­ion network (Ecn), nella veste di Ceo di Instinet per cinque anni. Adesso è cofondator­e di Z-work, una Spac che ambisce a investire nella gig economy e sui marketplac­e. Ancora oggi, niente lo irrita più del Pfof.

Mi illustra come il trading sia composto da tre livelli differenti. Il primo consiste nei clienti (i manager dei fondi e gli investitor­i retail). Il secondo sono i broker: ogni scambio, che sia ordinato da un fondo d’investimen­to o da un insegnante di scuola, deve passare da un intermedia­rio; Schwab e Robinhood sono broker specializz­ati nel retail, mentre le grandi banche come Goldman Sachs e

Ubs servono i manager dei fondi. Il terzo livello si divide in due parti: gli exchange e i market maker. I broker che gestiscono gli scambi per i grandi asset manager vanno a caccia dei migliori prezzi offerti da diverse borse valori elettronic­he, da Arca del NYSE al Nasdaq. I fondi sono sempre alla ricerca della migliore prestazion­e possibile. Usano algoritmi sofisticat­i che mostrano quali exchange e quali altri ambienti per il trading offrano i costi minori, e chiedono che i broker spostino gli ordini verso quegli ambienti.

Ma quando le persone si registrano alle app di Robinhood, E*trade, TD Ameritrade, e tanti altri broker online, il loro ordine di vendita o acquisto non arriva direttamen­te a una borsa valori. Viene inviato a un altro intermedia­rio il cui ruolo principale è gestire gigantesch­e quantità di scambi retail. Questi ‘market maker’ sono aziende come Citadel Securities, Virtu, Two Sigma, e Wolverine. Un’analisi su Robinhood della Sec rivela che l’app ha raccolto circa 190 mln di dollari dal Pfof nel quarto trimestre 2020. In una recente deposizion­e davanti al Congresso, il Ceo Vlad Tenev ha detto che Robinhood ottiene dal Pfof molto più del 50% dei suoi ricavi.

Atkin illustra due metodi con cui i market maker fanno profitti, entrambi a spese dei piccoli investitor­i. Il primo: i market maker guadagnano quando non assegnano agli ordini di vendita degli investitor­i un prezzo che sia più alto del migliore prezzo di acquisto (‘bid’) presente sul mercato, o quando non attribuisc­ono agli ordini di acquisto degli stessi investitor­i, un prezzo che sia più basso del migliore prezzo di vendita (‘ask’). Mentre il trading elettronic­o ha ridotto molto lo spread tra bid e ask, negli ultimi anni, dice Atkin, molti dei titoli più scambiati hanno spread alti. Questo spread dà ai market maker uno spazio maggiore in cui scegliere i prezzi di acquisti e vendite. La regola National Best Bid and Offer (Nbbo) della Sec richiede ai market maker di rispettare solo i migliori prezzi di acquisto e vendita, il che dà loro grosse opportunit­à di guadagno. I market maker effettuano un ampio numero di scambi internamen­te, abbinando compratori e venditori oppure diventando loro stessi compratori o venditori, a seconda dell’ordine del cliente.

Atkin fa notare che il pomeriggio del 18 febbraio la ‘bid’ per Tesla era 791,84 dollari, mentre l’offerta era di 792,40 dollari. Il che significa uno spread di 56 centesimi. “Diciamo che

L’obiettivo del market maker, per fare profitti, è ottenere lo spread più alto possibile, non necessaria­mente il prezzo migliore DOUG ATKIN, EX CEO DI INSTINET

Harry piazza un ordine d’acquisto per mille azioni di Tesla sull’app del suo broker online e allo stesso tempo Mary piazza un ordine di vendita”, dice Atkin. “Il broker indirizza l’ordine d’acquisto di Harry al suo market maker, e Harry compra il suo titolo a 792,40 dollari, il prezzo di vendita più basso disponibil­e (‘ask’). L’ordine di vendita di Mary viene registrato a 791,84 dollari, il prezzo d’acquisto più alto disponibil­e (‘bid’)”. In questo esempio, il broker guadagna quei 56 centesimi in pochi millisecon­di.

“Il market maker sta fornendo il miglior prezzo dal punto di vista legale, ma non è quello il miglior prezzo possibile”, dice Atkin. Prosegue dicendo che i market maker guadagnano denaro anche quando “migliorano” l’esecuzione dello scambio e soddisfano gli ordini degli investitor­i a quote migliori di quelle previste. Diciamo che Harry compra mille azioni per 10 centesimi di meno, diciamo a 792,30 dollari. Il market maker si accaparra comunque uno spread di 46 centesimi, e visto che ci sono milioni di ordini sulle azioni Tesla ogni giorno, è facile capire quanto siano grandi i guadagni che i market maker stanno registrand­o.

“Ecco cosa dovrebbe succedere”, dice Atkin. Il broker dovrebbe inviare l’ordine di acquisto di Harry all’exchange che secondo lui farà il lavoro migliore sul prezzo. Invece di far pagare a Harry 792,40 dollari per azione, l’exchange potrebbe eseguire uno scambio “a metà dello spread”, a 792,12 dollari. Harry risparmia 28 centesimi ad azione, cioè 280 dollari. Anche Mary guadagnere­bbe 28 centesimi se vendesse il suo stock “a metà” dello spread. Atkin aggiunge che “l’obiettivo del market maker, per fare profitti, è ottenere lo spread più alto possibile, non necessaria­mente il prezzo migliore”. Robinhood non ha rilasciato commenti per questo articolo, ma in un post sul suo blog del 9 febbraio Tenev ha difeso il Pfof: “Non solo adesso le persone non devono pagare commission­i per il trading, ma la competizio­ne per soddisfare i loro ordini spesso consente loro di spuntare prezzi migliori. È questo che permette a Robinhood di offrire una qualità alta nell’esecuzione degli scambi”. Joe Moglia, ex

Ceo di TD Ameritrade, Ken

Griffin di Citadel, e Doug Cifu, Ceo di Virtu Financial, uno dei market maker più grandi, hanno tutti dichiarato pubblicame­nte che credono nel fatto che il Pfof abbia democratiz­zato i mercati e abbassato i costi. Ma Atkin dice che i market maker hanno un’altra buona ragione per comprare l’order flow dei broker: fornisce parecchie informazio­ni preziose. “Diciamo che i migliori prezzi sul titolo XYZ siano una bid di 10 dollari e un ask di 10,15 dollari. Il market maker osserva l’arrivo di una grossa quantità di ordini XYZ arrivare dai piccoli investitor­i. Si affretta allora a comprare per sé stesso al prezzo ask più basso possibile, 10,15 dollari. Questo grosso acquisto fa schizzare lo spread. Quando i nuovi ordini d’acquisto cominciano ad arrivare, il market vende a 10,30 dollari, 15 centesimi in più rispetto al vecchio ask di 10,15 dollari, fondamenta­lmente usando lo spread contro i clienti del broker”.

Qualche proposta

Mentre i legislator­i esaminano il problema, ci sono tre cambiament­i che aiuterebbe­ro a creare condizioni più eque. Prima di tutto, la Sec dovrebbe considerar­e di mettere fuori legge il Pfof. “Questo rimuovereb­be il conflitto di interessi”, dice Tyler Gellasch, che guida Healthy Markets, un’organizzaz­ione che rappresent­a fondi pensione e altri investitor­i.

Secondo, la struttura attuale separa gli scambi retail e quelli più grandi, aumentando i costi di entrambi. I grandi fondi pensione per i loro ordini vanno sul NYSE, sugli exchanges e in altri spazi ancora, mentre i broker delegano ai market maker, che spesso non inviano i loro bid e ask ai mercati. Se questi due mondi si unissero, la liquidità migliorere­bbe, e gli spread diminuireb­bero per investitor­i grandi e piccoli. I risparmi generati da una struttura del genere permettere­bbero a Robinhood e ad altri broker di chiedere commission­i molto basse e offrire ai clienti un servizio molto più convenient­e.

Terzo punto, le regole vecchie di decenni della Sec dovrebbero essere aggiornate per riflettere il fatto che la maggior parte del trading oggi avviene in ‘odd lots’, cioè in quantità inferiori alle 100 azioni. Per questi ordini relativame­nte piccoli, il prezzo Nbbo ufficiale sugli exchange non corrispond­e al miglior prezzo disponibil­e su quelle stesse borse valori. Quindi quando i broker dicono che scambiano al prezzo Nbbo, spesso non significa che sia un affare convenient­e per i clienti. Le nuove regole dovrebbero obbligare i broker a ottenere il prezzo migliore.

Ma in realtà, ai legislator­i si potrebbe dare una mano facendo loro una semplice domanda: se stava bene a Bernie Madoff, può andare bene agli investitor­i normali?

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